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Il bello dei gatti
Jack non era certo un bel vedere, quando comparve la prima volta come venuto dal nulla, nel vano della piccola finestra che dà sul giardino, dove alloggiavano, ormai in pianta stabile, gatti di ogni colore, di varie dimensioni e di tutte le età.
Se ne stava in disparte, un po' discosto dal branco, che accettava malvolentieri gli sconosciuti, specialmente se in pessimo stato.
E questo era proprio il caso di Jack, col suo muso incrostato di vecchio catarro, la coda mozza e l'occhio sinistro ridotto a una palla grigiastra e tumescente, che gli impediva una chiara visione modificando la realtà al punto di farlo avanzar di sghimbescio e finire contro l'albero di limoni, o cascare dalla tettoia dei polli con troppa frequenza.
Tuttavia non era vecchio, pur se lo sembrava, anzi a dir il vero pareva ancora un cucciolo, forse appena un po' più del micio, comunque non ancora un gatto.
Non so come fosse capitato lì, probabilmente avvenne in modo del tutto automatico, come semplice conseguenza del randagismo, o forse attirato da un qualche miagolìo notturno più intenso e prolungato del solito, o dall'odore di cibo che, specie d'estate, si diffondeva sulle onde dell'afa fino alle sue acute nari.
Comunque sia, ora era lì con la sua aria impacciata da estraneo, il suo occhio a palla e il muso spelacchiato. Probabilmente il suo appetito era più grosso e ardito di lui, perché quando fu l'ora del pasto non seppe frenarsi, e dopo un paio di stiracchiamenti, uno sbadiglio e una sgranata dell'unico occhio utilizzabile, si avviò con passetti malfermi, ma in cui si esprimeva tutta la sua gagliardia di giovane gatto attaccato alla vita, verso i saporiti bocconi.
Di sicuro ho impiegato più tempo io a scriver queste cose, che la furia degli altri gatti nel troncare repentinamente il famelico tentativo di Jack.
Fu un immediato scatenarsi di gridi acutissimi, di soffi e un sollevarsi simultaneo di temibili gobbe.
Il povero Jack.. non ebbe scampo, dovette abbandonare l'impresa e scomparire più in fretta di quanto le sue instabili zampe potessero consentirgli.
- i gatti non hanno cuore!- sentenziò il mio vicino Ernesto, che come tutti i vicini di casa si sentiva sempre in dovere di ribattere e contrastare - odiano i loro simili, e persino.. i loro stessi figli...-
- fanno solo ciò che fanno gli uomini, ma senza l'ipocrisia...- risposi, ma in tono conciliatore.
- Non capirò mai il tuo amore per loro... mah...!-
Bofonchiò ancora qualcosa e uscì, il che significa uscì di scena, poiché in effetti passò dal terrazzo alla camera interna... per cui rientrò.
Con la stessa velocità con cui era sorto, il parapiglia gattesco era cessato, ciascuno tornò in sé. I gatti, finito il rancio e dopo qualche occhiata circospetta in giro, si accovacciarono ognuno per conto suo, tranne Jack che era scomparso.
Scene simili non mi erano nuove, ma Jack rimase a saltellarmi tra i pensieri per un bel po', tanto che gli affibbiai pure il nome Jack... in fondo forse non era neanche un nome da gatto, ma qualche sera prima avevano dato in tv l'ennesima replica di Titanic, e mi venne naturale associare il mio spelacchiato ospite al povero e sventurato protagonista.
Dovette trattarsi di uno di quei lampi di genio, o meglio d'istinto, che non si sa da dove vengono, ma vengono.
Dunque, Jack doveva essersi preso un bello spavento per quella masnada indemoniata che in tal modo lo aveva assalito, perché per tutta la settimana a venire non mostrò il suo muso intonacato di croste in nessun angolo del giardino, incluso l'estremo oriente accuratamente disertato dai gatti, per via di Sacha, l'inclemente pastore tedesco con antenati russi, il quale aveva stabilito proprio in quell'angolo la sua sede di governo.
Si trattava di una femmina in procinto di parto, fatto che rendeva la cosa doppiamente intimidatoria per qualsiasi incauto avventore.
