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La Leggenda del Cavaliere Nero - Parte II
"Vi era una caverna poco distante dal villaggio, una grotta molto poco frequentata. Fu deciso che la compagnia si sarebbe riunita ogni giorno al crepuscolo in quell'antro, che da allora prese il nome di Caverna del Crepuscolo. Io non ebbi mai modo di partecipare a nessuna delle sedute, poiché queste avvenivano in segreto e all'oscuro di tutti. In seguito dissero che ogni incontro veniva sempre aperto da Edheldur. La caverna era buia e il figlio di Anfindur accendeva una candela, attorno alla quale si riunivano tutti gli amici. Era un ben misera luce, a male pena in grado di rischiarare i volti dei presenti. Molte volte in seguito fu discusso su cosa avesse potuto spingere un gruppo così variegato di giovani a ritrovarsi in quel buio antro umido. La cosa sorprendente è che erano ben poche le cose che accomunavano la Compagnia del Crepuscolo. Dal principio in realtà non fu nemmeno ben chiaro quali erano i loro scopi. Gran parte di loro desiderava uno spazio - che non riuscivano a trovare all'interno della società degli Elfi Silvani - [...] Ben poco si sa di come veniva gestita la compagnia nei suoi primissimi tempi. Si suppone che le decisioni venissero prese per votazione. Ben presto tuttavia si rese necessaria la figura di un leader che prendesse in mano la situazione qualora non vi fosse il tempo per votare. Ciò che tutti sanno è che Edheldur emerse come leader ideale, ma ciò che non tutti sanno è che in realtà la votazione aveva dichiarato vincitrice la sorella Lorelin. Ma quando le fu chiesto di giurare il segreto perfino al cospetto del sovrano, la giovane Arhathel rifiutò. Una divergenza ideologica che costò cara a Lorelin, poiché dovette abbandonare la Compagnia. Forse se Lorelin fosse rimasta nel gruppo molto di ciò che avvenne in seguito sarebbe potuto essere evitato. Lorelin era una delle poche a cui Edhel prestava orecchio ma, cosa ben più importante, la giovane Arhathel era dotata di buon senso. Per molti giorni a venire la bella figlia di Anfindur pianse con lacrime amare la separazione dal fratello. Sapeva che qualsiasi cosa lui avesse fatto nel nome della compagnia, lei non ne sarebbe mai venuta a conoscenza [...] Erano solo ragazzi, lo sapevano. La loro forza non era rilevante né paragonabile a quella dei veterani, sapevano anche questo. Ma uno degli appartenenti del gruppo - non riuscii mai a capire chi - fece una interessante proposta all'intera compagnia. Un viaggio nei ruderi degli Elfi Oscuri. Nonostante discendessero da antenati comuni, gli elfi oscuri erano ben diversi dai cugini silvani. Si diceva di loro che erano feroci e crudeli oltre ogni dire e supremi conoscitori di ogni magia oscura e proibita. In quei giorni ritenevamo che tal popolo fosse scomparso molti decenni addietro. Qualcuno fra i membri della compagnia nutriva la speranza di riuscire a cavare qualcosa di utile dalle rovine della civiltà scomparsa, come armi o armature antiche e incantate. Fu stabilito il giorno e l'ora della partenza, allo scoccare della quale Edheldur si recò in visita da Re Mildur. Il giovane elfo sapeva di non poter rivelare il vero motivo della loro missione, almeno quanto sapeva che necessitavano del permesso del Re per varcare i confini del villaggio. [...] Non sospettando nessun inganno da parte di Edheldur - in fondo era il figlio di Anfindur, avrebbe mai potuto mentire? - Mildur concesse il permesso. Aveva mentito anche a Lorelin - quella stessa sorella che amava di un amore sconfinato - sul motivo della vera partenza, per tal ragione il suo viaggio iniziò col cuore pesante. Edheldur sapeva tutto ciò che sapeva il padre, per cui non fu difficile agli audaci giovani farsi strada fra i boschi in direzione delle rovine degli Elfi Oscuri. Viaggiarono per tre giorni e tre notti durante i quali stettero ben attenti dal tenersi alla larga da qualsiasi città umana che incontrarono sul loro cammino. Il quarto giorno il paesaggio iniziò a mutare. Gli alberi divennero sempre più radi e spogli, il terreno soffice e coperto di foglie lasciò spazio ad una pietra nuda e scura. Avvolta fra le nebbie di cupi colli, un oscuro ingresso nella roccia conduceva all'antica città degli Elfi Oscuri. Nessun membro - o quasi - della Compagnia del