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La Leggenda del Cavaliere Nero - Parte I
Un giorno mi trovai a passeggiare per una rinomata via di Londra, quando entrai nel negozio di un noto antiquario. Una piccola finestra illuminava malamente ciò che appariva più come un magazzino che un vero negozio. Oggetti di ogni tipo e provenienti da ogni parte del mondo affollavano gli scaffali. Il proprietario del negozio sembrava avere una spiccata passione per i gingilli più stravaganti. Vidi un orologio con i numeri in senso inverso nel quadrante, toccai sete antiche e pregiate del lontano Oriente, annusai profumi esotici tanto misteriosi quanto ammalianti. Rimasi quasi un'ora intera a curiosare nella montagna di oggetti esposti quando i miei occhi caddero su un rotolo di pergamene. I manoscritti sembravano molto antichi e la lingua con cui erano stati scritti mi era ignota. Alcune parole erano sbiadite e intere frasi erano illeggibili a causa di alcune bruciature o macchie di inchiostro. Nonostante ciò i segni sulla carta erano stati tracciati con un'eleganza che mai avevo visto prima d'ora. Incuriosito dalle pergamene, ne chiesi all'antiquario il contenuto. La mia curiosità rimase insoddisfatta poiché mai nessuno era riuscito a decifrare quello strano sistema di scrittura. Da allora e per molti giorni a venire mi divertii a immaginare cosa potessero narrare pergamene così antiche e misteriose, finché mi decisi ad acquistarle. Mi rivolsi ad un amico studioso di lingue antiche nel tentativo di riuscire a soddisfare la mia curiosità. Nei mesi che seguirono il mio amico mi inviò i progressi del suo lavoro. Ad ogni stralcio di traduzione il mio interesse crebbe sempre di più e divenni sempre più desideroso di avere la traduzione completa. Così venni a conoscenza dell'incredibile storia che mi accingo qui a riportare. Il manoscritto narrava dell'epoca in cui l'antico impero romano era all'apice del suo splendore. Un occhio attento non avrebbe faticato molto a trovare molte incongruenze con la storia tramandataci dai libri. L'autore del manoscritto narrava di amori, guerre e magia, ma anche di elfi, nani e draghi - creature che abitano solo le storie che raccontiamo ai nostri figli -. L'autore stesso delle pergamene diceva di essere un elfo. Il racconto di cui entrai in possesso - e che riporto così come fu tradotto dal mio amico - era il più incredibile che avevo letto. Io e il mio compagno compimmo ogni sforzo possibile nel ricostruire completamente il testo, gravemente danneggiato dal tempo. Nonostante gran parte della storia sia ormai leggibile, molte sono le parti mancanti di cui mi sarà perdonata l'esistenza.
Londra, 1955
"Il Creatore forgiò il cielo e la terra, il mare e il fuoco. Creò anche gli Dei affinché mantenessero l'equilibrio del creato. Le prime creature che abitarono il mondo furono gli elfi e i nani. Essi videro per la prima volta le meraviglie del creato e resero grazie agli Dei. [ ... ] Tutti questi avvenimenti sono noti come tempi remoti e vengono ricordati soltanto da pochi saggi. Gli elfi si divisero in tre gruppi. Gli Elfi Bianchi abitarono le città più sontuose e luminose della terra, gli Elfi Silvani si stabilirono nel cuore delle foreste più impenetrabili, mentre gli Elfi Oscuri scavarono delle caverne per ripararsi dalla luce del sole. Anche gli Dei si divisero [...] Venne il tempo in cui il Creatore svegliò gli Uomini affinché popolassero il mondo. Gli elfi, i nani e le altre creature fantastiche si ritirarono lontano dalla vista dei nuovi arrivati, così che la giovane gente non seppe mai della nostra esistenza". [ il resto della pagina è bruciato come se qualcuno avesse voluto cancellare ogni traccia dello scritto ] "Esistono poche persone in grado di cambiare