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Heavy Rain
Piove leggero. La città è come silenziata. Chi può preferisce starsene a casa, le strade sono semi deserte. C'è giusto il rumore qualche macchina di passaggio a rompere il ritmico ticchettare dell'acqua.
Arrivo al ponte che sono le dieci passate. Sta iniziando a piovere più forte e sono ancora lontano da casa. Da qualche settimana gli allenamenti sono durati più del solito. Per via del mal tempo sto tornando spesso a casa fradicio.
Nei giorni scorsi il temporale ha dato il meglio di sé, il letto del fiume non riesce più a contenere l'acqua. Il torrente scorre impetuoso verso il mare che dista poche centinaia di metri. A guardarlo mette quasi paura.
Lei è seduta per terra, piange.
È una bella ragazza. Di una bellezza un po' sbattuta però. Una bellezza stanca.
Ha la pelle molto scura, se non fosse inverno direi bruciata dal sole. I capelli castani sono raccolti in una coda di cavallo.
Avrà poco più di vent'anni.
Mi avvicino lentamente, incuriosito. Mi inginocchio e le sfioro la spalla con la mano.
"Tutto bene?".
Alza la testa e mi guarda diritto negli occhi. Per qualche secondo mi blocco e non riesco a pensare più a niente. I suoi occhi. Se improvvisamente smettesse di piovere e il mare si calmasse allora forse potrei vedere un blu intenso e profondo come quello dei suoi occhi.
"Scusami - mi accorgo che sto balbettando - , è che sei seduta qui da sola nello sporco... sta piovendo... va tutto bene?".
Continua a guardarmi negli occhi. Quando parla la sua voce viene da un posto lontano. L'eco di parole perdute nella pioggia.
"Luca... dov'è Luca? Non è stata colpa mia... dov'è?".
Non sono sicuro che stia parlando con me. Cioè, se non fosse che ci siamo solo io e lei su questo ponte direi con certezza che non sta parlando con me.
"Chi è questo Luca? - cerco di riprendermi - Hai bisogno di aiuto?".
In quel momento succede una cosa strana. Ha un sussulto. Chiamarlo sussulto forse è tanto. È come se solo in quel momento si fosse accorta della mia presenza.
Lei mi guardava ma solo in quel momento mi ha visto.
"Si, grazie - la sua voce si è fatta più stanca e i suoi occhi sono diventati di un blu ancora più scuro - aiutami a rialzarmi, non ce la faccio da sola".
Mi mette un braccio intorno al collo e delicatamente l'aiuto a rialzarsi.
"Io sono Francesco comunque".
"Marta, piacere...", sembra soppesarmi con ogni suo sguardo, scavare in profondità per cercare di capirmi. È molto debole e visibilmente scossa ma cerca comunque di mantenere il controllo su se stessa. Quale tempesta si cela dietro i tuoi occhi Marta?
"Vuoi chiamare qualcuno per farti venire a prendere? Abiti lontano?".
"No". No alla prima domanda o alla seconda? Un no secco, detto con rabbia e tristezza.
La pioggia si fa più fitta. Il cielo si prepara a scoppiare.
"C'è un bar a cinquanta metri da qua, che ne dici se ci riparassimo là dato che si sta preparando un diluvio? Poi potrai decidere cosa fare con calma...".
I cinquanta metri più lunghi e silenziosi della mia vita.
Marta pare non accorgersi della pioggia. Nè del mondo. È persa in pensieri troppo grandi o in ricordi troppo dolorosi, non so.
Il bar è semideserto, la guardo e mi sento in imbarazzo per qualche secondo.
"Eccoci... Bè è meglio che io vada allora...", quella ragazza ha un che di magnetico e di spaventoso allo stesso tempo. Meglio andarsene.
"No! - questa volta è quasi urlato - Per favore non mi lasciare da sola".
Mi prende la mano e la stringe forte. Sul suo viso però non c'è paura. Cosa vuoi da me Marta?
"Resta - la sua voce si fa più sottile - , resta voglio raccontarti una storia".
La guardo incerto mentre la sua mano stringe la mia.
"Va bene, ma non posso stare molto".
Ci sediamo ad un tavolino appartato. Lei non ordina, io prendo una birra. Qualcosa mi dice che l'alcol servirà.
Non ragiona sulle parole, non si ferma a pensare su quale sia il modo migliore di iniziare. Quando parla lo fa come se stesse ripetendo un copione già recitato centinaia di volte. Lo fa con la sicurezza di chi la sua storia ormai la conosce a memoria e sa che, tragicamente, il finale non cambierà.