Crepuscolo si aspettava di vedere ciò che trovarono. Lungi dall'essere scomparsa, la civiltà degli Elfi Oscuri era rifiorita a nuova vita. La nuova città era retta da una dama di nome Freja. In molti fra gli Elfi Silvani si sarebbero ricordata di lei poiché era nata e vissuta per lungo tempo al villaggio. Pochi invece l'avrebbero riconosciuta a causa della mutazione subita dalla magia oscura. Del suo corpo poco era cambiato, poiché aveva lunghi capelli biondi come il grano sin dai tempi in cui era ancora un Elfa Silvana. Indossava un vestito nero succinto, tale da lasciar immaginare con pochi sforzi le bellezze del suo corpo. Freja si presentò in forma di serpe verde poiché, a differenza degli altri elfi, gli Oscuri hanno la facoltà di trasformarsi in un animale guida. Nonostante portassero ancora il nome di Elfi Oscuri, Freja si prodigò per dimostrare quanto diversa fosse la loro filosofia di vita da quella degli antichi e feroci elfi delle leggende. Freja - la cui lingua giocava con le parole come un gatto fa col topo - tesseva le lodi del proprio villaggio, fondato sulla estrema libertà di ogni suo appartenente. [...] Affinché potessero verificare con i propri occhi la verità delle sue parole, Freja chiamò il figlio affinché guidasse Edheldur e i suoi compagni in un giro nella città. Al suo cenno si fece avanti un giovine elfo, rosso di capelli, il cui nome era Orion. Vestiva un lungo cappotto rosso come i suoi capelli, e portava come armi una lancia e uno scudo col simbolo del toro - il proprio animale guida - . Orion accolse con parole gentili e con cortesia gli ospiti, poiché il suo animo era tanto mite con gli amici quanto feroce con i nemici. [...] Fu in quell'occasione che Edheldur scoprì una dura verità su Ariel. Molto si sorprese il figlio di Anfindur quando Orion, il Toro Rosso avvicinatosi ad Ariel le diede un lungo bacio sulle labbra. La sorella di Sariel era infatti la ragazza di Orion e in realtà - pur non essendo un'elfa oscura - era stata inviata al villaggio degli Elfi Silvani allo scopo di tenere d'occhio le attività di Re Mildur. [...] Gli Elfi Oscuri avevano uno strano senso della famiglia, poiché era tollerato il congiungimento carnale con persone diverse dal proprio partner. Orion mostrò alla Compagnia del Crepuscolo case costruite allo scopo di permettere tali unioni. La città era molto grande ed era stata costruita attraverso il duro lavoro di schiavi umani catturati nelle terre vicine. Quando il giro per la città terminò il principe portò gli ospiti di nuovo al cospetto della madre. Freja volle dare sfoggio di grande generosità offrendo ad Edheldur un dono prezioso e pericoloso : divenire un elfo oscuro. Furono tante le decisioni difficili che il figlio di Anfindur dovette prendere nella sua vita, ma a suo dire questa fu una delle più difficili. I compagni di Edheldur si divisero fra chi pensava che il loro leader non dovesse rifiutare e chi invece gli ricordava la sua natura di elfo silvano. Mi dissero che era seduto su una ricca e decorata sedia col viso serio e pensoso. Con una mano giocava coi lunghi capelli neri mentre rifletteva su una decisione così importante. Pensava alla compagnia e al motivo per cui erano venuti lì, ma pensava anche alla sorella che pur essendo lontano da sé, non lo era dal suo cuore. Sapeva bene ciò che Lorelin gli avrebbe detto di fare, anzi di NON fare. Gli tornavano in mente tutte le parole degli abitanti del suo villaggio. Figlio di Anfindur. Erede di un nobile lignaggio. Nuova speranza degli elfi silvani. No! Lui non voleva essere ciò che loro dicevano. Voleva divenire solo Edheldur. Era stanco di essere chiamato figlio di Anfindur. Così dopo aver a lungo riflettuto accettò l'offerta a l'unica condizione che fosse libero di andare via insieme ai propri compagni. Fu portato il calice del dio Khaine. Venne riempito di sangue e, sotto gli occhi attoniti e attenti dei compagni, Edheldur lo portò alle labbra. [...] Più volte chiesi in seguito al Cavaliere Nero di narrarmi cosa provò all'atto della trasformazione. Ma ogni suo tentativo di farmi realmente capire cosa avvenne fu vano. Parlò di un posto avvolto nella nebbia. Parlò di un posto in cui sentiva versi di mille e un animale. Parlò di un posto buio in cui Freja lo invitò a scegliere il proprio animale guida. Che