completamente un'epoca, di lasciare un segno nella storia. Il Cavaliere Nero fu uno di questi. [...] La sua indole era molto complessa ed è difficile dare un giudizio univoco su tutto ciò che fece. Per alcuni fu il più grande comandante, per altri il peggior incubo. Molti lo amarono con tutte le forze, altri lo odiarono più di ogni altra cosa. C'era chi lo avrebbe seguito fin negli inferi se lui lo avesse chiesto, e chi sarebbe scappato da lui come da un demone. In alcune taverne dell'impero il suo nome viene ancora sussurrato con timore. Molto fu detto su di lui, e solo parte di ciò corrisponde a verità. Io lo conobbi sin da quando era solo un fanciullo e, per fare giustizia al suo nome, narrerò la sua vera storia. Il mio nome non è importante - non quanto gli altri di questa storia - [...] Nacqui e crebbi nel villaggio degli Elfi Silvani. Non tutti sanno che la leggenda del Cavaliere Nero inizia da quello stesso villaggio molto prima della sua nascita ed è legata alla storia di suo padre. Nel villaggio degli Elfi Silvani fra le tante famiglie si distinse quella degli Arhathel. Tutti i figli di tale casa erano noti per la forza del proprio braccio e la nobiltà del proprio cuore. Il più nobile fra tutti gli elfi fu Anfindur Arhathel, figlio di Caranthir, l'ammazzadraghi, il campione degli Elfi Silvani e il maledetto dal Destino. Se dovessi scrivere tutto il male e il bene che egli fece al villaggio non basterebbero mille e un rotolo di pergamena. Anfindur viaggiava sempre in compagnia di un Uomo - cosa molto strana fra gli Elfi Silvani -. Il suo nome era Fulvio Milone e si dice venisse dalla Siria. Fulvio stesso raccontò come Anfindur gli avesse salvato la vita. Da allora erano divenuti compagni inseparabili. Anfindur aveva un nobile cuore e le sue lame erano sempre pronte a proteggere i più deboli e gli innocenti. La caratteristica - comune a tutti gli Arhathel - che distinse Anfindur fu il suo cuore. Una fiamma rossa come la passione bruciava nel suo animo e nei suoi occhi. Si innamorò di diverse ragazze. Le amò tutte con amore sincero ma non fu fedele a nessuna. Da una bellissima ragazza umana di nome Elettra ebbe un figlio maschio, che fu chiamato Edheldur. Questo fu il vero nome del Cavaliere Nero ma pochi fra i non elfi lo sanno. Nella nostra lingua Edheldur significa Elfo Oscuro. Perché il piccolo bimbo fu chiamato Elfo Oscuro non è noto, anche se molti sospettano che la risposta risieda nei diari perduti del padre. Anfindur amò anche la propria sorella e da lei ebbe una figlia che chiamò Lorelin, di solo un anno più piccola del fratellastro. La storia di Anfindur si conclude - così pensavo all'epoca - durante la battaglia dell'ultimo drago. Tutti gli Elfi Silvani conservano memoria di quella battaglia, in cui Anfindur riuscì a salvare il villaggio dalla distruzione delle truppe dell'impero romano. In quello stesso giorno Anfindur e la sorella morirono ed Elettra fu portata via dal villaggio come prigioniera. I piccoli Arhathel - rimasti entrambi orfani - furono affidati a Fulvio. Gran parte di noi vide morire Anfindur, ma solo pochi seppero che il suo spirito fu travasato nel corpo del figlio tramite la magia. In tal modo sperarono di far eludere la morte al più nobile fra gli elfi. Quando avvenne tutto ciò io ero solo un ragazzo ed Edheldur aveva solo due anni. Come in seguito egli stesso mi spiegò, il suo spirito e quello del padre si mescolarono intimamente assieme. In un solo istante Edheldur vide e provò tutto ciò che Anfindur stesso aveva visto e provato. Per tale motivo non fu un bambino come tanti altri. Veramente Edheldur non fu mai un bambino poiché a soli due anni eppure sapeva già leggere, scrivere, usare un'arma e fare tutto ciò che il padre sapeva fare. Così ebbe inizio la storia di Edheldur Arhathel, figlio di Anfindur più noto come il Cavaliere Nero"