"Avevo diciassette anni quando l'ho conosciuto, quando ho conosciuto Luca. Lui era più grande di otto anni ma non era un problema, avevo già avuto uomini più grandi. Gli uomini - è malizia quella che leggo nei tuoi occhi Marta? - sono sempre tutti uguali. Tutti persi quando mi parlano".
"Luca era diverso?", spero abbia afferrato l'ironia.
"Si". Non mi guardare con quegli occhi Marta, ti prego. Giuro che non ti interromperò più, non mi metterò di mezzo tra te e i tuoi ricordi.
"Continua ti prego", dico serio cercando di reggere il suo sguardo.
"Luca lo incontrai un pomeriggio in un bar. Aspettavo una mia amica. Lui si sedette al mio tavolo e semplicemente iniziò a parlare. Non come gli altri ragazzi. Non si pavoneggiava, non si vendeva per più di quel che era. Semplicemente parlava. Quello era lui ed era davanti a me senza nessuna maschera.
Parlò finché non arrivò la mia amica. Si alzò mi allungò la mano e mi chiese il nome. Marta, mi chiamo Marta, piacere. Non so per quanto l'avevo ascoltato parlare, so solo che ero presa nel vortice della magia delle sue parole. Tu sei mai stato innamorato?", mi chiede guardando in un punto imprecisato dietro la mia spalla.
"Non so. Forse, una volta. Ma non è finita bene".
"Lei ti ha lasciato?".
"No, io ho lasciato lei. Mi faceva paura quello che provavo ed ho iniziato ad allontanarla ogni giorno un po' di più, finché a tenerci insieme non c'è stato niente. Non passa giorno che non mi maledica per la mia stupidità".
Perché le sto raccontando tutto questo?
"Ne è valsa la pena. Anche se hai avuto paura e te la sei lasciata scivolare dalle mani, ne è valsa la pena. Vale sempre la pena di amare. Comunque vada. Io Luca non l'avrei mai lasciato, per niente al mondo. Quel giorno andai via con la mia amica, Laura. Ero molto stordita da quel ragazzo misterioso, ne ebbi quasi paura. Tu puoi capirmi. Tornai al bar il giorno dopo e lui era là. Parlammo fino a sera, parlammo finché il bar non chiuse e il cameriere ci costrinse ad uscire.
Molti altri giorni passarono come quello. Le ore volavano via accarezzate dalla poesia delle sue parole. Lui non mi baciò subito, sembrava volermi conoscere prima. Anche questo mi piaceva di lui. Era diverso, lui non voleva solo il mio corpo. Voleva possedermi tutta, voleva scavare nel profondo.
Laura, la mia amica, mi chiese di rallentare il ritmo. In poco tempo la mia vita consisteva solo in Luca e le mie giornate erano piene solo se erano piene di lui. Vedeva nei miei occhi quella luce che brilla negli innamorati così simile alla pazzia. Ma come si fa a fermare una cosa simile? Come si fa a spegnere un fuoco simile?".
Questa è la storia di una ragazza felice Marta, di una donna innamorata. Cosa non mi hai ancora raccontato?
"Ci sposammo appena ebbi compiuto diciotto anni. La mia famiglia era, naturalmente, contraria. Anche Laura era contraria, mi chiedeva di non fidarmi di quest'uomo così terribilmente affascinante spuntato dal nulla pochi mesi prima. Tutto il mondo aveva paura per me. Peccavo forse di ingenuità a seguire il mio cuore? Quale delitto commettevo a lasciare ardere la fiamma? Io era la donna che tutti gli uomini volevano e che un solo uomo avrebbe avuto.
Ci sposammo in una piccola chiesa sulla costiera, in una paesino di lavoratori di ceramiche. In una piccola bottega alle spalle del nostro albergo comprammo una statua: un cuore di ceramica rosso accesso con i nostri nomi incisi sopra, appoggiata su una pesante base di marmo nero. Luca e Marta, per sempre".
Si è fermata, sembra un po' provata.
"Ho bisogno di andare un attimo al bagno" mi dice.
Si alza lentamente, stanca del peso di una storia che sembra massacrarla. Quale delirio può aver sconvolto questa ragazza?
"Eccomi - c'ha messo parecchio. Sembra anche più pallida di prima -, dov'ero rimasta?"
"Mi stavi raccontando del vostro matrimonio", ora che ci penso non ha la fede al dito.