fosse stato il frutto della magia o semplicemente un'allucinazione del suo spirito non è possibile dirlo. Poteva scegliere come animale guida un'aquila per poter volare via nel cielo o divenire un orso per spazzare via i propri nemici, ma fra tutti gli animali Edheldur scelse come proprio animale guida un gatto nero [...] Il leone incute timore perché puoi vedere la sua forza, mi disse in seguito. Ma la paura è ancor più grande quando hai davanti l'ignoto. Per tal motivo la superstizione ci fa temere i gatti neri. Sembrano avere sempre qualcosa in serbo per te, ma spesso è solo una paura irrazionale. E poi il gatto è dolce, carino ed elegante, non trovi? Risposte simili erano tipiche di Edheldur. In seguito alla trasformazione, Freja mantenne la parola data. La compagnia del Crepuscolo lasciò il villaggio degli Elfi Oscuri e nessuno seppe - né sospettò - ciò che era avvenuto. Edheldur non era cambiato nell'aspetto e l'unica differenza rispetto a prima - come tutti gli elfi oscuri - era che i suoi occhi divenivano come quelli di un gatto se si trovava al buio. Fu così che la prima spedizione della Compagnia del Crepuscolo ebbe termine. Edheldur aveva preso una decisione drastica. Aveva scelto di non essere più un elfo silvano, aveva fatto il primo passo per divenire il Cavaliere Nero. All'epoca in cui tutto questo avvenne, nessuno poteva sapere che tutte le speranze che avevamo posto nel figlio di Anfindur erano state tradite. Dove noi vedevamo il figlio di un eroe, in realtà la Compagnia vedeva la possibilità di poter cambiare le cose. E le cose cambiarono. Presto. Molto più presto di quanto ognuno di loro avrebbe potuto prevedere."
"Mentre la Compagnia del Crepuscolo ritornava al villaggio degli Elfi Silvani, fu vista una piccola colonna di fumo salire da una radura poco distante dal loro cammino. Edheldur, ch'era il leader del gruppo, decise di andare cautamente a dare un'occhiata. Divenne un gatto nero e si avvicinò con passo leggero e felpato. Attorno ad un piccolo fuoco da campo vide la figura di un guerriero, intento a scaldarsi. Fu deciso di circondare quel misterioso guerriero, per bene intendere di cosa si trattasse. Edheldur, Falin e Tick ch'erano i più forti e robusti si lanciarono con le spade, mentre i compagni rimasero sugli alberi con gli archi tesi. [...] Tutto si svolse in fretta. L'uomo seduto nella radura altro non era che un'esca e una trappola. Per difendere i compagni Edheldur - piuttosto che ripararsi - strinse forte a sé il fantoccio. Si udì un gran boato e le lamiere di cui era fatto l'automa si smembrarono in mille aculei, che colpirono il figlio di Anfindur. I compagni dissero che il povero Edheldur si levò verso il cielo e ricadde pesantemente fra gli alberi, privo di sensi e grondante di sangue. Era un'imboscata di Wolf detto il Freddo Sangue. Questo era il nome di un nano del Clan del Popolo Nascosto, a lungo nemico di Anfindur. Il suo viso era ben noto agli Elfi Silvani poiché in più di un'occasione aveva procurato gran dolore al villaggio. Wolf era famoso per l'agilità e l'astuzia con cui colpiva, ma prima ancora per la sua fellonia. Si diceva infatti che fosse stato esiliato persino dal suo popolo e vagasse solitario per il mondo. La lotta durò tutta la notte. Nonostante fossero sette elfi contro un solo - pericoloso - nano, la Compagnia ebbe si grande difficoltà nello scontro. [...] Quel giorno Edheldur Arhathel e i suoi compagni uscirono vittoriosi dove tanti avevano più volte fallito : Wolf il Freddo Sangue era stato catturato. Ci riuscirono, ma ad un gran prezzo poiché Falin il robusto cadde durante la battaglia. Fu detto che il nano fellone dovette colpire l'elfo più di dieci volte prima di riuscire a metterlo in ginocchio. Solo gli Dei sanno le dure parole che il giovane Arhathel rivolse a se stesso. Era il leader della Compagnia. Eppure, Falin era caduto. Lui era a capo della spedizione. Eppure Falin era caduto. Avevano compiuto la più grande impresa dai tempi della Battaglia dell'Ultimo Drago. Eppure Falin era caduto. [...] Al villaggio furono giorni di gioie e dolori. Furono celebrati i riti funebri e si pianse la perdita di un prode guerriero, ma si riconobbe il valore e il coraggio del figlio di Anfindur e dei suoi compagni. La gente lo acclamò come un eroe e fu fatta gran festa. Il Re