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L'ultima sbronza
Nell'arco dei miei 60 anni il mio rapporto con l'alcool è stato stretto, onesto, privo di problemi, a parte le sbronze, di cui racconterò qui le prime due.
Avrò avuto sì e no 5 anni quando i vicini di casa ebbero la formidabile idea di farmi bere un bel bicchiere di vino rosso. Non ricordo nulla, ma mi hanno raccontato che mi ero spogliato nudo e non so cos'altro.
Questa sbronza precoce non ebbe alcun effetto sul mio rapporto col vino nei successivi 15 anni.
A casa mia si beveva regolarmente, ai pasti, non saprei dire in quale quantità. Mio padre metteva il bottiglione da due litri in tavola e mesceva lui per tutti: quando un bicchiere era vuoto, lo riempiva, a meno che uno gli dicesse: basta.
Il vino era genuino, lo faceva lui stesso con uve barbera che andavamo a comprare nell'Astigiano, aggiungendovi soltanto un po' di zucchero agricolo e nient'altro; papà era contrario ai solfiti, però negli ultimi tempi anche lui si era dovuto arrendere alla farmacia, dopo che per due anni consecutivi il suo vino era sembrato più che altro adatto a condire l'insalata.
A tavola avevo una buona abitudine, che poi purtroppo col tempo ho perso: non riuscivo assolutamente a mettere vino nel primo bicchiere: dal secondo in poi non li contavo, ma il primo doveva essere sempre di acqua. Se si considera che la cucina famigliare prevedeva di regola almeno un antipasto sfizioso e un po' salato, il bicchiere di acqua risultava senz'altro più dissetante di uno di vino, e per quanto i bicchieri successivi potessero essere anche numerosi, erano comunque uno in meno.
Questa buona abitudine fece sì che il mio rapporto col vino fosse "tranquillo": ci davamo del tu, insomma, e trovavo un po' strano che esistesse gente per la quale il bicchiere diventava un problema.
Sapevo che, assunto oltre una certa quantità, il vino si trasformava da gustosa bevanda in dannoso stupefacente, ma non mi ero mai trovato, evidentemente, nella condizione di poterlo verificare. Per carattere, oltretutto, detestavo perdere il controllo di me stesso anche solo per un attimo e quindi rifuggivo ogni sostanza deputata a provocare questo effetto, tanto è vero che anche da adulto non mi è mai capitato, pur essendo fumatore, di aspirare uno spinello.
A vent'anni, però, ci si sente in grado di affrontare ogni tipo di esperienza, di sfatare tutti i miti, di verificare di persona ogni sorta di convenzione. Così decisi che, alla prima occasione, avrei voluto provare gli effetti del vino (e dell'alcool in genere) nella sua caratteristica di droga.
Ero solito, con gli amici, passare qualche fine settimana nella seconda casa di montagna di uno di noi, per studiare. Si trattava di poco più di una baita, in un villaggio di poche anime, che fortunatamente si facevano gli affari loro. L'ideale quindi per gozzovigliare e anche per mettere in pratica il mio proposito.
Portavamo sempre con noi generi di prima necessità (vino e liquori) in quantità tale da sopravvivere anche a lunghi mesi di eventuale isolamento, quindi gli elementi base per il mio esperimento erano disponibili illimitatamente. Venne alfine il gran momento.
Quella sera di fine novembre mi sedetti a tavola deciso a vedere che effetto faceva e accompagnai il buon cibo con la solita imponente quantità di vino, senza strafare, ma anche senza limitarmi. Diversamente dal solito, però, continuai dopo cena, senza fretta, con un bicchierino di grappa dopo l'altro, fino a perdere conoscenza.
So abbastanza bene che cosa successe perché quei perfidi dei miei amici, una volta resisi conto che ero andato registrarono tutta la mia performance su una bobina del magnetofono portato su per ripassare le lezioni.
Devo riconoscere che, pur prendendosi burla di me per quanto potevano, furono abbastanza giudiziosi da impedirmi di commettere gesti irreparabili, tipo uscire di casa per andarmi a lavare seminudo (eh, sì, ci risiamo) nella fontana del paese, ghiacciata. Insistettero anche per darmi una borsa dell'acqua calda (bollente), senza capire perché la respingessi: era forse dovuto al fatto che la borsa era bucata?
Poi le provarono tutte per farmi dire (e registrare) cose strampalate e possibilmente compromettenti, in modo da avere per i successivi vent'anni motivi di sghignazzo.
Risero molto per una parola che pronunciai con la mia lingua impastata, liquorerie, che non avevano mai sentito (e nemmeno io del resto), immaginando che me la fossi inventata nei fumi dell'alcool, salvo scoprire poi che aveva piena dignità nei migliori vocabolari. Facendosi più audaci, cercarono di incastrarmi sul piano pruriginoso della sessualità, chiedendomi perentoriamente: "Ma tu, sei del culo O della fica?". Non so che cosa si aspettassero, fatto sta che la mia pronta, sorprendente e nient'affatto reticente risposta: "Del culo E della fica" dovette spiazzarli, perché lasciarono cadere l'argomento.
Le conseguenze della mia sbronza da ventenne furono, oltre a una torrenziale vomitata, il disgusto di bere anche un solo goccio di vino per almeno tre mesi, e di grappa per ben due anni.
Ne valeva la pena? Certamente, anche perché quella fu la mia seconda e ultima sbronza.
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