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Amos e Mario. Italia anno di guerra 1943- IIIa e ultima parte
La guerra andava male. Il 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono con ingenti forze in Sicilia. La situazione nazionale precipitava ; i tedeschi li avevamo in casa, feroci e rabbiosi, incalzati da sud si preparavano a recedere, vie di fuga a nord, a qualsiasi costo.
Il 25 luglio 1943, il gruppo clandestino, cui apparteneva Mario, decise di uscire in maniera più incisiva con un appello a stampa, diretto a tutti gli operai della zona industriale di Porto Marghera ; un appello contro la guerra e le privazioni imposte dalla sua economia. Le fabbriche di Torino Mirafiori e Milano avevano già conosciuto diffuse proteste operaie e ciò incoraggiava il gruppo ad andare avanti.
Si decise di usare il ciclostile nella soffitta di casa di uno tra loro, certo Giuliano, studente universitario ( a distanza di vent'anni costui sarebbe diventato Preside di liceo...) il quale aveva la fortuna di abitare in una casa singola, alla periferia di Mestre; una villetta circondata da un giardino incolto, proprio alla fine di una stradaccia tutta buche. Alle spalle della casa, soltanto campi. Un luogo ideale anche per coprire il rumore del macchinoso ciclostile. Padre e madre di Giuliano erano presso dei parenti, a Padova, per alcuni giorni.
Verso mezzogiorno, di quel 25 luglio, mentre in quattro erano intenti a redigere il testo, la radio interruppe le solite musichette e gracchiò una notizia straordinaria. Subito i quattro giovani zittirono. Fu comunicato alla Nazione che il Gran Consiglio del fascismo aveva destituito Mussolini e rimesso il governo al Re. La notizia si espanse nell'aria estiva come una saetta. Sembrava persino aver scosso e trafitto le ferme e silenti chiome dei pioppi che si intravedevano dalla soffitta. Pure le cicale cessarono di frinire.
Seguì un attimo di sgomento alla clamorosa notizia, poi urla di gioia da parte di tutti. Giuliano scese precipitosamente dalla soffitta in cantina, da dove emerse stringendo una bottiglia di vino rosso. I giovani brindarono entusiasti e decisero che il giorno dopo il materiale stampa sarebbe stato diffuso presso le fabbriche attraverso la rete dei nuclei attivi ( invero pochissimi operai tra centinaia e centinaia di essi) all'interno delle stesse.
In pochi giorni si riuscì ad arrivare a quello che il gruppo di Mario aveva sempre sperato: formare una piccola delegazione di rappresentanza operaia per chiedere un incontro con la direzione dello stabilimento, al fine di discutere migliori condizioni di lavoro, di salario e la nomina di una commissione rappresentativa.
Si trattava di uscire allo scoperto come singoli individui. Si trattava di esporsi in prima persona come possibili " facinorosi" . Benchè il fascismo fosse oramai al collasso, gli operai erano ancora in preda alla paura ; da vent'anni non erano più abituatati ad esprimere un'opinione, né tanto meno un dissenso contro il padrone.
Contro ogni aspettativa, alcuni giorni dopo, l'incontro tra la piccola delegazione operaia delle Leghe Leggere e il Direttore, ebbe luogo nell'ufficio di quest'ultimo. Costui era un ingegnere corpulento, sicuramente incalzato dalle disposizioni belliche e fedele al fascismo, vista la posizione occupata. Fu Mario a parlare per tutti, leggendo un documento concordato, sulle condizioni di lavoro. Il dirigente ascoltò gli operai, loro in piedi davanti alla scrivania, lui seduto dietro la stessa. Alla fine del discorso, l'ingegnere disse chiaramente una sola cosa: non avrebbe tollerato alcun tipo di disordine o interruzione della produzione.
E non accaddero disordini. Gli operai, finito il turno di lavoro, si dispersero.
Quella sera d'estate, nel cortile di terra battuta e cemento, caldo per essere stato esposto al sole per un intero giorno, circondato da sterpaglie e macchinari in disuso, gli operai s'incamminarono silenziosi: non si fidavano di commentare quanto accaduto, magari lo avrebbero fatto più tardi, strada facendo, a gruppetti o in coppia con un compagno, le bici a mano, ma lontano dallo stabilimento.