in persona abbracciò Edheldur per il gran servigio reso al villaggio. [...] Ricordo bene che mancavano solo tre giorni al solstizio di inverno, quando fu deciso di nominare veterano il giovane Arhathel e il resto della sua compagnia. Ogni elfo del villaggio si accalcò vicino al lago poiché tutti avevano saputo che Edheldur stava per ricevere le armi e l'armatura di Anfindur. Vidi splendide corazze finemente lavorate e forgiate dai più pregiati metalli, ma nessuna poteva eguagliare l'armatura del Campione. Era una corazza interamente nera, come la notte più buia. Coloro che la guardavano rimanevano incantati dalla sua bellezza. Nero era anche il manto che copriva le spalle e scendeva fino a terra. Era abitudine di Anfindur indossare un elmo anch'esso nero col cimiero grigio, forgiato a guisa di un demone. La gente del villaggio mormorava che il fabbro mise tutto l'odio che poteva provare al fine di renderlo ancor più cupo e minaccioso, secondo i desideri del Campione. [...] Erano passati vent'anni dalla morte di Anfindur ma la sua nera armatura era proprio come l'aveva lasciata. Edheldur la indossò e la gente versò lacrime di commozione poiché molto assomigliava al padre. Re Mildur stesso cinse alla vita del giovane Arhathel le due spade del padre. Non erano lame come tante altre poiché erano spade incantate. Si diceva che le lame rispecchiassero l'animo di colui che le portava. Brillavano di una luce argentea quando il portatore faceva nobili gesta e diventavano sempre più scure per ogni azione ignobile. Le lame erano state forgiate per Caranthir Arhathel, che le lasciò in dono al figlio Anfindur. Il Campione - che seguiva la via della nobiltà tanto quanto le passioni del proprio cuore - aveva duramente faticato per renderle lucenti, come mai elfo l'ebbe viste. Quel giorno le nobili lame degli Arhathel furono impugnate per la prima volta da Edheldur. [...] Ariel ricevette in dono un'armatura bianca come le neve ed una frusta, il fratello Sariel ebbe un'armatura color del mare e delle catene incantate con cui colpire i nemici. Elùvien scelse un'armatura verde, dai cui guanti uscivano artigli affilati. Tick desiderò una corazza grigio come il metallo. Maric, ch'era l'unico incantatore del gruppo, ricevette il bastone magico dei Lorien. [...] Lorelin guardava il fratello con occhi pieni di emozione e ricoprì le sue guance di mille baci. Ce l'hai fatta, tesoro mio - disse ad Edheldur - sei riuscito ad avere le armi di papà, sono sicura sarebbe fiero di te. Quella sera anche Fulvio fece gran festa al giovane Arhathel poiché credette di essersi sbagliato sul suo conto. Si disse che era Destino di Edheldur compire gesta grandi quanto quelle del padre. Si disse che era Destino di Edheldur divenire il nuovo Campione. Si disse che era nobile come ogni altro Arhathel. [...] Passarono giorni tranquilli durante i quali divenne abitudine di Edhel trasformarsi in gatto - lontano da occhi indiscreti - e andare a trovare Lorelin. La sorella fece gran festa al piccolo gattino nero, ignara del fatto che si trattasse del fratello. Parlava al piccolo micio come ad un amico e gli narrava quanto volesse bene ad Edheldur. Gli svelò il suo desiderio di non volersi mai separare dal fratello e mille altre dolci parole. Lui stava lì ad ascoltarla, a guardarla e a farle tante fusa. Ariel - che diceva di amare il giovane Arhathel, o forse amava solo sedurlo - disse che in verità era un bel gatto e che gli occhi del micio erano dello stesso colore di quelli di Edheldur. Chiese permesso a Lorelin per accarezzare il gatto. E presolo fra le braccia, lo strinse forte al suo bel seno. Ariel sapeva che Edheldur non poteva fare molto per opporsi ai suoi tentativi di seduzione - non in forma di gatto - e fu molto divertita nel dargli mille baci. [...] Edheldur tornò a passare i suoi giorni fra i turni di guardia, la sorella e gli amici. Era desiderio del suo cuore rivelare a Lorelin ciò che era successo poiché non voleva serbarle segreti di alcun genere, ma sapeva che non poteva farlo. Si sentiva a disagio quando tutti nel villaggio lo elogiavano perché sapeva che in lui non v'era la nobiltà del padre. Ma non era il solo a saperlo e una notte si accorse - con orrore - che le lame incantate del padre divennero completamente nere. Le lame sapevano che aveva partecipato