Non ci pensavo quasi più, solo, a tratti, mi sorprendevo ad augurargli d'aver trovato una soluzione adeguata al suo poco agevole caso.
Soluzione che, evidentemente, non si era prospettata, poiché una mattina me lo ritrovai davanti, più striminzito e arruffato che mai, al solito posto, lo sguardo perso nel ricordo di quei bocconcini che gli erano sfuggiti, l'ultima volta.
Lo guardai, ma lui non sapeva di me, né della mia relazione col cibo agognato, perciò mi ignorava.
Se ne stava immobile, l'occhio circospetto e una serie di silenziosi sbadigli intercalati da sporadiche leccatine di baffi... senza sapore.
Io, che non so trattenermi dallo sfamare gli affamati quando mi so in possesso di ciò che può dilettargli le viscere, non seppi trattenermi dal tirargli un pezzetto di cibo.
Si scatenassero pure le furie gattesche... dovevo tentare... e le furie non mancarono, e il povero Jack, ancora una volta, se la diede a gambe.
Il fatto è che Jack era un micio, e ancora non gli era chiaro il suo ruolo né quello degli altri... per lui contava una sola cosa: addentare un boccone, in qualsiasi modo e a qualsiasi costo.
E la sua costanza, di tanto in tanto, lo premiava. Mentre i suoi simili si azzuffavano, a causa sua, lui ingollava ogni bocconcino che gli capitava a tiro, ma... a un certo punto, c'era sempre uno dei gatti che ricordava l'origine di tale trambusto, cioè :Jack!
A questo punto non c'era più nulla da fare, bisognava che se la desse a gambe.
Si andò avanti così per tutta l'estate, e poi, l'autunno, e poi... arrivò l'inverno.
E fu l'inverno a cambiare Jack... nel mio gatto Babuscio...
Jack, a forza del suo zelante spiluccare era diventato un bel gatto, con una bella pelliccia lucente e folta, senza traccia di spelacchiature, un musetto arrotondato dalle proteine e da cui erano sparite le croste, persino il vecchio occhio tumefatto aveva ridimensionato il suo insano turgore, e ora si muoveva con agilità tutta felina come uno che conosce il pericolo, e lo guarda maestosamente in faccia.
Talvolta riusciva persino a stiracchiarsi prima d'andarsene, e lo faceva guardando con aria di sfida il nemico, il quale, a sua volta, si divideva in due fazioni : quelli che, a tale vista, si giravano sdegnati dall'altra parte, e quelli che non sapevano trattenersi dal rizzare il pelo e partire in quarta.
Jack conosceva a memoria tutto l'andazzo, e non si spauriva più di niente, tuttavia sapeva bene quando doveva farla finita. Senza possibilità d'appello!
Si trattava del doveroso tributo da pagare alla gang del quartiere, e lui ci teneva troppo al suo rancio per infischiarsene.
S'era stabilito, così, tra le parti, una specie di tacito accordo, che lungi dall'essere tale, tuttavia consentiva a ciascuno uno svolgersi relativamente pacifico delle proprie abitudini.
Ormai, Jack associava le mie sembianze alle cibarie che regolavano la sua sussistenza, perciò, in tutta onestà e senza presunzione... io ero la sua sussistenza.
Questo, se da un lato mi punzecchiava l'orgoglio, dall'altro mi intrappolava tutte le facoltà, a partire dal libero arbitrio.
Jack dipendeva da me. Io dipendevo dalla sua dipendenza. Non so se il circolo iniziasse e finisse tra noi, ma ha ben poca importanza.
Eravamo lui ed io, con in mezzo la zuppa, che ci legava l'un l'altro.
Qualcuno ha detto che il bello dei gatti è che sono animali indipendenti, autonomi e padroni di sé.
Io dico che il bello dei gatti è la capacità di far smarrire, al disgraziato che se ne occupa, l'indipendenza, l'autonomia e la padronanza di sé.
Per farla breve e dirla in parole più che povere, il gatto è "quell'animale tomo tomo cacchio cacchio, che raggiunge la sua piena realizzazione tramite l'altrui annichilimento.
Il tutto viene fatto con antichissime e collaudate tecniche a base di passi felpati, sguardi innocenti e vocalizzi pietosi.