Il giorno dopo, tutti i componenti la piccola delegazione operaia, Mario compreso, ricevettero la comunicazione dalla Direzione con la quale li si informava che essi venivano immediatamente sospesi dal lavoro per dieci giorni. Questa era la risposta della dirigenza alle richieste degli operai e il manifesto monito, a tutti gli altri, di non riprovarci, pena il licenziamento in tronco.
Mario si trovò di colpo senza lavoro e senza paga. Alla notizia, suo padre ebbe una reazione rabbiosa. La famiglia aveva bisogno del salario di quel ragazzo, i tre fratelli maggiori erano tutti sotto le armi, e, dopo Mario, ce n'erano altri sei, minori, da sfamare e mantenere.
Dieci giorni senza lavoro erano tanti, sembravano non finire mai, tranne il fatto, infondo positivo nel giovane ragionare di Mario, ch'egli avrebbe potuto riprendere a dormire un poco decentemente. Quanto ad occuparsi, egli non restava certo inoperoso, poiché il padre gli intimò di seguirlo presso la sua bottega di fabbro, dove c'era sempre da riordinare.
Fu proprio durante uno di questi giorni che capitò alla fucina Luciano, accaldatissimo. La giornata infatti si prometteva afosa e umida, come lo sono molte giornate estive nei terreni prossimi alla laguna, quando non spira un alito di vento. Cala una cappa che in dialetto veneto è detta " el sòfego", un'atmosfera che soffoca.
Mario si rallegrò assai alla visita inattesa dell'amico. Gli spostamenti cominciavano ad essere alquanto difficili, vista la tensione e le notizie di guerra che aumentavano di giorno in giorno.
" Ascoltami Mario, non ho molto tempo - disse Luciano dopo essersi attaccato ad una bottiglia di acqua fresca che Mario teneva in un secchio, ed aver tracannato a lunghi sorsi - vuoi vedere Amos?... Amos vuole vederti..."
" Che cosa è successo?..." chiese Mario allarmato
" Ci vediamo domani, in campo Santa Maria Mater Domini, appuntamento alle 13. 00 al pozzo. Vieni puntuale, Amos ha poco tempo e non può aspettare molto, fuori. L'ora è giusta, fa un caldo cane, la gente è rintanata in casa, nessuno baderà a noi. Andremo in una casa là vicina, dove una mia amica ci permette di entrare nel magazzeno del carbone".
" Ma si può sapere che è successo?" ripetè Mario.
" Succede che Amos e la sua famiglia se ne vanno da Venezia... scappano... dove e come non so e non voglio nemmeno saperlo" spiegò Luciano, sciacquandosi la faccia con l'acqua dello stesso secchio in cui era stata riposta, prima, la bottiglia.
L'incontro con Amos avvenne, all'interno della carbonaia, al momento vuota, ma egualmente nera per la polvere del carbone rappresa alle pareti. A dire il vero di carbone, nell'inverno precedente, ne aveva ospitato ben poco. I tre amici si sedettero su delle panche che la famiglia usava alla festa del Redentore, in barca, quando la festa si faceva. Da due anni non si festeggiava alcunché. I tempi di guerra non invogliavano...