ad un rito oscuro. Le lame sapeva che nel suo cuore albergava odio e rancore. Le lame lo accusavano. Le lame stavano mettendo a rischio l'equilibrio del suo mondo. Cosa avrebbero detto gli altri se avessero visto le lame inquinate dal suo peccato? Cosa avrebbe detto Fulvio, Re Mildur, ma ancor più la bella Lorelin? Sapeva che nessuno doveva vederle. Il resto della Compagnia - che sapeva di condividere il fato di Edheldur - gli suggerì di portarle sempre con sé ma di non estrarle mai dal fodero. [...] Avvenne allora che Re Mildur, Fulvio e gli altri elfi più anziani del villaggio interrogassero Wolf il Freddo Sangue. Edheldur insistette affinché anch'egli potesse partecipare. Tutti gli elfi più importanti del villaggio erano riuniti nelle prigioni attorno al nano. Il fellone rispose ad ogni domanda con parole che riportare in questo manoscritto mi recherebbe gran vergogna. Esisteva da secoli aspra faida fra Elfi e Nani, la cui origine si perde nei granelli del tempo. Wolf non si piegava al volere degli Elfi Silvani e rivolse parole di sfida ad Edheldur. - Perché non lasciate che ad interrogarmi sia colui che mi catturò? - disse al Re e agli altri anziani - in verità grande è il valore di quest'elfo e solo a lui risponderò -. Fu deciso di fare un tentativo. Edheldur aveva gran forza e verso i nemici non mostrava né pietà né gentilezza. La sua forza - o forse la più grande debolezza - ma era che spesso agiva di impulso. Più volte la sua collera gli faceva dimenticare il buon senso. Afferrò il nano con una mano. Lo sollevò una spanna dal pavimento e gli intimò di parlare. Fece tutto questo mentre lo minacciava, puntandogli contro una delle sue lame. Grande fu lo stupore dei presenti nel vedere le nobili lame di Anfindur - quelle lame che erano abituati a vedere splendenti - macchiate di nero. Allora tutti pensarono e dissero che il cuore di Edheldur era oscuro. Il giovane Arhathel provò vergogna e timore. Approfittò della confusione per trasformarsi in gatto e scappare via. Correva per le strade del villaggio e i suoi compagni capirono che qualcosa era successo. Lo seguirono e si ritrovarono alla Caverna del Crepuscolo. Aveva poco tempo per pensare ma sapeva cosa doveva essere fatto. Disse ai compagni che era il momento di lasciare il villaggio degli Elfi Silvani. Ariel sorrise al pensiero poiché vide in Edheldur grande risolutezza, Sariel e Tick rimasero sbigottiti, Maric credette stesse solo scherzando. Elùvien non voleva voltare le spalle agli Elfi Silvani e per tal motivo rifiutò di lasciare il villaggio. Edhel - disse l'elfa dai capelli verdi - questa storia sta andando troppo oltre. In verità temo che la corruzione stia inquinando il tuo cuore. Rinuncia ai tuoi propositi, figlio di Anfindur. Fallo nel nome della nostra amicizia. Il giovane Arhathel la guardò negli occhi in silenzio. Alcuni raccontano che le parole della mite Eluvien l'avessero toccato e stesse titubando. No. Conobbi molto bene l'animo del Cavaliere Nero. Poche cose potevano farlo desistere dai suoi intenti - ed Eluvien non era fra queste -. Il suo silenzio diceva molto, ma nessuno della Compagnia fu in grado di capirlo. Edheldur aveva iniziato a conoscere bene ognuno dei suoi compagni. Sapeva che Eluvien non avrebbe mai lasciato il villaggio. Temeva che quel giorno sarebbe arrivato. In seguito fu detto che ciò che legava il figlio di Anfindur ad Eluvien non era vera amicizia. Menzogne. Era amicizia autentica, forse anche di più. [...] Fu così che le loro strade si separarono per sempre. Fu così che giunse il crepuscolo anche per l'amicizia che lo legava ad Eluvien. Erano rimasti solo in cinque. Mentre i compagni raccolsero in breve tempo le poche cose che avevano, Edheldur si recò dalla sorella. Lorelin era a letto a piangere poiché aveva saputo ciò che era successo. Al giovane Arhathel si spezzò il cuore nel vedere la sorella amata versare lacrime. Tesoro mio - disse Lorelin con un filo di voce - quali oscuri segreti serbi a chi ti sta accanto?. - Sorella mia adorata - ammise Edheldur - in verità ci siamo recati dagli elfi oscuri. Ho preso parte ad un rito e io stesso posseggo le abilità di un elfo oscuro. Io sono quel gatto che ti recò gran diletto. Gli altri mi prenderanno. Gli altri non accetteranno mai la mia condizione di elfo oscuro. Gli altri mi