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L'incontro
Era il suo primo giorno di ferie ed era deciso ad approfittare di quel periodo.
Guidava una vecchia Ford rossa: il lungo cofano e il frontale dall'aspetto aggressivo ricordavano un animale predatore; la linea bassa e allungata prometteva velocità e forti sensazioni.
Tim aveva trent'anni: longilineo, il viso dai tratti regolari, gli occhi profondi e scuri, i capelli piuttosto lunghi e raccolti in un codino; senza legami sentimentali ormai da diversi mesi. Da quando aveva rotto con la sua ragazza, non si era concesso un momento per sè e l'idea di visitare l'Arches Park lo aveva sempre solleticato. Aveva controllato l'olio e le gomme e si era messo in viaggio di buon'ora. La statale che lo avrebbe portato a Moab era affascinante. Presto si sarebbe immerso nei colori del deserto e nelle spettacolari forme delle guglie, delle formazioni rocciose e degli archi di quel posto unico. Viaggiava spedito già da alcune ore; rilassato si godeva il panorama nei lunghi rettilinei, ripensando alla vita trascorsa e ai suoi progetti. Il sole abbronzava il suo braccio sinistro appoggiato al finestrino. Gli venne fame: "Mi faccio un hamburger" pensò.
Entrò nello spiazzo dell'autogrill, parcheggiò l'auto davanti al locale e scese.
Mentre chiudeva lo sportello, un'altra auto si affiancò alla sua e spense il motore. Dalla elegante berlina nera con i sedili in pelle, scese un uomo dall'aspetto distinto: indossava un abito scuro di taglio italiano, occhiali da sole con la montatura di metallo dorato e stivali in pelle di pitone. Tim si avviò ed entrò nel locale. L'ora di pranzo era passata da un po' e il posto era quasi vuoto. Una coppia stava ancora mangiando mentre una famiglia andava verso l'uscita. Tim si sedette ad un tavolo e ordinò qualcosa, intanto l'uomo che era rimasto ad indugiare nel parcheggio, varcò la soglia e si sistemò ad un tavolo piuttosto vicino al suo. Il locale non era grande, La maggior parte dei tavoli erano allineati davanti alle vetrate. L'arredamento era di scarsa qualità, alcune pale a soffitto garantivano un minimo di refrigerio. Anche l'uomo scelse qualcosa dal menù e poco dopo mangiava di gusto. Tim aveva finito il suo hamburger e stava sorseggiando un caffè quando ad un tratto si accorse che il suo elegante vicino stava soffocando. Non riusciva a respirare, emetteva suoni rauchi ed era diventato paonazzo. Sembrava però che nessuno si accorgesse di quello che stava avvenendo: Tim balzò dalla sedia e sollevò in piedi l'uomo; lo cinse con le braccia all'altezza del petto tenendolo da dietro e spinse con energia e decisione: una, due volte. Finalmente il boccone che lo strozzava venne fuori: l'uomo tossì, ansimò ancora terrorizzato e poi si riprese. " Ho creduto di morire", disse. "é incredibile come la vita sia appesa ad un filo in certi momenti" continuò, "Tu mi hai salvato". "Ho solo agito secondo il mio istinto" rispose Tim. "Quello che tu chiami istinto è un insieme di cose che ti differenziano dagli altri che sono rimasti fermi... tu mi hai salvato!" L'uomo gli offrì da bere: rimasero per un po' a parlare seduti allo stesso tavolo." Il mio nome è White, Gabriel White, sono un assicuratore e ricopro un posto di una certa responsabilità. Lasciami un biglietto da visita, ti contatterò." "Ok", disse Tim "Ma non mi devi niente", "Non sei tu a doverlo giudicare, credimi. A presto". Gabriel gli strinse la mano, si voltò e uscì dal locale. Tim lo seguì con lo sguardo vedendolo entrare in macchina e allontanarsi sollevando una nuvola di polvere.
Gli piaceva guidare quella vecchia Ford: nonostante avesse tanti anni e macinato tanta strada, era ancora in ottimo stato grazie alle sue cure. Si sentiva un tutt'uno con il sedile e il volante sportivo e gli pareva di rivedere suo padre alla guida, quando lo portava in giro a scoprire posti nuovi e a pescare. Non l'avrebbe mai data via: non si vendono i ricordi!
"Certe cose danno piacere anche solo guardandole". Era una frase di suo padre: per lui quell'auto era molto più che un oggetto.
Il cielo si tingeva della luce del tramonto.