"Se c'è una cosa su cui tutti i racconti che ho sentito concordano è l'aspetto del Cavaliere Nero, descritto sempre con lunghi capelli corvini e occhi color del ghiaccio. Del padre aveva i capelli e della madre i tratti delicati del suo volto. La sua bellezza era pari solo a quella della sorella. Anche Lorelin aveva capelli neri come quelli del fratello e la sua pelle era chiara quanto la luna. [...] Ricordo distintamente quei tempi lontani, in cui Edhel era solo un bambino. Lo si vedeva spesso appollaiato sui rami degli alberi con uno sguardo accigliato. Parlava molto poco e sorrideva ancor di meno. La gente lo guardava e gli parlava di suo padre, nella speranza che la sua vita gli fosse d'esempio. In molti nutrivano la speranza che Edheldur imbracciasse la nobile via del padre diventando il nuove eroe e campione del villaggio. Ovunque si guardasse attorno a sé vedeva elfi che non facevano altro che parlare della grandezza di Anfindur suo padre. Non è facile essere il figlio di uno fra i più grandi eroi dei propri tempi. Molti dicevano che era un ragazzo vivace. Menzogne. Edheldur non era vivace. Vivace era una parola per dire che era ribelle e irrequieto. Vivace era una parola che gli elfi usavano nella speranza che Edhel crescesse e divenisse il degno figlio di Anfindur. Edheldur era ribelle. Più la gente gli parlava della nobiltà di suo padre, più in lui cresceva la ripugnanza per ciò che fu Anfindur. Dure e frequenti erano le liti con Fulvio, che non riusciva a tenere a bada il fuoco del piccolo Arhathel. Il suo occhio - che conosceva la verità su ciò che era stato fatto ad Edheldur - capì che il bimbo che aveva giurato di crescere era tutt'altro che il padre. [...] Nonostante l'infanzia del Cavaliere Nero fu piena di episodi degni di nota, due fra questi contribuirono a far capire a tutti quale era l'indole del piccolo Arhathel. Al villaggio viveva un tale di nome Finarwyndir, detto il falegname. Un giorno Edheldur decise di mettersi al lavoro nella sua bottega per un po' di tempo in cambio di una piccola cetra. Lo vidi entrare ed uscire da quella bottega per un mese e un giorno. Al termine del periodo stabilito il falegname - la cui arte e il carattere burbero erano noti a tutti gli elfi del villaggio - diede in dono al figlio di Anfindur una splendida cetra nera dal suono sublime. Non un solo grazie uscì dalle labbra del piccolo Arhathel, ma prendendo la cetra se ne andò senza dire una parola. Fulvio fu sorpreso dall'inclinazione del piccolo per la musica. Edheldur parlava poco, ma le note della sua cetra toccavano l'anima di chiunque lo ascoltasse. [...] Qualche giorno dopo la bottega di Mastro Finarwyndir ebbe uno spiacevole incidente e richiese un'intera notte di lavoro per essere rimessa in sesto. Il falegname accusò il piccolo Edheldur dell'incidente. Non fu mai chiaro se Edheldur avesse colpe o meno in ciò che accadde. Le male lingue - presenti in ogni villaggio, anche elfico - furono ispirate dall'episodio come un poeta da una musa. Cominciarono a circolare voci sul terribile carattere di Edheldur Arhathel. Come tutte le voci prive di fondamento, il vento portò via tali dicerie come foglie dagli alberi in autunno. [...] Si dice che Edheldur non avesse amici fra gli altri bambini e che non rivolgesse mai parole di stima a coloro che erano più anziani di lui. L'unica persona a cui sembrava dimostrare affetto era Lorelin. Non passava notte che Edheldur non dormisse abbracciando la sorellina, avvolta fra le coperte come un fagotto. Se il figlio di Anfindur aveva un carattere cupo, Lorelin era di ben diversa inclinazione. Aveva solo un anno e ancora non aveva l'uso della parola. Eppure i suoi sorrisi