"Che bravo bambino!"
La mamma si inorgogliva al sentire questo commento, così mi portava volentieri con sé quando andava in latteria.
Il latte si comprava sfuso, portando il recipiente da casa. Tutti usavano un secchiello cilindrico da un litro, di alluminio. Il nostro era tutto ammaccato: buon segno, indizio di gente a posto, che si passa gli oggetti di generazione in generazione, senza buttare mai via niente. Se vedevi qualcuno con un secchiello nuovo lo guardavi con sospetto: chissà se era stato costretto a cambiarlo perché bucato oppure era uno sprecone? Magari arrivava dalla città, dove hanno usanze diverse.
Volevo sempre essere io a portare il secchiello vuoto, era bello farlo dondolare camminando.
La lattaia lo riempiva attingendo col mestolo da un grande bidone di latte bianchissimo e denso, poi chiedeva alla mamma se volesse qualcos'altro.
Sperando dicesse di sì guardavo con occhi spalancati i grandi secchi di legno di balsa, contenenti coloratissime marmellate, marca "Arrigoni" .
Se la risposta era positiva, ce ne tornavamo a casa con un pacchettino di carta oleata che, una volta aperto, sprigionava un fragrante profumo di aromi artificiali e appagava gli occhi con i suoi coloranti: la marmellata di fragole era sempre rossa, non color "frutta cotta", come oggi.
Nella bella stagione, se ero stato buono, venivo premiato con un piccolo gelato, il cono da 15 lire: c'erano anche coni da 25 o addirittura 50 lire, ma quelli li compravano solo i ricchi o quelli che volevano darsi delle arie.
Naturalmente, di mia iniziativa, non avrei osato chiedere niente, né marmellata né gelato: le due ghiottonerie erano così gradite anche in virtù del fatto che si trattava di concessioni calate dall'alto, almeno così la pensavo allora.
Questo fatto impressionava le altre clienti e la lattaia stessa - evidentemente abituate a figlioli più esigenti - le quali ogni volta commentavano: "Che bravo bambino!".
"Sì, specialmente quando dorme!", replicava mia madre, ma questo - si sa - era un modo di dire convenzionale, quasi obbligato."No, no", protestava qualcuna, "è proprio bravo, tanto è vero che non si mangia neppure le unghie!"...
Io, sinceramente, non capivo perché dicessero che ero bravo, visto che non avevo fatto né detto proprio niente, e neppure capivo cosa volesse dire "mangiarsi le unghie".
Comunque, per quanto tontolone, o per lo meno di intelligenza assolutamente non straordinaria, dài e dài, questo "mangiarsi le unghie" finì per entrare come una pulce nelle mie grandi orecchie a sventola.
Qualcosa mi diceva che doveva essere una cosa disdicevole e, come tutte le cose disdicevoli... molto, molto allettante!
Cominciavo anche a stufarmi dei complimenti di quelle vecchie cornacchie e il mio istinto di bastian contrario stava cercando da tempo un modo per manifestarsi: forse non sarei riuscito a impedir loro di definirmi "bravo bambino", ma almeno il "non si mangia neppure le unghie" potevo tentare di ricacciarglielo in gola.
...
Penso che non si farà fatica a credere che, ancora oggi, a sessant'anni suonati, il "bravo bambino" ha tutte le unghie golosamente smangiucchiate...