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Gary Buckley
La pioggia incessante batteva gradevolmente ai vetri della finestra della sala da tè, nella stanza ancora piroettavano in utopistica armonia le note dell’ineffabile musica di Dvorak. Gary Buckley, violinista di formidabile bravura, posò il suo strumento ancora caldo nella custodia, erano le ventitre e qualche minuto; aveva appena salutato e accompagnato alla porta il suo amico Jack Lucas, uomo mediamente colto, dal carattere irascibile quasi insopportabile, campione nazionale di biliardo. Uno di quelli che per far scena, manda la palla in buca con otto sponde; i due avevano trascorso la serata a parlare e a sorseggiare dell’ottimo rosso toscano. Jack Lucas aveva anche confidato a Gary tutto il suo dolore che ancora, a distanza di mesi gli logorava lo stomaco.
Il giovane aveva perso la fidanzata per un male incurabile che nel giro di poche settimane, da quel fiore lucente e sfavillante che era, l’aveva trasformata in uno stelo passito e funereo fino a condurla, con urla strazianti di dolore alla tomba.
Jack Lucas era distrutto.
Gary Buckley per tutta la sera aveva guardato negli occhi il suo ospite, arrivando ben oltre, lo sguardo aveva attraversato l’uomo, andando a sbattere contro la parete di ricordi immobili che ornavano in maniera aristocratica la stanza.
Da mesi Gary Buckley era in cura per una forte forma di depressione, causata da diversi eventi che gli avevano segnato la vita. Aveva sofferto le pene dell’inferno, la sua corazza era ormai solcata da graffi irreparabili. Era solo…solo come il vento che va ad urtare le parole della gente nell’aria in cerca di una misera ma vitale compagnia.
La sua visione del mondo era a dir poco catastrofica, aldilà di quelle mura per lui non esisteva più niente, udiva solo il rumore di pianeti in attività nell’universo buio. Un ronzio basso, cupo e sordo.
Continuava ancora a far comprare alla domestica, una settantenne vedova e umilmente servile, il cibo per il cagnolino Molly deceduto due anni prima.
Gary Buckley non era pazzo, Gary Buckley era un povero Cristo, artista senza fama, condannato in un angolo sperduto dell’Antinferno. Se ne stava ora immobile, col bicchiere nella mano destra. Immobile e perduto in chissà quale mondo astratto.
All’improvviso udì una voce stridula e a malapena avvertibile provenire da dietro una delle tre porte che davano sulla stanza.
Gary si diresse alla porta di sinistra, aprendola la sua mente si ribellò alla logica, e vide all’interno del salone una donna che piangeva sul corpo morto del figlio, due persone ai lati, come due angeli marciti che intonavano una sinistra cantilena.
Gli tornò a mente all’improvviso e in maniera limpida l’episodio che avvenne sei anni prima, come nel mito di Medea, la moglie, per gelosia uccise il loro unico figlio con una pugnalata in gola.
Quasi come in un incubo, con il cuore al limite del collasso, Gary si risvegliò sulla poltrona dove alcuni attimi prima stava sorseggiando il vino.
Pensò subito alla cosa più razionale, guardò con aria minacciosa ma anche perplessa il bicchiere sul tavolo, quasi ad incolparlo. Ma sapeva bene che si sbagliava, era tutto lì, davanti agli occhi suoi.
Nessuna parola gli uscì di bocca, da quello sguardo spento, nemmeno un accenno di stupore.
Era come rassegnato, come se già conosceva tutto quello che era successo e sarebbe avvenuto da lì a poco.
Poi, quando si stava rilassando nuovamente, ancora quella voce.
Venne attratto questa volta verso la porta centrale, si alzò, vi ci si diresse in maniera rassegnata, impettito quasi in segno di sfida…e senza troppa esitazione l’aprì.
All’interno della stanza c’era lui stesso, seduto sulla sponda di un letto insanguinato, aveva un coltello in mano, riverso nel letto, tra le innumerevoli macchie di sangue c’era il corpo senza vita della madre che aveva ucciso dodici anni prima in un momento di follia.
Ancora il vuoto dopo quella seconda tempesta di emozioni.
Il risveglio, proprio come prima, estenuato.
Gary cominciò a tremare, a guardarsi attorno in silenzio.