faranno del male, gli altri ci separeranno. Sto lasciando il villaggio, Lorelin. Scappa insieme a me, sorella mia. Non lasciarmi solo. Lorelin non ebbe più le forze nemmeno per piangere e si mise ad urlare tale era il dolore che le parole del fratello le procurarono. Gli diede uno schiaffo e lo spinse via. [...] La folla degli Elfi si stava diffondendo per il villaggio. Sapeva che lo stavano cercando. Sapeva che non aveva molto tempo. Sapeva anche che avrebbe dovuto lasciare il villaggio e che Lorelin non l'avrebbe seguito. Molti lo videro correre per il villaggio. Un nero fulmine fra le capanne e gli alberi. Molti lo videro. Alcuni non fecero in tempo a fermarlo. Altri lo lasciarono passare - chi avrebbe osato toccare un elfo oscuro? -. Le lacrime gli sbavarono il trucco nero mentre tornava alla Caverna del Crepuscolo. I suoi compagni erano lì e capirono la gravità della situazione. Edheldur li guardò uno per uno, si chiese quanto giusto fosse stato ciò che avevano fatto. Si chiese quanto giusto fosse stato trascinare i suoi compagni in tutto questo. Edhel decise di fare il bene della Compagnia, e lasciò il villaggio. [...] Una fila di frecce si piantarono ai loro piedi. Non erano solo fuggiti via, erano stati anche esiliati. Cacciati via da un villaggio in cui avevano scelto di non vivere. Quando furono soli Ariel, Sariel, Tick e Maric si inginocchiarono di fronte ad Edheldur e lo nominarono proprio comandante. Decisero di non rivelare a nessuno i propri nomi. Ariel divenne nota come la Sentinella poiché la sua vista era la più lunga di tutti. Maric divenne l'Ambasciatore poiché conosceva l'arte della favella. Sariel divenne lo Stratega poiché la sua mente era molto fine. Tick si fece chiamare il Difensore poiché grande era la sua forza e la fedeltà ai suoi amici. Fu da quel giorno che Edheldur si fece chiamare per la prima volta il Cavaliere Nero. Erano solo in cinque. Non avevano nulla se non le armi e le armature che portavano addosso. Soli in un mondo dilaniato dalla guerra fra Uomini ed Elfi. Senza più una casa, senza più una famiglia. Avevano perso tutto ma avevano guadagnato la Libertà. Era iniziata l'ascesa del Cavaliere Nero, il Comandante degli Elfi del Crepuscolo."
"Fra gli Elfi Silvani raramente si vuol parlare del giorno dell'esilio della Compagnia del Crepuscolo. La gente preferisce dimenticare ciò che reca dolore. E quel giorno Edheldur ne recò molti di dolori. Aveva tradito il suo villaggio natio. Aveva trascinato con sé alcuni fra i più valenti elfi - persino Maric il Principe - . Aveva spezzato il cuore alla bella Lorelin, ma - cosa ben più grave - aveva tolto agli Elfi Silvani i sogni, le speranze e le certezze. Perfino gli Dei sembravano piangere poiché una fitta pioggia prese a cadere per tutto il giorno. [...] In principio vagarono senza alcuna meta. Volevano solo allontanarsi alcune miglia dal villaggio per assicurarsi che nessuno li seguisse. Poche furono le parole pronunciate perché ognuno meditava sull'accaduto. Non volevano arrivare a tanto. Nessuno era preparato per una fuga dal villaggio. Non era nei piani della Compagnia. Non era nei piani di Edheldur. Ma ormai si era passato il punto di non ritorno. Volti gravi ed espressioni tristi seguirono i cinque elfi per diverse ore. Edheldur guardava i suoi compagni e capì che quella era la sua nuova famiglia - non più Fulvio né Lorelin -. Era sua abitudine non voltarsi mai indietro dopo aver preso una decisione. Alcuni dicono che questa fosse la sua forza. Altri pensano che non voleva guardare ciò che aveva perso, né cadere nel vuoto che quei giorni crearono dentro di lui. Ormai non era più solo il leader della Compagnia, ora era il Comandante. Le sue decisioni, le sue scelte avrebbero condizionato per sempre le loro vite. [...] Fecero sosta in una radura e accesero un fuoco. Il giovane Arhathel chiamò attorno a sé i compagni. Voleva dar loro forza. Voleva che guardassero avanti e giammai indietro. Se pensate che questa sia stata una sconfitta allora il vostro posto dovrebbe essere ancora fra gli Elfi Silvani. Così iniziò a parlare il Cavaliere Nero. Ci hanno chiamato traditori. Ci hanno esiliato. Ci hanno cacciato via come bestie, solo perché non abbiamo voluto piegarci alle loro regole. Vi prometto amici miei, che troveremo un posto dove ognuno possa