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Mi piace fare i tuffi dagli scogli
Mi piace fare i tuffi dagli scogli.
È una scemenza, lo so, ho più di cinquant'anni e una discreta trippa, maniglioni dell'amore soprattutto, fatti crescere con costanza e applicazione mediante assunzione di innumerevoli biscottini inzuppati nel caffelatte alle ore più strane, quindi non c'è nessun ideale estetico o sbruffonesco in ciò. Non è nemmeno che io sia un tuffatore, ho cominciato troppo tardi, perchè andavo quasi sempre dove c'era la sabbia, quindi...
Il fatto è che, quando mi costringono ad andare al mare, allora, dopo che mi sono rotto per bene le balle di "snorklinare" in giro per il fondo, rompendo a mia volta le balle a pescetti, conchiglie e ricci marini vari, qualcosa devo pur fare. Non è che possa stare in eterno sotto l'ombrellone a riempire schemi di parole crociate sempre più complicate o a leggere libri di cui mi frega anche relativamente poco. Io, i libri, li leggo volentieri quando non ho il tempo di farlo, ma se mi metti sotto l'ombrellone e mi dici adesso leggi, è dura!
Allora prendo, cammino un po' e finisco sempre negli stessi posti, in prossimità di scogli che, guarda un po', sembrano guardarmi a loro volta e dirmi:- guarda che acqua splendida che c'è qui sotto, si vede il fondo che neanche alla tv... ma tanto tu non ce la farai mai a scalarci e a tuffarti in questo paradiso-. E mi guardano la pancia, effettivamente con la tartaruga un po' al contrario, e mi guardano le gambe, effettivamente un po' troppo striminzite per ciò che ci sta sopra, e scuotono la testa...
E allora mi fanno incazzare! Allora diventa un fatto personale. Faccio finta di niente ma comincio a ronzargli attorno in cerca di una via per salire. All'inizio la cerco facile, perché mica mi voglio far male, soprattutto senza neanche essermi tuffato, ma se non ce ne sono, allora studio bene anche quelle più impervie, facendole prima mentalmente, e poi provandole un po' alla volta, centimetro per centimetro, perché una cosa è immaginarle e un'altra farle per davvero.
Se poi riesco ad arrivar sopra, o almeno ad un punto da cui si può saltare, comincia la parte successiva: l'ispezione del fondale. E già, perché, a picchiare sotto, ci si fa male per davvero! E allora, a parte il fatto che io ho un lavoro che non permette assenze prolungate, comincia la parte meno simpatica, perché non sono per niente resistente al dolore fisico. Diciamo pure che sono fifone e perdo facilmente l'aplomb durante le medicazioni. Quelle che gli altri, specialmente i miei congiunti, fanno a me.
Quindi me ne sto un bel po' a guardare, riguardare, stimare la profondità della zona d'ammarraggio. Anche perché, dove ci sono scogli sopra l'acqua, in genere ce ne sono anche sotto. Bisogna valutare attentamente dove si andrà a finire, una volta in volo, perchè poi non si può più far granchè: dove arrivi arrivi. Oddio, volo è forse una parola grossa, perché in genere salto da due, tre, massimo quattro o cinque metri eh, mica chissà che! Ma vi assicuro che sono sufficienti per farsi male, se si sbaglia. Molto male. Troppo.
E allora non salto, ma torno giù, perché dall'alto, anche quando il tuffo sembra possibile, è meglio non fidarsi. Bisogna andar nell'acqua, sotto lo scoglio, e vedere se la profondità è davvero sufficiente. Quindi bisogna tornar giù senza saltare. E qui comincia la rogna. In genere gli scogli non sono levigati ma appuntiti, poi la pelle dei piedi e delle mani è bagnata, quindi si taglia con un grissino, altro che tonno! Infine, dove si è saliti a stento, mica è detto che si riesca anche a scendere. In genere, quando finalmente ci riesco, mi son già fatto male.
Devo comunque dire che qualcosa ho imparato, quindi adesso ho scarpette di gomma e guanti. Infatti, a sbucciarsi, sono soprattutto ginocchia e stinchi. Ma la sicurezza prima di tutto, quindi scendo e, pur spesso sanguinante, vado in acqua a ispezionare il fondale. Dicono che il sangue attiri gli squali ma a me non è mai successo (gambe troppo magre? troppo grasso e poca ciccia?) Guardo e riguardo, per un bel po', ma non demordo. Una volta capito che il tuffo è possibile non ci sono santi.
Risalgo, questa volta un po' più veloce perché la via è ormai aperta, e mi sistemo sul bordo. Per chi non è addentro, dirò che stare sul bordo, invece che anche solo dieci centimetri più indietro, cambia il mondo. Perché da lì in poi non si torna indietro, e il cuore comincia a battere un po' più forte e il tempo si dilata. O magari no, ma l'impressione è quella. Ricordo ancora distintamente le prime volte in cui, quando mi ritrovavo lì, pronto a saltare, mi dicevo tra me e me: -ma sei scemo? E se scivoli, o ti trema la gamba, e invece che lì arrivi là, lo sai che ti succede? Lo sai, vero? E allora perché cazzo lo fai, dimmi perché?
E rimanevo lì, a chiedermi: -salto o non salto? Non sarebbe più furbo scendere e dire ma chi me lo fa fare e tornare a fare il buon padre di famiglia misurato e coscienzioso? Perché devi rischiare di romperti qualcosa a te e i maroni alla tua famiglia?
E rimanevo lì fin che non riuscivo quasi a decidermi a tornare indietro. Dico quasi perché poi non l'ho mai fatto. Arrivavo perfino a dire:- vaffanculo, ma cosa devo dimostrare? E a chi?- E mi voltavo per tornare indietro, ma proprio in quel momento mi rigiravo un'altra volta e mi tuffavo.
Ad angelo, perché ho sempre saltato così, perché solo così mi vien naturale. Perché solo così mi sembra bellissimo. Pollici incrociati, dita tese e incurvate e gambe un po' flesse, purtroppo. È il mio difetto. Un secondo in volo e poi lo sciaff dell'acqua fredda che t'investe il corpo come un'elettroshock. Il fondo a un palmo dal naso, se c'è la sabbia è meglio, e poi la risalita, con un po' d'affanno perché non nuoto proprio bene, io.
Poi una gioia incontenibile, che conservavo dentro per un bel po', cercando di non sfogarla in nessun modo per farla durare di più. Ed ero contento di me perché avevo fatto una cosa che valeva la pena, e lo rimanevo in genere per tutta la giornata.
Ora non è più così, ovvio, l'abitudine attenua l'emozione, o adrenalina che dir si voglia, ma la sfida che gli scogli sembrano ogni volta lanciarmi è la stessa. E uguale la mia voglia di rispondere, fisico o non fisico.
Dimenticavo. Meno gente c'era, meglio era, allora e anche adesso, perché a me non è mai piaciuto dar spettacolo con le mie passioni. Mie sono e mie devono restare. E tu, tu chiamale se vuoi...
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