commuovevano la gente del villaggio e i suoi occhi erano azzurri come quelli della sorella di Anfindur. [...] Avvenne un giorno che Edheldur bussò alla porta di una giovane elfa il cui nome era Elùvien. La sua bellezza era grande, come in tutte le figlie degli elfi. I capelli erano verdi come le foglie in primavera e il suo sguardo limpido e chiaro. Edheldur le rivolse parole d'amore e le chiese di essere la propria ragazza. Elùvien gli rispose con un sorriso poiché lui era solo un bambino di due anni. Quel giorno l'elfa dai capelli verdi raccontò di come lui l'avesse guardata con uno sguardo acceso e saltato in un balzo sulle sue gambe le avesse dato un bacio sulle labbra con tutta la passione di un ragazzo. Passò un giorno e una notte durante il quale Edheldur credette che Elùvien fosse la propria donna. Un pomeriggio accadde che il piccolo Arhathel vide Elùvien intrattenersi in compagnia di un altro ragazzo. Quella fu la prima volta che il mondo vide la sua indole, a cui non riesco ancora a trovare un adeguato aggettivo. I suoi occhi di ghiaccio divamparono del fuoco che solo nello spirito di un Arhathel poteva ardere, stette acquattato dietro una siepe. Non appena ella tornò a casa il piccolo la seguì e con un balzo fu sul tavolo. Le parole d'amore mutarono in sentimenti neri come la notte. Elùvien guardò sbigottita il piccolo figlio di Anfindur parlarle con rabbia. Afferrata una bottiglia di vino dal tavolo ne bevve solo due sorsi prima di cadere in preda all'alcool. Aveva solo due anni e già odiava il suo villaggio. Io stesso gli sentii dire che avrebbe creato una propria compagnia di mercenari e sarebbe tornato per distruggere lei e tutto il villaggio. Non nego che sentir parlare così un bambino mi fece gelare il sangue. Sopratutto se quel bambino era il figlio di Anfindur, il campione degli Elfi Silvani. [...] Il giorno non era nemmeno giunto al termine che una folla di curiosi si radunò dinnanzi alla porta di Elùvien, poiché da essa si levava del fumo. Fu detto che Edheldur aveva appiccato fuoco al legno. Fu detto che Edheldur rimase lì a guardare le fiamme con la sua solita espressione imbronciata. Fu detto che Anfindur aveva visto bene negli occhi del figlio quando scelse di chiamarlo Edheldur. Fu detto che quel bambino aveva qualcosa di oscuro. Mi chiedo quanti di coloro che espressero queste parole avessero realmente visto il piccolo Arhathel fare tutto ciò di cui era accusato. Di nuovo il vento portò via le cattive voci sul bambino, ma stavolta qualche foglia rimase attaccata all'albero. Fulvio prese seri provvedimenti. Molti furono gli schiaffi dati al piccolo, ma nessuna lacrima rigò il suo volto. Fu chiuso in una stanza a meditare sulla nobiltà delle proprie azioni finché non si fosse pentito di ciò che aveva fatto. Ma ad ogni provvedimento di Fulvio il piccolo Edheldur reagiva sempre più con rabbia. [...] Fu così che gli fu proibito di uscire di casa. Passarono degli anni prima che il piccolo bambino poté rivedere la luce del sole. Furono gli anni in cui la gente dormì sogni tranquilli. Furono gli anni in cui in molti si posero una domanda : Come era possibile che un bambino di soli due anni fosse riuscito ad appiccare fuoco ad una casa, ubriacandosi e minacciando di morte l'intero villaggio? Ma sopratutto come era possibile che quel bambino fosse proprio Edheldur, il figlio del Nobile Anfindur Arhathel? Nonostante ciò c'era ancora chi pregava gli Dei che Edheldur divenisse il nuovo eroe degli elfi silvani "