esprimere liberamente il meglio di sé. Che il mio spirito non possa trovare riposo fino a quel giorno. Così promise, e i suoi compagni lo acclamarono poiché speravano che Edheldur li conducesse in un luogo migliore di quello in cui erano vissuti. [...] Accadde allora che il sole andò a riposare e la luna si levò alta nel cielo. Tutti riposavano per riprendersi dalle fatiche della giornata. Eccetto Edheldur. Pensava a Lorelin e al loro triste addio. Ricordava tutte le notti in cui le aveva suonato la cetra. Si impose di non piangere - anche se avrebbe voluto - poiché ciò non si addiceva ad un comandante. Gli si avvicinò allora Ariel. Mio bel comandante cosa turba la vostra notte? Così parlo sedendogli a fianco nel buio della notte. Edhel non fece in tempo a darle risposta che la seducente elfa aveva già compreso la causa del suo malumore. Si dice che dietro ogni grande uomo ci sia sempre una donna. Quella notte il Cavaliere Nero ricevette dalla Sentinella la forza di non crollare agli eventi. Grande è la tua forza, Edhel. Disse Ariel. Al villaggio eravamo in pochi a capirlo. Gli Elfi Silvani volevano limitarti, volevano renderti debole. Ma tu ci porterai lontano, Comandante. Insieme faremo grandi cose. Mentre parlava gli pose una mano sul volto, e lui sentì che il suo tocco era delicato. Ariel si avvicinò al volto di Edhel, e lui vide quanto fosse bella al chiaro di luna. Le labbra dell'elfa incontrarono quelle del giovane Arhathel, e lui dimenticò la promessa fatta a Lorelin. Si distesero sull'erba ed ebbero tutte le gioie di due amanti. Quando il fuoco dei loro cuori e dei loro corpi trovò pace rimasero abbracciati. Il figlio di Anfindur guardò Ariel. Non sarà facile per te essere la donna del Comandante. In tutta risposta lei ridacchiò con fare malizioso. Allora Edheldur si ricordò di ciò che aveva visto dagli Elfi Oscuri e fece il nome di Orion, figlio di Freja e principe degli Elfi Oscuri. La bella elfa continuò ad accarezzarlo. Sei sciocco figlio di Anfindur. È te che amo, non lui. Giuro sulla luna che il mio cuore e il mio corpo apparterranno solo a te. Il Cavaliere Nero la guardò negli occhi e pensò che dicesse il vero. Passò la notte e quando il sole fu alto ripresero il cammino. [...] Dopo la Battaglia dell'Ultimo Drago fra i romani si era diffusa voce che noi elfi - come anche i nani - fossimo dei demoni. L'imperatore Teodosio aveva dato ordine che fosse fatta guerra ad ogni creatura fantastica. Per tal motivo Edheldur decise di dirigersi a nord verso la fredda Norvegia, poiché lì sarebbe stato fuori dall'impero romano. [...] La strada era lunga e la Compagnia avrebbe impiegato molto tempo per percorrere a piedi l'intero cammino. Così fu deciso di trovare un nave. Che il lettore non faccia come Tick il difensore, il quale pensò che avrebbero cercato un passaggio. Ben diversa era l'idea dell'audace Arhathel poiché voleva riuscire a prendere possesso di una nave con la forza, in modo da poter girare il mondo secondo necessità. [...] Vi era sulla costa una città di umani, distante non più di due ore di viaggio. Il Cavaliere Nero decise di recarsi lì alla conquista di una nave. Poiché non voleva far correre rischi all'intera Compagnia, decise di portare con sé solo Maric l'Ambasciatore. Per tale decisione Ariel - che non voleva separarsi da Edheldur ora che aveva finalmente avuto il suo amore - si accigliò molto. Edheldur le parlò con voce dolce. Prima che il sole sorga nuovamente saremo già di ritorno con una nave. Un'intera nave tutta per noi, stellina. Dopo che l'ebbe baciata convennero di ritrovarsi tutti in una baia non distante. Fissarono la riunione della Compagnia per la mezza notte e presero a fare strada. [...] Maric, che non si fidava molto di Ariel dopo ciò che aveva visto dagli Elfi Oscuri, attese che furono rimasti soli per mettere Edhel al corrente delle proprie paure. Se hai fiducia in me fratellino - così il Comandante prese l'abitudine di chiamare l'Ambasciatore - dovresti dormire sonni tranquilli, poiché il cuore di Ariel non cela inganni. Ora copriamoci con i manti poiché si scorgono le porte della città e nessuno deve sapere che siamo elfi. [...] Quel giorno v'era gran folla per la città poiché al porto era giunta una grossa nave dell'impero. Da ogni dove gli uomini accorsero alla piazza. In seguito