Amos appariva magro, ma con lo sguardo fiero di sempre. Spiegò che la sua famiglia aveva deciso di lasciare Venezia, il padre aveva trovato un appoggio importante per fuggire. Erano arrivate notizie terribili circa la sorte degli ebrei all'estero; fonti certe e sicure informavano che la stretta sarebbe arrivata anche in Italia. Loro non potevano più attendere. Fino a quando a Cannaregio potevano resistere? fino a quando i vicini di casa avrebbero dimostrato generosità? Erano tempi in cui tutto poteva cambiare in un baleno, anche l'animo di un vicino reputato un onest'uomo, che fino al giorno prima era sembrato amico. Già Amos disperava per la madre, duramente provata nei nervi. Mario e Luciano rimasero in ascolto, non fecero domande di alcun tipo. La carbonaia era alquanto fresca, benché avesse soltanto un'apertura con inferriata verso un canale secondario; ma essendo di spigolo, vi entrava una brezzolina, per uno strano effetto di corrente d'aria. Nessuno dei tre sapeva che dire. Ad un certo punto Amos porse a Mario un pacchetto chiuso in una povera carta paglierina: " Tieni Mario, te la regalo volentieri... è quella maglietta grigio-azzurra di una lanetta decente che mi ha fatto mia madre, l'anno scorso. So che ti piace... accettala, non è certo come nuova... ma vorrei la portassi.. non ora s'intende, visto la caldana che c'è ... davvero non ho altro da lasciarti... fino al nostro prossimo incontro..." e sorrideva Amos perché, malgrado la tensione del momento, sentiva l'ironia di quel suo modesto regalo invernale, in pieno mese estivo.
Mario accettò un po' ritroso, com'era nel suo intimo. A mutare un poco l'atmosfera fu la padroncina di casa. Infatti i tre sentirono bussare alla porta del magazzeno: era l'amica di Luciano che portava una caraffa di acqua fresca con limone. I ragazzi si divisero i bicchieri colmi, parlarono ancora tra loro, ma già era venuto il momento degli addii. Poche parole e si abbracciarono.
Mario uscì per primo dal magazzeno, attraversò il campo in modo obliquo, cercando l'ombra dei tetti e rintanandosi nell'oscurità della calle opposta. Da lì vide uscire veloci Luciano ed Amos, che si avviarono nella direzione di Rialto. Alla sommità del ponte entrambi si voltarono verso di lui e lo salutarono con un ampio cenno del braccio. Una sola volta.
Agosto trascorse nella sua lentezza ed afa estiva. Mario riprese il lavoro in fabbrica, ma il gruppo clandestino ricevette istruzione di attendere gli eventi per qualche tempo e di non esporsi ulteriormente, i fatti bellici che si andavano susseguendo erano gravissimi ed incalzanti.
Dalla Sicilia arrivavano notizie di azioni durissime degli Angloamericani nel ricacciare i tedeschi. A luglio Messina e Randazzo erano state oggetto di un feroce e sistematico bombardamento; agli inizi di agosto si ebbero i bombardamenti di Palermo e fu la volta del durissimo attacco su Bronte ; il 10 agosto la strage di civili ( 16 morti) ad opera dei tedeschi della divisione Goering, presso Castiglione provincia di Messina, il paese venne saccheggiato per puro spregio. Un quadro di devastazione dissanguava il Paese per cacciare i tedeschi. Gli Alleati non davano tregua, tonnellate di bombe cadevano sulle città , sui paesi, sulle ferrovie e sui porti.
A questo punto è necessario ricordare ancora le date.
Il 3 settembre 1943, il governo del generale Badoglio firma l'armistizio con gli Americani, i quali rendono pubblica la notizia in data 8 settembre.
Il 9 settembre i tedeschi hanno già il controllo pieno di Mestre e di Venezia.
Il 12 settembre la liberazione di Mussolini, che era agli arresti al Gran Sasso, da parte di truppe scelte tedesche e su diretto ordine di Hitler, allo scopo di costituire un governo fascista nel nord-Italia, che restasse alleato, fino allo stremo, della Germania nazista e contribuisse alla ritirata tedesca attraverso i valichi alpini.
Nasce così il 23 settembre 1943 lo Stato Nazionale Repubblicano o Repubblica di Salò, a tutti gli effetti un protettorato della Germania Nazista.
Ad ottobre del 1943 avverrà la cattura di oltre mille ebrei romani, di cui duecento bambini, mandati allo sterminio, da parte dei tedeschi
A dicembre 1943 inizierà il sistematico rastrellamento degli ebrei veneziani, per convogliarli al campo di concentramento di Fossoli e da lì ai campi di sterminio.
E così in tante altre città, iniziava la cosiddetta " soluzione finale".