Vi era rimasta la porta di destra, il cuore si spaccava, il sudore scendeva incessantemente come dopo una lunga corsa veloce.
Rimase attonito, al centro della sala da tè, con animo smarrito, come un profeta che ritorna al mondo dopo la morte e si rende conto che tutto ciò è la rappresentazione dell’illogico.
Solo il silenzio prevaleva nella stanza, il silenzio più assoluto.
Attendendo quella voce, che l’avrebbe spinto nell’ultima porta, in un altro atrio infernale.
Era il silenzio, dominatore e signore del vuoto e del nulla a rendere immobile l’uomo.
Solo silenzio, lancinante silenzio…poi, la voce …
Si alzò di corsa, raggiunse la porta talmente in fretta da sbatterci contro, tirò fuori la giusta dose di coraggio, la mescolò alla rassegnazione…allungò la mano a toccare la maniglia, dopo un attimo di esitazione l’aprì.
Richiuse di scatto dopo aver visto all’interno, tornò a sedersi e si mise la testa tra le mani in segno di disperazione.
Questa volta aveva veduto ben altro, ora gli si era proiettato davanti il futuro, si era appena visto pendere da una corda legata al collo. Ed a questo punto subentrò la pazzia, la schizofrenia…e si rivolse a se stesso in maniera indiretta. Alzò la testa, guardò avanti …e quasi come in trance cominciò a parlare al vuoto infinito.
<<La sua vita…Gary Buckley, è incentrata su di un palcoscenico; ogni interprete, in tempi ed epoche diverse, farà rivivere il suo nome per l’eternità, lei vivrà senza tempo, senza principio e senza fine; perché questo dramma è già stato scritto e recitato milioni di volte, da attori differenti, in tanti dialetti diversi.
Lei, mio caro Gary Buckley, è sempre esistito. In questo momento fa parte di uno spettacolo che porta il suo nome; si consoli con l’idea di esserne il protagonista.
Non le resta altro, non si fugge da un copione teatrale.
Sua moglie ucciderà ancora infinite volte suo figlio, proprio come lei farà con sua madre; ed alla fine si impiccherà. Come sempre.
Starà ad ascoltare le afflizioni del suo caro amico, le porteranno tristezza ogni volta; e saranno sempre le stesse.
Le do un motivo di consolazione se può aiutarla a stare meglio:anche se nella scena sarà sempre e tutto invariato…il vino, almeno quello, sarà diverso. Se questo spettacolo verrà rappresentato in Toscana, sorseggerà Chianti, Brunello... scelga lei
Se sarà il Trentino il suo palcoscenico si consolerà con un buon prosecco. Pensi che appagamento…bere un Dolcetto d’Alba in Piemonte ed il giorno dopo un Nero d’Avola nella calda Sicilia!
Si rallegri, Gary buckley, si rallegri!
Brindi alla sua esistenza, al suo essere immortale rispetto agli altri; lei vivrà in eterno! Quel cappio attorno al collo non la stringerà mai abbastanza, quelle sofferenze non la scalfiranno; all’inizio di ogni spettacolo suonerà sempre lo stesso motivo che le piace tanto!
Non vorrà mica far parte di quel mondo noioso e privo d'interesse?
No, per carità…non si lasci convincere dalle persone che vede in prima fila commosse. Quei sentimenti sono fasulli…mi creda, loro soffrono mille volte di più di quanto soffre lei; per dolori differenti, ma le assicuro che soffrono.
La prego, sia parte dello spettacolo ancora almeno una volta se non vorrà esserlo per sempre.
Solamente nel caso in cui il mondo finisse domani o dopodomani, tutto questo avrà fine.
Il mondo può finire tra un mese come tra mille anni.
Gary, mi stia a sentire.
Se io la faccio scendere da questo palcoscenico, dove andrà a dormire? Dove troverà i soldi per mangiare? Dove andrà a lavarsi via il sudore di quest’ultima rappresentazione?
Mi dia retta, Gary, si vada a fare una doccia, si rilassi. E ripassi la parte per domani.>>
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0 recensioni:
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- Un fantastico esplicativo racconto di agevole lettura che mi é molto piaciuto..
Bravo Gary.. Ti ringazio per averlo con noi condiviso
Buon pomeriggio
- noto in te un certo stile dark
scrivi molto bene: bravo
- bella!
- Davvero interessante e ricca di passione
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