Nella maggior parte dei casi
Funziona a meraviglia; se no si passa ai contorcimenti sdolcinati e a languide strizzatine d'occhi. E allora è fatta. La conquista è totale e imperitura.
E fu così che Jack venne ad aggiungersi alla nostra gattesca famiglia, già peraltro numerosa.
Fu per questo, e per tanti altri subdoli e spudorati motivi che la mia mente bestiofila seppe escogitare... come il fatto che ormai incombeva l'inverno, che forse le migliorie così duramente e tenacemente conquistate sarebbero andate perdute, perché Jack avrebbe potuto non resistere, sarebbe potuto ammalarsi, sarebbe, forse, potuto morire...
Insomma tante e tante di quelle pignolerie catastrofiste mi balzarono in mente che alla fine dovetti ammettere che se lo avessi lasciato alle intemperie invernali, avrei potuto non perdonarmelo giammai!
E così, adesso è qui. Proprio qui, tra me e il foglio che fortunatamente è virtuale, e che non corre rischio d'esser cincischiato dalle sue unghie, che pure lo vorrebbero.
Sta qui, con i suoi otto chili di decennale casalinghitudine, con le sue occhiate sornione, con la sua faccia da finto tonto che inutilmente cerchi di fregare, con il suo ronfo sordo e ritmato che induce al sonno e alle coccole, coi suoi sbadigli a tutta fauce, presagi di voglie mangerecce, con la sua improvvisa smania di trastulli e... con tante altre cose ancora...
Ed è ancora qui con me... a dispetto di tutte le malefatte... di tutte le scorribande da ex selvatico... le ruberie... il frigorifero spalancato nel cuor della notte... i maglioni pieni di peli... i tappeti scorticati... i battibecchi per salvaguardare la sua incolumità...
Una volta s'è pure beccato una martellata, così di sghimbescio, che lo sfiorò appena ma che lasciò il suo sguardo a lungo interdetto.
Specie quando incontrava il suo fustigatore, Ernesto il terribile, che continuava a ripetere : "non hanno cuore i gatti... che il diavolo se li porti!"
Jack aveva un autentico terrore delle di lui sembianze, tanto che appena ne intravedeva le fattezze o uduiva il suono della sua voce stentorea, o ne avvertiva, a mezzo del fiuto gattesco, l'odore, ecco che passava immediatamente all'allarme rosso. Orecchie dritte, occhi a tutto tondo con pupille dilatate, posizione di difesa e insieme d'attacco, come solo i gatti sanno approntare, espressione tesa, attenta, vigile, da massima allerta, appunto.
Senti Jack - dissi un giorno in cui quell'anima persa mi aveva particolarmente seccata coi suoi motteggi anti felini - dobbiamo dargli una lezione. Dobbiamo assolutamente dargliela, capito?
Non so cosa intendessi veramente, e non so cosa lui avesse inteso, ma vidi Jack strizzarmi l'occhio con fare tranquillo e saggio, come per dire : ogni cosa a suo tempo...
Dopodiché di distese a ronfare.
Forse davvero i gatti hanno in sé qualcosa di magico, di enigmatico, di estremamente misterioso. Sembra sempre che la sappiano più lunga di noi, almeno su certe questioni. E non fanno mai nulla che non abbia un motivo. Ogni gesto, ogni occhiata, ogni impresa ha uno scopo. In caso contrario, il gatto adulto preferisce sonnecchiare avvolto su se stesso, se è inverno, o lungo sdraiato se estate, ed è il suo modo, davvero invidiabile, di sottrarsi alle noie.
Dunque, ero ormai sicura che Jack sapesse qualche cosa che io non sapevo, ma che presto scoprii.
E con immensa gioia.
Una mattina, mentre assaporavo un raro attimo di sosta domenicale alla finestra, i miei occhi videro ciò che mai avrebbero osato sperare e di cui non potevano né volevano capacitarsi : un provvidenziale animaletto grigio, dal musetto a punta, le orecchie dritte, la coda sottile come uno spago, si trastullava indisturbato sul davanzale della finestra di Ernesto.
Fece un paio di giri, annusò qua e là, e dopo una rapida occhiata in giro sgattaiolò lesto lesto all'interno, infilandosi tra la piccola crepa che il tempo aveva scavato tra il muro e l'intelaiatura della finestra, perché offrisse riparo ai reietti della sua specie.