A metà ottobre del 1943, in una mattino oscuro e piovviginoso, nemmeno sbozzato dalla notte, Mario pedalava verso lo stabilimento ; vedeva solo il cono di luce del faro davanti a sé e il proprio fiato tiepido sbuffare oltre la grossa sciarpa che gli copriva metà viso. Nel ritmo del respiro si accorse di venire accostato da un altro operaio, più anziano di lui, con cui aveva scambiato qualche prudente opinione e gli pareva un brav'uomo. Entrambi rallentarono l'andatura. Gianni, così si chiamava il compagno di lavoro, gli disse: " Mario hai sentito? Il maresciallo Graziani ha fatto la chiamata alle armi, una leva obbligatoria per le classi 1923, 1924 e 1925... ieri alla radio è stata trasmessa... Madonna... vi mandano a morire coi tedeschi, sti porci!.. e se non vi presentate, a parte la fucilazione per i renitenti, minacciano ritorsioni a carico dei capifamiglia..." " A casa non c'è la radio " - commentò Mario che s'era sentito il sangue salirgli al cervello e di colpo scendergli agli arti inferiori, in una sensazione di caldo gelido. Sapeva cosa voleva dire quell'arruolamento, per combattere a fianco dei tedeschi, in una guerra estrema già perduta, e morire. " Io per i fascisti e per i tedeschi non intendo crepare, Gianni...".
Ma quando i due arrivarono alla fabbrica ed iniziarono il turno alle presse, pur nel frastuono meccanico, gli operai non parlavano d'altro. E i più anziani guardavano con aria preoccupata gli operai ragazzi che avrebbero dovuto andare a vendere cara la pelle. Ragazzi di circa vent'anni...
Alle diciotto, fine turno, Mario inforcò la bicicletta e fuggì via: era ansioso di arrivare a casa. All'uscita della fabbrica, però, fu avvisato di non percorrere la solita strada principale, poiché per diversi chilometri era piantonata da tedeschi armati sino ai denti, con cani feroci al guinzaglio, e, a quel che si diceva, anche molto nervosi. Avevano arrestato dei civili, portandoli via, caricandoli su camionette. Null'altro era dato a sapere. Il loro aspro " schnell .. schneller " risuonava come un ruggito contro gente che non capiva una parola di tedesco. Mario allora tagliò per vie traverse e poi per i campi. Arrivò a casa tardissimo, avrebbe potuto dormire solo poche ore. Trovò i genitori ancora alzati. La madre aveva lasciato il suo posto ancora apparecchiato per la cena, una fondina di fagioli e un pezzo di pane a capotavola.
Teresa era una donna molto minuta, portava una treccia attorno al capo. " Mario - disse lei in piedi, accanto alla credenza - abbiamo saputo...".
" A me in piazza mi ha fermato un fascista per dirmi " aspettiamo tuo figlio all'ufficio di leva" - commentò suo padre Emilio - ma non ha osato dirmi di più, sono stato capitano durante la prima guerra mondiale, ad Asiago, e di certo quelli non mi sfidano... ma a certuni hanno già detto " se i vostri figli non si presentano, veniamo per le case e vi tiriamo fuori a forza..."
Mario s'era già seduto al suo posto e mangiava a piene cucchiaiate. Passarono alcuni minuti.
Poi udì la sua voce, quasi estranea, dire " Non preoccupatevi" . Si alzò per andare a dormire nella stanza dove stava il suo letto, assieme ad altri tre, tutti fratelli minori. La stanza era pervasa da un tepore quasi animale, Mario sentiva i respiri regolari dei fratelli e il loro odore un po' acre di ragazzi. Si tolse gli scarponi e si stese sul letto vestito. Nel girò di pochi minuti già dormiva pesantemente.
Il giorno dopo, il gruppo clandestino si ritrovò nel retrobottega di un calzolaio, un po' fuori Mestre, cittadina che era diventata pericolosa a causa del nodo ferroviario che portava a raggiera verso varie zone del nord Italia e scendeva poi a Bologna.
