Parigi.
Divan Japoneis, 1875.
L’ambiente del locale era sempre lo stesso: aristocratici vogliosi di possesso momentaneo, donne impazienti di trovare un cliente soddisfacente, ubriaconi seduti ai tavoli con una vita temporaneamente dimenticata dentro la bottiglia e artisti desiderosi di catturare la nostra immagine per manifestare la loro espressione. E poi c’era lui.
Non sembrava come quei pittori. Lui si concentrava soprattutto su se stesso: se aveva voglia di bere, si ubriacava, se voleva divertirsi, prendeva una di noi e se gli andava di disegnare tirava fuori dalla borsa il suo blocco degli schizzi.
Non doveva essere un uomo sposato, anche se molte delle persone che frequentavano il Divan Japoneis non si facevano problemi nel commettere adulterio.
Passammo molto tempo a incrociare gli sguardi, quasi come due adolescenti interessati l’uno per l’altro, senza mai scambiare qualche parola al di la del bonjour e dell’ au revoir.
Venne il giorno in cui lui si sedette vicino a me. Mi aspettavo fosse solo per una prestazione sessuale, invece cominciammo a parlare dei più svariati argomenti.
Il nostro rapporto crebbe da quel giorno. Lui non veniva più al locale solo per ubriacarsi, per divertirsi con qualcuna di noi o per disegnare: si sedeva a raccontarmi del suo mestiere di artista, dei numerosi viaggi che aveva compiuto e delle svariate tecniche di disegno.
Arrivammo al punto di frequentarci giornalmente e finimmo con l’innamorarci l’uno dell’altra.
Mi prestai diverse volte a fare da modella per lui, mi divertivo.
La cosa bella era che ogni giorno era diverso: passavano i giorni ma non cadevamo mai nella monotonia di una coppia che non ha nulla da fare; Lui riusciva a colorare le mie giornate con tonalità che andavano al di la di ogni scala cromatica. Era diventato tutto per me.
Passarono i mesi e io non potevo fare a meno di lui. Volevo quasi sposarlo, senza nemmeno sapere cosa ne pensava lui in proposito, ma non ebbi l’occasione di farlo, purtroppo.
Adesso stiamo bene io e la bambina che mi ha lasciato in grembo all’epoca.
Arriverà il momento in cui lei mi chiederà perché non esiste un padre nella sua vita… Sarà in quei giorni che dovrò dirle che suo padre è rappresentato da quel ritratto me raffigurante, che ora osservo con qualche lacrima agli occhi….