Eh, già, la natura sa sempre quel che fa. Se quelle creature esistono vuol dire che a qualcosa serviranno, e se serviranno vuol dire che è giusto preoccuparsi di loro, e se nessuno se ne preoccupa lo farà la natura, direttamente. E con gran successo. Non si vorrà certo negare la loro straordinaria prolificità e capacità di resistenza ad ogni genere di attacco.
Uno schifoso sorcio, mi si dirà. Un provvidenziale sorcio, dirò io.
Perché Ernesto, uomo grande e grosso, spavaldo e burbero, era afflitto da una autentica "sorcio fobia".
Ecco perché Jack se ne stava sempre lì, accovacciato e guardingo, con lo sguardo fuori dalle orbite e della finestra, ecco perché mi sembrava distratto e assente, e mi capitava di doverlo cercare dappertutto prima di scoprirlo, ingobbito e tremolante con la coda che oscillava come un pendolo, pronto a guizzare... per dove?
Ecco perché, anche d'inverno, preferiva la finestra alla calda copertina accanto alla stufa. Era il suo posto d'osservazione. La sua torre di controllo del traffico sorciaiolo.
E io che lo credevo ammalato. Magari solo di nostalgia, ma ammalato. In fondo si trattava sempre di un trovatello, un gatto di strada, e la vita di strada con tutte le sue piaghe può ragionevolmente produrre una sorta di dolce malinconia nei suoi reduci.
Invece Jack non aveva di questi crucci, era un gatto assennato. Giudicava la vita di strada molto meno affascinante del maglione d'angora nell'armadio, dell'angolo delle mie gambe nel letto e della ciotola colma e fragrante.
Lui era solo preso da una irrefrenabile smania venatoria, quella sì mai dimenticata.
E pazienza se la preda aveva scelto di annidarsi proprio nella casa di Ernesto, il suo peggior nemico.
Ormai sul davanzale ci dormiva pure, era in stato di massima allerta.
L'unica cosa che Jack non riusciva ancora a concepire, era il dilemma di come riuscire ad arrivare fin lì. Non sarebbe mai saltato dalla finestra col rischio di rompersi il collo, né sapeva dell'esistenza di una rampa di lancio tra la nostra casa e quella che il sorcio aveva adibito a dimora.
Ma io, sì, ed aspettavo che la faccia stravolta di Ernesto facesse il resto.
Aspettavamo entrambi, io e Jack, con uguale pazienza ma diverso interesse. Avevamo entrambi un unico dubbio : liberarci del sorcio, o liberarci di Ernesto?
Io optavo per Ernesto, lui per il sorcio, senza possibilità di appello.
Così quando, ridotto sull'orlo della disperazione dalla scoperta del topo, Ernesto varcò pure la soglia del ridicolo affaccendato in mille incredibili scuse per far entrare il gatto in casa, senza darne l'impressione, potemmo gustare il dolce sapore della vittoria.
Opposi tutte le mie forze, ricorsi a tutte le mie risorse di selvatichezza remota, per non cadere nella tentazione dell'"aiutiamoci l'uno con l'altro". Fui una vera peste. Inventai, per Jack, situazioni al limite del paradosso... sta male, vomita dappertutto... ha preso la cachessia da vecchiaia, oh! Una incontinentissima incontinenza!... è scappato di casa... si è imbestialito, dovrò farlo rinchiudere... e finii con l'apocalittica scena di Jack che, preso da demenza gattile per l'inspiegabile fatto d'esser finito in una casa sconosciuta, si dava alla sgraffiatura incontrollata della suddetta...
Tuttavia, la cara bestiola per la quale ci coprivamo a vicenda di bugie e di vergogna, quella che avevo adottata strappandola a viva forza dalle grinfie della miseria, e alla cui ribalderia m'ero a tal punto affezionata, non pareva dar molto peso alla cosa, nel senso che se ne fregava delle mie fatiche disquisitorie, passava sopra i cavillosi pretesti, sgattaiolava sotto le sudate scappatoie.
Alla fine mi guardava pure in tralice coi suoi occhi da cattus philosophus, iridescenti e alteri.