"Si. I miei non mi parlarono per qualche mese, poi accettarono la cosa e decisero di aiutarci per permettermi almeno di iscrivermi all'università.
Mio padre prese Luca a lavorare con sé. Io e Laura ci iscrivemmo a medicina. Lei non mi aveva del tutto perdonata per l'essermi sposata così frettolosamente con Luca, quando ci vedeva insieme le leggevo un velo di rabbia in volto.
Andammo a vivere in un piccolo appartamentino in centro, la camera da letto dava sul mare.
La vita scorreva tranquilla, lui con il suo lavoro e io con gli studi medici. Tornavo a casa prima e ogni sera quando tornava facevo in modo cge trovasse la cena pronta. Tranne il giovedì, il giorno del poker con gli amici, quando io ne approfittavo per cenare dai miei genitori e passare un po' tempo con loro".
Marta si è fermata, respira a fatica. Le prendo una mano tra le mie mani per darle forza.
"Continua".
"Finché un giovedì sono tornata prima a casa. I ricordi sono confusi. La casa buia, quel silenzio innaturale rotto solo dal ticchettare della pioggia sui vetri della finestra.
Ricordo Laura e Luca avvinghiati sotto le coperte. Così presi, uno dentro l'altro, da non accorgersi nemmeno di me. Ricordo la mia mano che afferra la base in marmo del cuore di ceramica. Luca e Marta per sempre. Finché morte non vi separi.
Ricordo le sue urla. La facilità con cui ho cancellato ogni traccia di quel viso che mi aveva fatta innamorare. Ricordo due sacchi neri, un ponte deserto nella notte e un fiume gonfio d'acqua e di rabbia che scorre verso il mare".
Sono frastornato, non credo di aver capito quello che mi sta dicendo. O forse ho capito tutto, questo è il problema. Le stringo ancora la mano, non riesco a staccarla. Sento freddo, tanto freddo. Potrei essere una pietra in questo momento, per quel che ne so. Sono tante le cose che vorrei dire, ma mi viene una sola domanda. La madre di tutte le domande. "Perché... Perché mi stai raccontando tutto questo?"
È bianca in volto, esausta. Sorride.
"La pioggia, dicono lavi ogni peccato. Posso solo dire che mi ha lavato dal sangue di Luca ma io sono ancora sporca dentro, sporca nel profondo. Se avevo un anima ora c'è solo il sorriso beffardo di un mostro al suo posto.
Gli ho donato il mio cuore e lui ne ha fatto il suo giocattolo, la sua vita era il giusto prezzo per il suo tradimento.
Questa città senza di lui però non ha senso. Dopo stanotte sparirò. C'è un treno che mi aspetta tra poco, un'altra città, altre strade. Un'altra vita, forse. Non so cosa troverò. Non so se merito un futuro, una seconda opportunità. I mostri la meritano una seconda opportunità?
Mi ricorderanno come una malata, colpita da una pazzia d'amore malsano. C'è un'altra verità. La felicità pretende il suo tributo, sempre. Io ho pagato il prezzo di una felicità troppo grande. Il disagio che provi adesso nell'ascoltare la mia storia, questo è il tuo prezzo. Dopo stasera non sarai più lo stesso. Hai toccato con mano tutta l'oscurità che può celare un amore e non sarai più lo stesso per questo. Mi dispiace che ti debba fare carico della mia eredità ma è solo la storia che va avanti. Qualcuno deve conoscerla per poterla raccontare".
Marta si alza e si avvicina lentamente. Si avvicina tanto che posso sentire il suo profumo. Sento il suo sguardo perforarmi la testa. Sfiora appena la mia guancia con le sue labbra e sento distintamente la pelle bruciare in quel punto. Un bacio a suggellare il suo racconto.
Rimango qualche minuto seduto nel bar senza pensare dopo che se ne è andata. Poi mi alzo. Esco dal bar e piove ancora. Non so più se quella pioggia è rabbia o tristezza, non so molte cose per certo ora come ora. La prima goccia d'acqua mi ricorda che quella serata non è un incubo ma è realtà. Il temporale mi scava nel profondo ma non basta. Ci vorrà ben altro per lavare via il ricordo di Marta e dei suoi occhi.
Mi fermo a guardare il mare e mi chiedo quante storie celi, quanti orrori custodisca nel suo ventre gelido. Un mostro se la merita una seconda possibilità? Spero di si Marta, lo spero tanto.
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