Mario espresse chiaramente la sua volontà di non arruolarsi e di entrare nelle forze partigiane che dopo l'8 settembre avevano cominciato ad organizzarsi, soprattutto dopo lo sfascio dell'esercito regio, completamente lasciato allo sbando.
" Sono dentro la leva obbligatoria... classe 1925... devo presentarmi il 18 novembre, ho già ricevuto la cartolina... compio 18 anni l'undici..."
" E che hai deciso di fare? " chiedevano i suoi compagni.
" Non intendo far passare guai a mio padre " rispose Mario guardingo"... lo avete letto il manifesto no? Se non ci presentiamo, prelevano il padre del renitente... Ho tre fratelli sotto alle armi e di cui non sappiamo nulla e altri sei dopo di me... A mio padre non deve essere torto un capello, per cui andrò alla visita di leva...".
Per non esporre la sua famiglia a ritorsioni, Mario, ad anni diciotto compiuti, si presentò alla visita di leva imposta dalla Repubblica di Salò. Venne fatto abile. Gli venne data una licenza di quindici giorni e una somma di 200 lire, da spendere a piacimento. Ma il giovane consegnò il danaro a sua madre per le necessità della famiglia. Avrebbe dovuto ripresentarsi alla fine di quello stesso novembre e partire come soldato, uno dei tanti mandati a spalleggiare la ritirata delle truppe tedesche per i valichi alpini.
Il pomeriggio precedente all'obbligo di presentarsi in caserma, Mario ebbe un ultimo incontro con un compagno socialista, nome di battaglia Attilio.
Si incontrarono in una cascina abbandonata, appena dietro l'argine del fiume Brenta, in prossimità di Mira.
" Allora siamo intesi Mario... domani alle 4 del mattino ti fai trovare, con circospezione, sulla strada comunale, tra i binari e la casa cantoniera... verrà a prelevarti un compagno con una motocicletta, lui saprà a chi lasciarti... portati dietro qualche cosa in uno zaino, ma indossa più roba che puoi... non sarà facile, più avanti, trovare dei vestiti... e se hai ancora un paio di scarpe buone, metti quelle -. " gli disse Attilio, fissando la brace della cicca che oramai si stava spegnendo.
" Chi verrà sa dove portati... tu non fare domande perché sarebbe inutile... quando entri in clandestinità si devono rispettare i silenzi... dove ti porteranno, ti cambieranno anche il nome... non potrai più essere chiamato Mario... pensaci intanto con quale nome di battaglia vorrai essere chiamato..." -continuò Attilio indirizzandogli un sorriso complice - "Sai sparare? "
" No, nemmeno mai provato" - rispose Mario.
" Fa niente, ancora non è indispensabile"- continuò Attilio restando appoggiato con la schiena al muro. La cicca l'aveva gettata, ora teneva le mani affossate nelle tasche-
" Hai una morosa da salutare? "
" No, nessuna morosa " rispose Mario, mentendo. Perché in quel mese passava dalla Jole alla Adele, due ragazze diversissime. Una mora, commessina in un bar, molto estrosa ed espansiva; l'altra studentessa, di famiglia borghese, silenziosa e con un bellissimo paio di gambe. A Mario piacevano entrambe , anche se a ben pensarci la Jole lo attraeva di più. Lo mandava a fuoco, come diceva lei, ridendo. Qualche volta, prima del coprifuoco, era riuscito a portarla per la strada sterrata lungo l'argine. Mario tentava sempre di stringerla perché era una ragazza piena e soda. Lei si sottraeva ridendo e ripetendo " Mario cossa ti fa? ma cosa fai? " , poi alla fine, vicino alla baracca abbandonata dei traghettatori, cedeva un poco e si lasciava baciare lungamente, intensamente. Ma niente di più... Una sola volta che egli aveva tentato di sollevarle l'ampia gonna sul fianco, Jole si era divincolata e siccome il terreno era scivoloso, a causa dell'umidità della sera, la giovane aveva perduto l'equilibrio ed era ruzzolata lungo l'argine, rischiando di finire in acqua. S'era infangata tutta, l'abito buono, l'aveva quasi picchiato...