"Era costume degli Elfi Silvani che ogni elfo all'età di poter imbracciare un'arma venisse portato di fronte agli occhi del sovrano. Egli ne avrebbe valutato le inclinazioni al fine di indirizzarlo alla giusta attività. Chi era forte di polso e robusto veniva addestrato all'uso della lancia. Chi eccelleva nella mira veniva addestrato all'uso dell'arco. Con gli anni i migliori fra guerrieri ed arcieri venivano promossi allo status di veterano. Un veterano aveva maggiori libertà di un normale guerriero poiché egli poteva scegliere l'arma o l'armatura con cui sarebbe sceso in campo [...] In quei giorni sedeva sul trono del villaggio degli Elfi Silvani Re Mildur, figlio di Cleygan e quarto sovrano della dinastia dei Lorien. Il sovrano, ch'era grande amico di Anfindur, fu ben lieto il giorno in cui Fulvio portò al suo cospetto i figli del Campione. Edheldur in cuor suo desiderava e bramava di poter usare le spade del padre, poiché nella sua mente serbava ancora i ricordi delle gesta del padre. Il giudizio del Re fu insindacabile, Edheldur Arhathel e la sorella Lorelin sarebbero stati addestrati all'uso dell'arco. La reazione dei fratelli fu ben diversa. Lorelin accolse con un sorriso il suo fato, Edheldur pronunciò parole d'ira nei confronti della sentenza. Lorelin vide nasce nel suo cuore gli ideali delgi elfi silvani e aveva votato la sua vita al villaggio, come aveva fatto il padre prima di lei [...] Io vidi tutto quei giorni lontani. Io conobbi Edheldur sin da quando era solo un ragazzo. Il suo mondo era esclusivo. Aveva l'abitudine di tener distanti da sé gran parte della gente. Nel suo cuore entravano poche persone. Lorelin fu una di queste. Ogni scatto d'ira del giovane Arhathel veniva placato dalla soave voce della sorella. Ogni sera lui suonava la cetra e lei lo ascoltava incantato. Edheldur le parlava del desiderio di riprendere le armi del padre, e lei lo accarezzava con dolcezza dicendogli che avrebbe fatto tutto al tempo giusto. Non vidi mai come cambiava l'atteggiamento di Edheldur quando si trovava da solo con la sorella. Ma si dice che il suo viso, che sempre recava un'espressione di sfida, si placasse. Spesso la guardava silenzioso. I suoi occhi di ghiaccio si incrociavano con quelli azzurri di Lorelin. Le loro mani si intrecciavano e stavano a lungo abbracciati. Furono i giorni in cui Edheldur capì di amare la sorella. Le voleva più che bene. Avrebbe desiderato baciarla e averla al fianco per sempre. Ma sapeva che per lei era solo un fratello. Sapeva quanto il cuore di Lorelin fosse puro, sapeva che non sarebbe nato un sentimento d'amore per il fratello. Sapeva che era la persona a lui più vicina, ma non avrebbe mai percorso quei pochi centimetri che separavano le loro labbra. [...] La luna brillava alta una notte, quando Edheldur pronunciò un giuramento. Promise alla sorella che non si sarebbe mai congiunto a nessuna donna. Giurò che sarebbe rimasto per sempre con lei. Lorelin ricambiò il giuramento. Ma quanto diversi erano i pensieri dei loro cuori! Edheldur giurò poiché sapeva di amarla. Giurò poiché non voleva nessun'altra donna che non fosse la sorella. Lorelin promise poiché voleva bene al fratello. Non aveva mai conosciuto i genitori. Voleva bene a Fulvio ma non si separava mai da Edheldur. Certi amori sono proibiti - e tali dovrebbero rimanere - . Fulvio continuava a vigilare attentamente su Edheldur e ben presto capì che lui l'amava. In questo il giovane Arathel non era dissimile dal padre il cui amore per la propria sorella gli fece fare follie. Presolo da parte gli disse che mai Lorelin doveva sapere di un amore così innaturale quanto quello del fratello [...] Venne allora il tempo in cui Edheldur entrò nel corpo degli arcieri. Era loro compito passare la giornate a fare ronde fra gli alberi assicurandosi che nessun nemico si avvicinasse al villaggio. In quei giorni vidi Edheldur allargare la propria cerchia di conoscenze. Furono molti coloro che si interessarono alla nuova recluta. V'era la bella Elùvien dai capelli color