racconti » Racconti brevi » Un caldo pomeriggio d'autunno
Un caldo pomeriggio d'autunno
"Neanche oggi la vedrò, ne sono certo ormai" disse uno dei marinai all'altro. "Sono giorni che non si fa vedere. Non faccio che scrutare l'orizzonte, ma di lei neanche l'ombra. Aspetto da un momento all'altro di sentire il tacchettio dei suoi passi, quel ritmo cadenzato della sua andatura fluida, della sua falcata elegante. Perché non viene, eh? Me lo dici?".
Il secondo marinaio lo guardò. I suoi occhi esprimevano pena per quel cuore infranto, solidarietà per il tormento provato dal suo amico fraterno. Si voltò nuovamente a osservare il mare.
"Forse non verrà più" si decise ad affermare. L'altro, smarrito e incredulo, lo aggredì:
"Cosa stai dicendo? Perché non dovrebbe venire più?" chiese con la voce rotta dal pianto.
"Lo sai perché. Ha finito di studiare, stava cercando lavoro. Sicuramente sarà già andata via. Cosa avrebbe dovuto fare? Rimanere qui a sperare in un miracolo? Lo senti cosa dicono tutti, no? Qui non c'è lavoro".
"Non è possibile. Lei ama la sua città, non lo farebbe mai" asserì il primo, cercando di apparire più sicuro di quanto non fosse. Il dubbio che il suo amico avesse ragione però, lo assalì fortemente. Negli ultimi tempi aveva osservato a lungo la ragazza; l'aveva sentita parlare con i suoi amici, chiedendo loro consiglio su cosa fare. L'aveva vista disperarsi perché l'ultima cosa che voleva era lasciare la sua famiglia e la sua splendida città. Lei stava bene a Taranto, lo aveva sempre detto. "Se andiamo tutti via, qui chi rimane?" affermava continuamente. Anche quando gli altri, i suoi amici, le dicevano che qui non ci sarebbe stato futuro. Lei, imperterrita, continuava a far valere le sue ragioni. "È statisticamente provato che al Sud c'è un numero di laureati superiore rispetto alle altre aree del Paese. E una volta finita l'università, sapete cosa fanno tutti questi laureati? Vanno via, vanno ad arricchire il Nord. E il meridione rimane vuoto, senza giovani pronti a investire il proprio futuro nella città natale. Vi sembra giusto?".
I due marinai continuarono a scrutarsi attorno: il loro sguardo si posò sull'infinita distesa di mare, piatto e calmo, baciato dal tenue sole autunnale. Fissarono l'andirivieni di gente che passeggiava pacatamente sul lungomare. Poco più distante il ponte girevole manifestava la sua presenza in tutta la sua originalità.
"Sì, è vero. Lei ama la sua città". Una lieve brezza sfiorò i loro corpi, scolpiti nel bronzo.
"L'abbiamo vista crescere. Ti ricordi, quando da bambina trascorreva tutte le domeniche qui, tartassando i suoi genitori di domande. "Cosa è quello?" "Perché il mare ha due nomi? Non è sempre lo stesso?" "Come mai il ponte si apre in quel modo strano?"... Una volta chiese anche di noi, ricordi? Disse: "Ma non si stancano a stare sempre così? Cosa fanno?". "Salutano le imbarcazioni" le risposero i suoi. E noi, invece, che guardavamo lei, curiosi di sapere cos'altro avrebbe chiesto".
"Già" rise l'altro. "E quando con le amiche disegnò con i gessetti delle caselle piene di numeri sul pavimento? La campana, la chiamavano. Lanciavano dei sassolini e saltavano nelle caselle, piegandosi a raccogliere la pietra, cercando disperatamente di mantenere l'equilibrio. Ti ricordi? Quante cadute".
"Sì che lo ricordo. E ricordo anche la vigilessa che si avvicinò al gruppetto e rimproverò le bambine di aver scritto per terra. Alcune si dileguarono in un attimo, altre si girarono nascondendo i gessetti, e lei... lei cominciò a piangere come una fontana, tanto che la vigilessa si sentì smarrita e cerco di rimediare addolcendo il tono, cercando di calmare quel pianto dirotto".
"Il suo primo bacio, invece, l'ha dato lì, vicino la ringhiera. Era timidissima".
"E tu, invece, eri gelosissimo" lo rimbeccò il secondo marinaio.
"Beh, lo credo bene. Avrei preferito essere lì piuttosto che rimanere agganciato a te" rispose il primo.
"Oh, faresti meglio a non lamentarti, mi devi sopportare ancora a lungo. E poi quello sfortunato sono io; sono io quello costretto ad ascoltare tutto il giorno i tuoi piagnistei".
Continuarono di questo passo a lungo, schernendosi a vicenda. Del resto l'intesa che c'era fra loro era tale che si sarebbero potuti dire qualsiasi cosa.
"E poi, negli ultimi anni" proseguì uno "veniva qui, quasi tutti i pomeriggi. La panchina credo abbia ancora il suo segno. Si sedeva lì, con i suoi libri e il suo portatile - come funzioneranno quegli aggeggi non lo capirò mai - e studiava di gran lena per prepararsi ad affrontare gli esami all'università".
Si intristirono nuovamente. Di fronte a loro il sole cominciava a calare, lasciando scie arancioni sul mare.
"Già, l'università. E ora? Ora starà scaldando altre panchine, starà imparando un nuovo dialetto, e starà incuriosendo qualche altra statua, o fontana, o monumento".
Il primo marinaio chinò il capo. Aveva sperato fino all'ultimo che lei decidesse di restare. La verità è che aveva visto fin troppi ragazzi andare via, spinti dalla voglia di allontanarsi per fare nuove esperienze, in cerca di avventure, o semplicemente spronati da quel pessimismo dilagante che ormai era parte integrante dei tarantini.
In quel mentre, passarono un uomo e una donna che cercavano di far fare l'altalena al loro bambino, il quale, non senza una buona dose di goffaggine, tentava di issarsi portando le ginocchia al petto, e stringendo nei piccoli pugni le mani dei suoi genitori.
"E lui? Cosa farà lui? Crescerà, vivrà e conoscerà ogni dettaglio di questa città per poi abbandonarla, anche lui?".
I marinai cercarono di scacciare quel pensiero. Ma non ci riuscirono. Restarono a osservare il piccoletto che saltellava sfinendo quei due poveracci, costretti ad assecondare la sua voglia di giocare.
All'improvviso, un tacchettio. I passi leggeri e agili di una ragazza si avvicinavano sempre di più.
"È lei!" gridò euforico il primo marinaio. Il suo amico si sentì sollevato. Era rimasta, aveva scelto di restare. Ne fu davvero felice. Del resto non era pronto neanche lui a lasciarla andare via, così come non era pronto a rinunciare a tutti gli altri. Avrebbe voluto che fossero rimasti tutti lì con lui, a Taranto, perché a Taranto appartenevano, e che avessero reso ricca e fiorente la loro città. Ma bando alla tristezza. Quel giorno c'era di che essere felici. Lei aveva scelto di restare, e come lei tanti altri avrebbero preso la stessa decisione. Ne era certo. Si sentiva fiducioso.
La ragazza arrivò alla solita panchina, si sedette e aprì un libro: un romanzo, un classico della letteratura inglese, sembrava. Si sistemò per bene, mentre gli ultimi raggi del sole illuminavano la strada. Si voltò verso i marinai e sorrise.
"Ciao ragazzi" esclamò strizzando l'occhio.
I marinai erano immobili. Lei vedeva solo dei volti non troppo definiti. Ma loro sorridevano. Non erano mai stati così felici.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0