Scendo dalla macchina, apro il tappo del serbatoio e mi lascio sorprendere da un risucchio d'aria: cruda metafora della mia condizione economica. Il self-sevice non ci pensa due volte a strapparmi via una banconota frutto di duro e umiliante lavoro precario. Infilo il bocchettone della pompa nella macchina e neanche il tempo di premere la leva dell'erogazione che è già tutto finito. Rimango un po' lì: e che diavolo... salviamo almeno le apparenze.
Rientro in macchina e giro la chiave per accende il quadrante. È il momento della verità: di quanto ruoterà l'indicatore della benzina?
Il ricordo corre subito ai tempi gloriosi di solo qualche anno fa. Mi sembrano ricordi splendidi innestati da uno scienziato bastardo per farmi del male. Non è che quello del far benzina sia mai stato un momento felice per me, ma almeno dopo aver arricchito lo Stato e qualche compagnia petrolifera c'era la soddisfazione nel vedere ruotare quell'indicatore. Spavaldo iniziava a passarsi tutte le tacchette. Sbattuta sotto una passava a un altra e poi una altra e una altra ancora e tan, tan, tan... proseguiva vigoroso e insaziabile. Era come vedere Rocco Siffredi a una festa di addio al nubilato. Io alla fine impugnavo il volante e sfidavo con lo sguardo sterminati chilometri d'asfalto, condannati a finire sotto le mie ruote. Il brivido "On the road" frustrava la mia schiena.
Ma adesso... Subito dopo che l'indicatore inizia a muoversi viene preso come da una stanchezza esistenziale e si accascia appena sopra la riserva. Resta là, insensibile al mio sguardo speranzoso. Quanta tristezza si può vivere oggi a un distributore.
Mi allaccio la cintura con l'entusiasmo con cui si mette il lutto al braccio. Il silenzio rotto dallo sfrecciare delle altre auto fa da fredda colonna sonora al mio ributtarmi mestamente in strada.