delle foglie. Il tempo aveva cancellato ogni memoria di ciò che lui aveva fatto alla sua capanna. Non serbava più rancore per quello che definì come i capricci di un bambino. V'era l'affascinante Ariel, dai lunghi capelli bianchi. Si diceva che gli elfi con cui fosse andata a letto erano più numerosi delle stelle nel cielo notturno. Era maliziosa e sempre pronta a conquistare un nuovo elfo. Divenne compagno di Edheldur anche Sariel, fratello di alcuni anni più piccolo di Ariel. Non era un ragazzo di cui si parlava molto villaggio, poiché era sua abitudine parlare con un sussurro e avere grande timore dei suoni forti. Come Ariel anche Sariel aveva i capelli bianchi come la neve, che teneva sempre in gran ordine. Sariel aveva un compagno da lui inseparabile, il cui sopranome era Tick. Lo chiamavano così a causa del suo nervosismo, di cui gran parte di noi ignoravano la causa. Era calvo e spesso Sariel parlava in sua vece poiché egli aveva grandi difficoltà nel relazionarsi agli altri. A questo stravagante e variopinto gruppo si accompagnava anche un tale il cui nome era Falin il cui incontro col figlio di Anfindur fece parlare il villaggio per un pomeriggio intero [...] Era il primo giorno di servizio di Edheldur. Aveva già preso l'abitudine di tingersi attorno agli occhi col trucco nero. Molti pensavano che fosse una strana abitudine, e per tal motivo Ariel ne fu attratto dal primo istante in cui lo vide. Ma ad ogni tentativo della ragazza di conquistare Edheldur, il figlio di Anfindur rispondeva con un netto rifiuto. In quei giorni pensavo semplicemente che Edheldur non ritenesse affascinante Ariel - cosa molto ardua da pensare poiché era davvero bella -, ma in realtà il giovane Arhathel teneva ben in mente il giuramento della sorella e il suo cuore apparteneva già a Lorelin. Falin era follemente innamorato di Ariel. Lei gli aveva già fatto conoscere i piaceri del suo corpo, ma lo considerava uno di tanti. Falin era molto robusto e, nonostante parlasse come uno che ha appena imparato l'elfico, non era affatto stupido. Ogni giorno cercava di compiacere Ariel nel tentativo di farle capire quanto l'amasse. Lei semplicemente si disinteressava di Falin poiché cercava di affascinare Edheldur. Fu così che Falin divenne geloso del figlio di Anfindur. Non passò molto che si arrivò allo scontro. Falin era molto robusto e grande era la forza del suo polso. Nonostante ciò Edheldur diede gran prova di sé riuscendo a battere in duello Falin. La fama di combattente di Edheldur crebbe e si parlava di lui almeno quanto di Maric Lorien, figlio del Re. Come tutti i Lorien, Maric aveva un talento innato per la magia. Il suo carattere era vivace - a tratti quasi superbo - e curava molto il suo aspetto, in particolar modo i capelli ricciolini castani. Molte giovani ragazze lo ritenevano un bell'elfo. La madre era morta durante la battaglia dell'ultimo drago e crebbe all'ombra del padre. Mildur era sempre molto impegnato e aveva molto poco tempo da dedicare al figlio. Per tal motivo Maric era insoddisfatto del padre che sembrava prestare attenzione a tutti gli altri elfi piuttosto che al figlio [...] Nonostante Edheldur voleva tenere lontano da sé i suoi compagni, Ariel, Sariel, Elùvien, Falin e Maric passavano molto tempo in sua compagnia. Forse per il fatto che avesse un fascino oscuro, forse per la fama del padre, forse per la sua innata bellezza, Edheldur si ritrovò al centro di questo gruppo. Io come tanti altri non prestammo molta attenzione a ciò che facevano. Si diceva fossero solo dei ragazzi. Forse se avessimo tenuto d'occhio Edheldur come faceva Fulvio, ci saremmo risparmiati grandi dolori e pianti. Il giovane Arhathel passava il giorno con i compagni, fuggiva dai tentativi di seduzione di Ariel e