Il Direttore M. conobbe la Signora D. durante una festa alla quale era stato costretto a partecipare per motivi di lavoro. Fra loro accadde uno di quei nulla che, alle volte, significano molto più di un tutto, ed il Direttore, di norma uomo pratico, ed uso ad esercitare il quasi totale controllo di sé, si ritrovò, sulla strada del ritorno verso casa,
a chiedersi perché mai una mezz’ora scarsa di conversazione ricomparisse così tenacemente, e quasi dispettosamente, nel ricordo di una serata che lui aveva deciso di archiviare come una tediosa necessità.
La donna non era giovane. M., che si apprestava a festeggiare una cinquantina molto ben portata, le aveva attribuito un’età di tre o quattro anni minore della propria. Non era nemmeno una di quelle bellezze ben mantenute, e ben coltivate, che, grazie a molta autodisciplina, ad una notevole quantità di tempo disponibile, ed a parecchio denaro, riescono a rendere l’età anagrafica un dettaglio trascurabile.
Aveva, però, capelli che, nonostante un lodevole tentativo di pettinatura ordinata, sembravano mossi dal vento anche in una serata afosa come quella appena trascorsa.
Aveva, però, uno sguardo che, senza preavviso, sembrava dirigersi, ed invitare a guardare, verso orizzonti indefiniti dal sapore di favola.
Aveva, però, una voce che, nel mezzo delle frasi più inoffensive e banali, modulava accenti di solito riservati ai più affascinanti seduttori, ai più intrepidi eroi.
M., quando doveva uscire la sera, gradiva trovare la moglie alzata ad aspettarlo, e ricambiava questo gesto di attenzione cercando di non rincasare troppo tardi.
Quella notte, aprendo la porta di casa, M. trovò tutte le luci spente, anche se l’ora del suo rientro non si era protratta molto oltre al solito. Evidentemente abbastanza, constatò, affinché la signora M. si considerasse libera dall’osservare il loro usuale piccolo rito. Invece di esserne urtato, provò un certo inaspettato sollievo, mentre, camminando con cautela attraverso le stanze illuminate solamente da una luna quasi piena, si dirigeva, anziché in camera da letto, verso lo studio.
Accese solamente la lampada della scrivania, e badò a non provocare il minimo rumore, mentre spostava una pesante seggiola verso l’angolo più remoto della libreria, e mentre, quasi a tastoni, cercava un libro fra quelli relegati sugli scaffali più alti e meno accessibili. La luce arrivava così fioca, che il Direttore riconobbe il volume che cercava solamente al tatto, scorrendo le dita su quel dorso impolverato. Immediatamente a sinistra, M. lo sapeva, si trovavano altre tre opere dello stesso autore, che lui collocò sopra la prima, per deporre poi la piccola pila sul ripiano dell’ordinatissima e quasi nuda scrivania.
Iniziò a rileggere senza neppure sedersi il primo di quei romanzi che, durante gli anni dell’ Università lo avevano affascinato con una scrittura appassionata e potente, e che, nel corso del tempo, aveva trovato sempre più esagerati ed irreali, fino ad abbandonarli del tutto. Quella sera, però, la Signora D. ne aveva citato uno, descrivendolo con tale calore ed acutezza, da suscitare in M. la curiosità di cimentarsi nuovamente con quelle righe.
( continua )