" Nessuna morosa... che io non possa piantare in tronco" , ribadì Mario... Il suo pensiero andò invece repentino a sua madre. Doveva dirle che partiva, glielo doveva dire quella sera stessa. Poche parole definitive... non ci sarebbe stato nemmeno il tempo per gli abbracci, o per farsi delle promesse. Sapeva tuttavia che la madre aveva intuito. Le sere a cena, silenziosa, gli lanciava lunghi sguardi interrogatori.
" Sei deciso vero Mario? " gli chiese Attilio con tono inquisitorio " Non avrai ripensamenti?... lo sai che sei sin troppo avanti per poterti ritirare ora..."
" Attilio sono sicuro, sono certo, magari fossero già le quattro di domani mattina!! " ribadì Mario.
" D'accordo allora - concluse l'altro battendogli forte la mano sulla spalla - forse potremo anche ritrovarci... ma non è detto... buona fortuna Mario, ne abbiamo bisogno tutti... adesso resta qua, non usciamo assieme... vado avanti io, da solo... tu aspetta una decina di minuti e dopo mettiti in strada" e già gli aveva voltato le spalle.
" Arrivederci Attilio " sussurrò Mario. E rimase a guardare il compagno che si allontanava senza fretta, come fosse in passeggiata, una spalla alta e una bassa, una malandata sciarpa attorcigliata al collo, sulla giacca troppo leggera. Anche per Mario l'aria s'era fatta umida, si battè le mani più volte contro le braccia incrociate sul petto , sentendo sotto la logora giacca la lana della maglia di Amos ; inconsapevolmente ancora cercava nella lana l'odore dell'amico perduto. Quindì uscì anch'egli allo scoperto, raccolse la bicicletta nera di suo padre che aveva buttato a terra, vicino al fosso, e pedalò furioso verso casa. Domani sarebbe stato un altro giorno... un giorno definitivo e per sempre.
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l'autore mariateresa morry ha riportato queste note sull'opera
Preciso nuovamente che tutti i fatti storici anche locali sono documentati. La storia di Mario è vera, Amos è figura di fantasia ma del tutto credibile, costruita anch'essa su documentazioni.
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
4 recensioni:
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- Quando in un sito di scrittori e poeti dilettanti trovo un racconto lungo come questo, non sempre riesco a leggerlo fino alla fine. Spesso attribuisco la colpa al monitor, alla posizione scomoda del collo, alla mia stanca vista di vecchio, ma molto più spesso allo scarso interesse che suscita. Al contrario, il titolo di "Amos e Mario", ha subito stuzzicato la mia curiosità critica; più che dai nomi, mi sono lasciato attrarre dalla preziosa e indovinata aggiunta esplicativa "Italia anno di guerra 1943".
L'introduzione dettagliata dei protagonisti, dei luoghi e dei tempi dell'azione, ha l'immediatezza della sintesi e rimane subito impressa nella mente del lettore.
Commuovono subito i due operai diciottenni proiettati in un contesto lavorativo, già di per se sfavorevole e reso ancora più ostile dal periodo in cui sono costretti a sopravvivere: correva l'anno di guerra del 1943. Ho detto volutamente sopravvivere; come si può pensare che fosse vera vita quella, alla loro età! Le ristrettezze del tempo, i volantini anti fascisti, la precarietà del lavoro, l'essere ebrei, drammatizza prontamente la narrazione e coinvolge. Proprio dall'inizio si capisce quando tutto il racconto è parte di chi lo scrive, che l'autore ci mette l'anima, (come si dice); ci si rende conto che l'autore non tralascia alcuna emozione, trascrive di getto le sue complicità, le sue convinzioni, trasmette un fuoco di amore e sofferenza ad ogni parola del suo lavoro.