chiacchierava cautamente con Elùvien. Quando il sole scendeva oltre l'orizzonte tornava a casa. Mangiava con aria accigliata ciò che Fulvio preparava per cena e prima che la luna si levasse si ritirava nella sua stanza con Lorelin. Passava la sera a suonare la cetra ascoltando tutto ciò che la sorella gli diceva. Lei aveva un carattere dolce e parlava molto al fratello. Lui l'ascoltava ma ancor più la guardava poiché sentiva il cuore battere forte d'amore. [...] Quando Lorelin si addormentava fra le sue braccia una cupa malinconia sorgeva in Edheldur poiché sapeva che mai avrebbe avuto l'amore della sorella. Allora usciva in punta di piedi da casa e si recava da Elùvien. Ella aveva un carattere mite e tranquillo; giorno dopo giorno Edheldur prese a fidarsi sempre più di lei. Elùvien era l'unica a cui Edheldur avesse rivelato l'amore per Lorelin. Lei lo guarda forse con tenerezza, forse con compassione. Non fu facile per lei essere amica del giovane Arhathel poiché era facile all'ira e restio al perdono. Litigarono qualche volta, ma notte dopo notte il figlio di Anfindur si recava da lei per confessare i segreti del suo cuore. Mi sono chiesto se Edheldur si recasse dalla sua amica di notte perché non voleva farsi vedere dagli altri, o dalla sorella o semplicemente perché la notte era la compagna ideale della sua indole cupa e riservata. Certe notti lei lo acquietava e lui ritornava a dormire stringendo a sé Lorelin. Certe notti invece, per riuscire ad evadere dal tormento d'amore che provava, si lasciava andare al vino. [...] Molti al villaggio sapevano quanto Edheldur bevesse. Fulvio lo rimproverava aspramente, Lorelin lo guardava in lacrime - ignara che lui l'amasse - gli altri semplicemente lo tenevano lontano. Tutti tranne Ariel. Il suo carattere lascivo era in sintonia con quello di Edheldur. Se lui era un'anima maledetta, lei era l'amica ideale delle sue bevute. Tutti facevano discorsi morali ad Edheldur, eccetto Ariel. Tutti gli dicevano come doveva essere - tutti gli ricordava di suo padre - eccetto Ariel. Tutti si aspettavano qualcosa da lui, eccetto Ariel. Lei forse si divertiva a vederlo bere e ascoltava le sue parole cariche di odio verso il villaggio. Due anime solitarie e maledette non sono più sole.[...] Passarono così diversi anni. V'erano tante regole al villaggio, molte forse fin troppo dure, eppure tutte dovevano essere rispettate. Era proibito lasciare i confini del villaggio a chi non fosse autorizzato dal re. I giovani spesso lo prendevano come un impedimento, ignari che era per il proprio bene. Il mondo là fuori era duro e gli Umani ricordavano ancora la sconfitta della battaglia dell'ultimo drago. I giorni passavano fra l'allenamento e i turni di guardia. Il villaggio imponeva tante regole, ma regalava anche momenti di felicità. Ma niente sembrava rendere felice Edheldur. Il suo cuore bramava la libertà. Voleva le armi e l'armatura del padre. Voleva scrollarsi di dosso il peso del nome Arhathel. Voleva fare ciò che la propria mente e il proprio cuore gli suggeriva. Fu così che raccolse attorno a sé pochi compagni che erano insoddisfatti del villaggio quanto lui. Raccolse coloro che qualcuno avrebbe definito gli esclusi. Coloro che erano messi da parte, coloro che non erano tenuti in gran considerazione. Fu nel cuore della notte che fu pronunciata la promessa di creare un gruppo autonomo all'interno del villaggio. Alla proposta di Edheldur si unirono Ariel la seducente, Sariel colui che sussurrava, Tick il nervoso, Falin il robusto, Eluvien dai capelli verdi, Maric il figlio del Re e - per amor del fratello - Lorelin Arhathel. Era nata la Compagnia del Crepuscolo, destinata a cambiare per sempre il villaggio e il mondo."
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