Maric descrisse la folla di gente come due volte più numerosa di tutti gli elfi del villaggio. Sembrava giorno di gran festa poiché v'erano canti, risa e gran gioia. Al limitare della piazza i mercanti presero ad esporre le mercanzie e facevano a gara a chi attirava più curiosi. Dalla grossa nave dell'impero scesero un gran numero soldati pesantemente corazzati. Le loro armature erano bianche e - per volere dell'imperatore Teodosio - portavano una croce dorata sul petto della corazza. Fra gli umani era uso chiamarli templari poiché oltre ad essere ottimi guerrieri erano anche devoti alla chiesa del dio cristiano sopra ogni cosa. Fra di loro v'era anche l'imperatore Teodosio, ch'era noto per la sua gran fede e la ferocia con cui perseguitava i "demoni". Maric non aveva mai visto una città piena di umani e fu molto confuso, poiché si ritrovarono in mezzo alla folla. Anche Edheldur in verità non aveva visto mai una città di umani, ma dai ricordi del padre sapeva come funzionassero. Afferrò l'Ambasciatore e scelse un luogo ben rialzato in cui poter guardare cosa stava accadendo. [...] I templari fecero un gran cerchio in mezzo alla piazza. L'imperatore trascinò due prigionieri in mezzo al cerchio. Entrambi erano nani ma provenienti da due Clan ben diversi. Uno dei due era più basso di un uomo, di robusta corporatura, dai lunghi capelli castani, dalle possenti braccia e faceva gran odore di birra. La lunga barba - anch'essa castana - aveva centinaia di piccoli anelli in metallo che testimoniavano il valore di guerriero. Per tal motivo il Cavaliere Nero comprese che proveniva dal Clan dei Nani Nordici. L'altro nano era alto quanto il compagno ma di corporatura ben più esile, tale da essere quasi agile quanto un elfo. I capelli erano rossi color fiamma. Edheldur riconobbe il nano come appartenente al Clan dei Peaks, che a lungo aveva guerreggiato con gli Elfi Silvani. Entrambi i nani erano in catene e l'imperatore ne fece sfoggio come di bestie esotiche. [...] In seguito Edheldur fece imitazione del discorso che in quei giorni Teodosio tenne al suo popolo e - come era suo gusto - lo fece prendendosi gioco del potente imperatore di Roma. Popolo romano con gran gioia vi porto buone novelle. Iddio ha benedetto la nostra guerra. Il Signore ci assiste nella lotta contro i demoni. Abbiamo catturato il sovrano del Popolo Nascosto e questo è l'ultimo dei Peaks. In verità i nostri eserciti hanno trovato, assediato e uccisio ognuno dei suoi fratelli. Con grande soddisfazione e diletto vi abbiamo portato questi prigionieri. Di fronte ai vostri occhi manderemo le loro anime all'Inferno. Che possano bruciare in mezzo a Satana e Pazuzu! Così dicendo fece cenno a chi gli stava vicino. Due templari si avvicinarono ai nani e li tennero fermi. Altrettanti templari fecero brillare la spada sotto il sole, mozzando loro la testa. Il Sovrano dei Nani Nordici non si mosse né disse una parola e andò incontro alla morte come ogni guerriero dovrebbe fare. L'ultimo dei Peaks prese a strillare e a dimenarsi. Ma tutto fu vano poiché i suoi carcerieri lo tenevano ben stretto. Anche i due compagni elfi videro questa scena. Si dice che nonostante l'astio che serbava ai nani di tutti i clan, gli occhi del Cavaliere Nero si riempirono di lacrime nel vedere la crudeltà con cui l'uomo dava la caccia ad elfi e nani. La folla prese a urlare e benedire il nome di Teodosio e la festa si fece più rumorosa di prima. Fu detto che quel giorno tutti i templari presenti presero a battere le proprie armi contro lo scudo sì che il loro suono fosse udito dal dio cristiano. Tutto il popolo romano festeggiava la scomparsa dei Peaks e la caduta del sovrano dei Nani Nordici. In mezzo alla folla al Cavaliere Nero si raggelò il sangue poiché vide coi propri occhi i venti di guerra che soffiavano minacciosi sul resto del mondo. Temette per il villaggio degli Elfi Silvani poiché il popolo di Re Mildur ignorava quanto grave fosse la situazione, ma ancor più perché sapeva che l'imperatore era a conoscenza dell'esatta posizione del villaggio. E lì camuffato nel cuore dell'armata nemica, si guardò interno e si chiese cosa potessero fare soli cinque elfi per difendersi da tutto ciò. E con un sussurro pregò gli Dei nella lingua dei suoi padri".
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