Le date salienti, l'ingresso del nuovo amico Luciano, la situazione oltralpe, l'ampliarsi della difficile protesta, non mancano di seducenti rappresentazioni paesistiche lagunari. Rilassante e toccante poi, in un momento cosi tragico, la lettura e l'ascolto condiviso dell'Infinito da parte di tre ragazzi affamati e sballottati da eventi tanto più grandi di loro. E l'abbracciò, disperato e consolatorio, quasi fosse l'ultimo, e che Mario non dimenticherà mai, forse anche perché oppresso dal peso di quel segreto che non poteva rivelare ai sui amici. Trovo questo brano un momento di effettiva poesia; non a caso Mariateresa Morry scrive anche liriche.
La Morry, quasi le abbia vissute di persona, continua con una successione di date, precise fotografie degli avvenimenti di allora e coinvolge nuovi soggetti. Un certo Giuliano, descritto graziosamente come "uno tra loro" arricchisce e rende più drammatica la storia. Ormai la protesta si allarga e si passa ai giornali. Intanto Mussolini viene destituito, incomincia a serpeggiare la speranza di libertà, ma la paura è ancora tanta. La descrizione che segue è molto eloquente e sofferta: il coraggio di parlare col direttore dello stabilimento, la sospensione dal lavoro e dalla paga per dieci giorni, la ricomparsa di Luciano con la notizia che Amos scappa da Venezia, gli Angloamericani in Sicilia, la strage di civili perpetrata dai tedeschi presso Messina. Un susseguirsi di avvenimenti riportati con dovizia di date, competenza e una buona carica di pathos. La situazione precipita con il controllo di Mestre, Venezia e il sistematico rastrellamento degli ebrei da parte dei tedeschi; il reclutamento delle classi 1923, 1924 e 1925 esaspera gli animi e colma la pena.
Una storia nella quale campeggia la sofferenza dell'autore interiorizzata per l'angoscia di ricordi quasi vissuti. Una relazione narrativa scaturita da un elevato grado di riflessione personale. La difficoltà di partecipare per iscritto situazioni e sentimenti propri è semplificata da un evidente bagaglio culturale della Morry che descrive il tutto con cura e riesce a farlo apparire emotivamente vero e reale.
Al triste incalzare degli eventi si contrappone piacevolmente il breve e simpatico accenno alla vita sentimentale di Mario e anche la sua lodevole generosità che gli permette di devolvere alla famiglia le 200 lire ricevute in dono. Un episodio voluto per alleggerire la sofferta decisione concordata con il compagno di lotte Attilio.
Devo far notare una preziosa capacità tecnica dell'autrice: i nomi dei protagonisti sono menzionati solo poche volte, ma la loro azione è costantemente al centro della scena. I nomi dei non protagonisti, ma pur fondamentali, vengono citati poco alla volta, quasi con riverenza e rispetto per il ruolo che occupano: una vera finezza.
La frase che chiude il racconto "Domani sarebbe stato un altro giorno... un giorno definitivo e per sempre." lascia al lettore ogni libera considerazione. Alcuni si fermeranno a meditare, a chi ha vissuto in propria persona quei momenti si veleranno gli occhi di lacrime, altri, forse un po' distratti, considereranno il racconto una delle solite storie di guerra.
- Ho terminato di leggere tutto d'un fiato il tuo bellissimo racconto. Sei riuscita a coniugare l'intensità espressiva connessa al sorgere del sentimento antifascista, al rigore dello storico, riportando gli eventi di quel periodo, che determinano lo snodarsi del contesto narrativo. Mi sono proprio identificato in Mario, dicendomi: sì, avrei voluto essere come lui. A poco a poco si rende conto che non si potevano accettare quelle atrocità e bisognava esporsi direttamente, per dare un contributo finalizzato alla formazione di una società più giusta, dove la libertà non fosse soltanto un termine vuoto. E poi alla sensibilità sociale unisce la valorizzazione dell'amicizia. Quanto dolore nello sguardo verso Amos, che si dirige forse verso un destino di sofferenza. E poi la decisione di combattere a fianco della Resistenza. Non è stato facile abbandonare la propria famiglia, la possibilità di vivere un amore felice, ma poi nel cuore è germogliata la speranza in un domani migliore...
E mi ha affascinato il tuo stile diretto, immediato, incalzante, che permette alle parole di arrivare subito al cuore dei lettori.