Quelli erano i momenti che gli avtrei tirato un calcio!
Traditore!
Non avevamo concordato di dargli una lezione, a Ernesto? Bel modo di mantenere le alleanze! Non potrei fidarmi di te neanche se giurassi su tutti i sorci del mondo. Ma tu guarda - continuavo, presa da irrefrenabile impulso gatticida - che tipo!
Aveva ragione mia nonna : il gatto è infido, infingardo e traditore, diceva... e io aggiungo : corrompe prima la mente e poi il cuore!
Con quelle sue mossettine felpate, le occhiate strategiche, il suo fare meditabondo e struggente.. è un patetico, uno stratega del "lisciami pure il pelo che ti prendo l'anima.
Così che quando credi d'averlo in pugno, e il tuo cervello infatuato lo ha trasformato nell'oggetto delle tue più segrete cure, proprio quando sei convinto che un amico più pacioccone di così non può ragionevolmente trovarsi su questa terra, all'infuori di lui medesimo, ecco che ti spiattella il suo screanzato " non me ne frega un baffo dei miei delle tue credenze, dei tuoi patti e delle tue alleanze... e poi, manco me li ricordo... quando te ne ho parlato?
Questa è l'essenza del gatto. La quintessenza della strafottenza. Un nucleo di malacreanza ricoperto di peli. Con una faccia da schiaffi.
Si può sapere che hai? - facevo - Bestia fedifraga e voltagabbana.. apostata del duo gatto e padrone.. gatto senza stivali...
Per tutta risposta si girava dall'altra parte mostrandomi il dosso della schiena e i panciuti fianchi dove il pelo, folto e lanuginoso, si apriva in piccoli vortici di colore più chiaro.
Il furfante lo sa che non avrei cuore per colpirlo alle spalle. Sa anche che quei piccoli vortici hanno il potere di atteggiarmi la mano in una morbida carezza. Ma, soprattutto, sa che le mie sono solo parole.
Io, però, continuavo imperterrita la mia solitaria battaglia contro l'insopportabile Ernesto e le scostumatezze del mio gatto... no, non avrei mai concesso a Ernesto di servirsi del mio gatto senza sconfessare una per una le sue maldicenze, né avrei permesso a Jack di rendergli tale servigio senza la mia approvazione.
Dovettero proprio a uno di questi momenti, il realizzarsi repentino e inatteso dei loro propositi.
Jack, approfittando di uno dei nostri battibecchi, sgattaiolò lestamente tra le maglie dei nostri dissennati diverbi, e raggiunse la sua meta, vale a dire la casa di Ernesto, dove un sorcio che si credeva furbo avrebbe avuto il suo daffare con un gatto che si credeva assai lungimirante.
Ma erano solo un sorcio e un gatto. Come migliaia di altri sorci e di altri gatti.
Non so quanto durò. Sicuramente più di un giorno, e certamente meno di due.
Dalla battaglia uscì vittorioso Jack, che mi si presentò più arrogante e immodesto che mai, un autentico pallone gonfiato che si leccava i baffi.
Il peggio è che fu accompagnato da Ernesto il quale, candido e sincero come una volpe in agguato, mi salutò dicendo : " sai qual è il bello dei gatti? No! - risposi- e chiusi la porta.
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2 recensioni:
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PIERO il 15/02/2012 23:28
Grande, grande, Rosaria! Dico sempre che non so quanto pagherei per riuscire a entrare nella testa di un gatto (nel senso di capire quello che pensa) e mi pare che tu ci sia andata abbastanza vicino.
Questo Jack che, da ultimo dei reietti, diventa il deus ex machina della vicenda, relegando in secondo piano i supposti protagonisti, te e Ernesto, è IL gatto per eccellenza. Le sue scorrerie per farsi accettare, prima di dominare, hanno un che di epico, in certi momenti il campo di battaglia sembra quello dei ragazzi della Via Paal!
- Che dire. Questo racconto spiega delle cose vere, in fatto di gatti, di topi e di uomini. E di donne "dominate" dai gatti, per senso materno forse. È un racconto che si legge che è un piacere. Divertente, istruttivo, e descritto con dettaglio senza che ci si annoi. Complimenti!
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