Si fermò per la notte a Moab. La cittadina, considerata "la porta" per le mille escursioni possibili in quella zona dello Utah, offriva la possibilità di rifornirsi di ogni tipo di attrezzatura necessaria. L'atmosfera era viva ed accogliente. L'indomani Tim fece una scorta d'acqua e acquistò qualche barretta energetica. I tornanti che precedevano l'ingresso al Parco erano sovrastati dalle formazioni di arenaria: l'effetto era quello di un canyon dove il sole riesce a filtrare solo in alcuni momenti. Aveva visto foto e video ma, essere fisicamente in quel luogo lo emozionava. Il territorio del Parco, dove il colore delle rocce e della terra rossa dominavano, in contrasto con un cielo avvolgente di un azzurro deciso, faceva subito avvertire la sua energia. Archi magnifici dalle forme più strane erano davanti ai suoi occhi: scavati dalla forza degli elementi nel corso dei millenni in un equilibrio esaltante tra materia ed aria. Tim conosceva già il suo obiettivo: un percorso piuttosto accidentato di circa cinque chilometri lo avrebbe portato al Delicate Arch.
Si mise in cammino e dopo circa un'ora e mezzo e una lunga salita si trovò nel grande anfiteatro sul quale spicca un enorme arco naturale. Un gigante solitario. La grandiosità del paesaggio, la forza della natura, la sensazione quasi mistica che Tim provò imponeva il silenzio. Gli sembrò di sollevarsi come un uccello, librarsi in volo attraverso l'enorme arco, come per un accesso in una nuova dimensione. Sentì la forza dell'abbraccio di suo padre e la sua voglia di essere vivo. Le sue risate, sempre meno frequenti e la malattia che lo divorava. Battè le palpebre umide e volse lo sguardo altrove, dalla parte opposta dell'anfiteatro. In lontananza scorse un gruppetto di persone: tra tutti spiccava un uomo in giacca e cravatta; impeccabile, compassato. Sembrava proprio lui, Gabriel, ma era troppo distante per esserne sicuro. Certo aveva un abbigliamento piuttosto strano per quella situazione, pensò Tim, ripercorrendo con la mente il tragitto e la sudata che aveva fatto per arrivare. Cercò di mettere a fuoco meglio, ma non riuscì più a distinguerlo: era già sparito.
Rimase a lungo seduto in contemplazione: era un momento magico di pace interiore che si nutriva della bellezza e dell'armonia circostante. Erano trascorse alcune ore, il sole aveva lasciato il segno sul viso di Tim ed era ora di fare ritorno. Non aveva voglia di fermarsi a dormire in un hotel a Moab; decise di fare strada, senza fretta, verso casa. La sua Ford si mise in moto ruggendo e borbottando: si allontanarono sotto la scia di nuvole infuocate in un crepuscolo d'agosto. Una vecchia ballata di Bob Dylan scandiva il suo ritmo, rilassandolo. Forse il troppo sole e la stanchezza rallentarono i suoi riflessi; la luce falsa e la monotonia della strada diritta fecero il resto. Forse, per un attimo, i suoi occhi si chiusero Non si accorse dell'auto che arrivava in senso contrario: aveva sbandato nella sua carreggiata. La vide solo all'ultimo momento, un istante prima dell'impatto, del groviglio di lamiere, del fumo e dei liquidi che cominciavano a bagnare l'asfalto. Nell'altra auto il conducente rimasto con la testa sul volante produceva il suono ininterrotto del clacson. Era quasi sera, l'aria fresca, la strada deserta: una mano tirò con forza la maniglia. Lo sportello si aprì e Tim si sentì tirare fuori dall'abitacolo. Si riebbe: era incredibilmente illeso, non aveva un graffio. Di fronte a sè Gabriel lo guardava, calmo. "Tu?" disse Tim, "Come mai sei qui proprio adesso, in questo momento? Non può essere un caso". Tim sentiva che c'era qualcosa di strano: lo aveva incontrato tre volte nello spazio di poche ore. "Potrei risponderti in tanti modi, ma ti dirò che la vita a volte è legata ad un filo... ricordi? Io sono quel filo... il filo dei tuoi ricordi. Devo andare. Goditi il tuo tempo". Tim lo guardava senza riuscire a dire una parola. L'uomo montò sulla sua berlina e si allontanò velocemente sparendo all'orizzonte.
Le luci intermittenti di un'autoambulanza e di una volante della polizia che si avvicinavano a sirene spiegate, spezzavano il buio. Tim seduto sul ciglio della strada, continuava a tremare.
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