Che dirti di più? Il racconto mi ha affascinato da tutti i punti di vista e attendo, come altri, la continuazione...
Un caro saluto
- Continuando nella lettura vengono in mente altri autori nello stile del racconto. Ad esempio Pavese, nelle sue descrizioni del territorio di campagna, e delle persone che vivono di cose semplici (mi torna a mente la luna e i falo'). Eccellente
- E no che non puoi finire così! Che ne fu poi dei suoi e tuoi cari, arrivò a doversi battere e quale fu poi la vita da partigiano e come te la raccontò? Insomma, come finì? Infine un consiglio, se mi è permesso: sii più diretta e meno descrittiva, anche a scapito della precisione assoluta, ne guadagnerà il pathos e nessuno ti farà le pulci sui fatti storici. Ti copriremo noi le spalle. Forza, dai!
- Una scelta difficile, pericolosa e senza ritorno quella di Mario ma l'unica praticabile secondo quanto la sua coscienza e i suoi ideali gli dettavano. Un racconto dalla lettura affatto pesante pur nella sua lunghezza, che si fa leggere e avvince per la forza dei suoi contenuti. Concordo con gli altri sul fatto che la storia, benchè possa fermarsi qui col suo finale aperto, meriterebbe di essere ulteriormente aggiornata circa il prosieguo degli avvenimenti. Sarebbe interessante capire che ne è di Mario, dei suoi amici e dei suoi cari dopo la sofferta e "irreversibile" scelta... Complimenti Morry, un ottimo racconto.
- devo ammettere non sono una lettrice di romanzi storici, fatico a seguirli, ma questo andava letto... sei molto brava davvero... sai perchè non leggo questo tipo di romanzo?? Io poi mi immedesimo e finisco con lo stare male e questo succede se l'autore mi fa entrare interamente nel suo racconto e tu ci sei riuscita... brava e come gli altri aspetterò il seguito!!!!
Anonimo il 20/01/2012 08:11
Molto bello, coinvolgente e storicamente assai interessante specialmente per quei giovani che non conoscono bene la storia di quegli anni. Sì, potrebbe finire qui lasciando intuire tutte le peripezie del protagonista, ma il lettore vorrebbe certamente conoscere alcune storie partigiane di Mario e la sua fine, e quella dei genitori. Vedremo... noi aspettiamo. ciaociao.
Anonimo il 13/01/2012 20:30
Ci sono impegno ed anima, storie vere e verosimili toccanti, con pennellate di assoluto lirismo. Il finale sospeso lascia aperta per il lettore la porta della propria fantasia. Con te " vedo " quello che vai narrando. Grazie!
- D'accordo... avrete anche la fine della Storia... a tempo debito
- ha ragione maurizio: non può finire così. È scritto con la classe che ti si riconosce e credo che se tu non conosci la fine della storia potresti tranquillamente inventarne una.
Anonimo il 11/01/2012 23:55
Un applauso Mi è piaciuto, e molto anche, ma potremo parlarne faccia a faccia fra qualche giorno
- Più che racconto un bel pezzo di vera storia vista da chi ne è stato suo malgrado attore... meravigliosamento scritto dall'autrice
- Davvero un bel racconto, brava!
Anonimo il 10/01/2012 19:19
Delizioso racconto, pieno di sincera passione di scrittrice.
Le storie e i personaggi si muovono agilmente negli scenari veneziani dell'epoca. Veramente pregevole, cara Maria Teresa.
Grazie per il privilegio della prima lettura.
Una grande gentilezza da parte tua.
Ti abbraccio e ti auguro ogni bene. Brava.
Shalom, Pietro
- veramente coinvolgente! bello! non dico altro. complimenti!
- complimenti alla tua bravura
Anonimo il 10/01/2012 14:44
dovizia d paticolari, piacevolissima lettura nonostante si tratti di un racconto di un certo spessore... di eventi importanti che hanno fatto la storia del nostro paese... forse i miei complimenti sono superflui ma io te li faccio egualmente bravissima Morry un abbraccio carla
- aspettavo la terza parte
- LO leggo con calma apsettavo questa terza parte
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