Sicura che lo avrebbe trovato sveglio, lo raggiunse penetrando nella stanza e nei suoi pensieri, con una luce metallica.
Profonde occhiaie segnavano il suo viso; i folti capelli castani scompigliati da notti insonni contribuivano al suo aspetto trasandato, sofferente Si teneva la testa tra le mani, fumando una sigaretta dopo l'altra, quasi senza interruzione. Seduto su una sedia in cucina, con i gomiti appoggiati al tavolo guardava la luce della luna. Oltre la grande finestra c'era il cortile. Ancora una luna piena: era tornata e rischiarava le sue notti. Poteva distinguere le forme più grandi: gli alberelli di limone assetati, con le foglie avvizzite e le altre piante morenti per la mancanza d'acqua e di cure. Le erbacce crescevano ormai in ogni spazio con l'invadenza e la forza della natura che da una parte dà e dall'altra prende, apparentemente senza una logica accettabile. Aveva perso quindici chili in sei mesi, la cintura era ormai troppo lunga ed era costretto a rivoltarla su se stessa all'estremità. Gli occhi gonfi e incavati puntavano lo sguardo nel vuoto oppure seguivano le traiettorie capricciose del fumo. Lo osservava uscire dalla sua bocca e disegnare linee immaginarie, come strade impercorribili su cui lasciarsi scivolare prima di sparire. Forse stava vaneggiando ma non gli importava. Ancora quella maledetta luna: erano passati sei mesi, come sei secondi o come l'eternità. La sua bocca socchiusa, come una ferita non rimarginata, compiva piccoli movimenti. Parole accennate, impercettibilmente uscite dal suo intimo e sfuggite scivolando dalle labbra all'ingiù. Si perdevano nell'infinita solitudine, sparendo insieme al fumo. "Dai facciamo un giro, voglio andare al mare e fare il bagno di notte", gli aveva detto. "é da tanto che non lo facciamo", aveva insistito, "Voglio tuffarmi e rimanere in acqua con la luce della luna". Lo aveva convinto. Avevano preso la moto e una coperta.
Contagiati dalla stessa febbre, impregnati dei loro odori, entusiasti del loro tempo. Tempo che scorre; generoso fluisce.
Le guance apparivano scavate, risucchiate all'indentro con la pelle appoggiata agli zigomi ed il naso, stretto e pronunciato, sembrava più grande di quanto non fosse mai stato. Si alzò e, zoppicando, si diresse verso il letto. Aveva continuato ad usare la sua parte, la sua porzione di materasso forse per paura di superare un confine doloroso, uno spazio infinito, un vuoto incolmabile. Restò rannicchiato in uno stato di torpore ad aspettare che facesse giorno. Quando si alzò c'era una luce intensa, un sole invernale emanava un certo calore. Aveva la barba lunga, la pelle del viso era secca. La luce del mattino metteva in evidenza molte rughe. Uscì attraversando il cortile, gettò un'occhiata a quello che rimaneva della moto: un insieme di forme distorte, scrostate ed arrugginite. Oltrepassò il cancelletto della sua proprietà e fece la stessa strada che ripercorreva ogni mese. Già ad una certa distanza erano visibili i segni che la moto aveva lasciato sul muretto. Sentì nella sua mente ancora una volta il rumore della gomma che era scoppiata. Rivisse i tentativi di mantenere il controllo del mezzo; riaffiorò la disperazione del momento in cui la sua donna era stata sbalzata dalla sella, finendo nella carreggiata opposta... l'inutile disperata e stridente frenata del camion che la investi in pieno! Pianse, con un fiore in mano. Soltanto lì, riusciva ad esternare il suo dolore che altrimenti rimaneva compresso nel suo petto, stagnava pesante nella sua testa. Poggiò delicatamente il fiore sulla strada, nel punto dell'impatto. Anche quel fiore sarebbe stato spazzato via da lì a poco, ma lui sarebbe tornato ancora e poi ancora fino a quando ne avrebbe avuto la forza.
Avrebbe aspettato la luna... era lei che scandiva il tempo ormai...