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Al Mercato del Capo
A Palermo, alle otto di mattina, i "commercianti" del Mercato del Capo hanno già cominciato a scaricare le merci dalle loro motolape, i più anziani, li mastri intanto cominciano a cunzare le bancarelle; la frutta e le verdure migliori davanti, quelle più scatò dietro, pronte a finire nel sacchetto alla prima distrazione del cliente. Lo sappiamo, è un gioco, se volete una sfida ed un divertimento. Qualche volta riesco a parare il colpo, altre volte mi porto a casa una mela con la macchiolina scura. Mi conforto a pensare che somiglia a quelle macchiette scure che spuntano sul collo delle donne dopo un notte d'amore. Le bancarelle si susseguono senza soluzione di continuità le une alle altre alternando i generi e le qualità dei prodotti. Si può trovare accanto una bottega di macellaio ed una bancarella del pesce, mescolando assieme gli odori della carne, del pesce e della frutta, delle verdure, degli indumenti, del! le spezie, a volte anche quello dell'incenso che viene fuori dalle chiese. tutto si mischia, si confonde alle narici arriva un odore forte e strano, persistente, che rimane attaccato agli indumenti anche dopo che si esce da questo stretto budello che è il proseguimento di diverse strade che vanno da Porta Carini fino ad arrivare alla Via Maqueda, passando dalla Via Santo Agostino. Un fiume di merci e di uomini, a volte di mezzi che avanzano con grande difficoltà, di tanto in tanto sono presenti anche coloro che esercitano la riffa, soprattutto di voci; basse, alte, rauche, a volte calme altre volte minacciose e poi tante le lingue che si incrociano; asiatiche nord europee ed ancora dialetti di ogni parte della Sicilia, tutte vogliono partecipare, integrarsi, differenziarsi in quel vociare generale del mercato.
La mia prima fermata è al centro del mercato dove c'è il panchetto del pane. Pani di Murriali, (?!) c'è la solita cartedda piena di pane rigorosamente cotto a legna di cui non si saprà mai da quale forno viene prodotto ma è buono, costa poco e aiuta la famiglia di Andrea, giovane palermitano che continua una tradizione familiare al panchetto lunga, lui dice, di oltre cento anni. Questo mi basta a superare il fastidio che il giovane palermitano venendo appunto così da lontano non sappia che esistono gli scontrini fiscali. Mi inorgoglisce il fatto concreto che lo aiuto a prolungare un'attività familiare di sì antico blasone.
Da un po' di tempo ho iniziato un rapporto clientelare con un venditore di verdure. Un tipo piuttosto sveglio, dalla faccia si potrebbero sospettare trascorsi poco chiari. Il fratello che teneva il banco prima di lui ogni tanto fagliava per qualche mese, i suoi vicini di banco malignavano che andasse "in vacanza", finita la vacanza riprendeva il suo posto che per la verità nessuno osava mai occupare. Il fratello buono gentile non è, e per molto tempo l'ho evitato perché a dirla tutta mi faceva incacchiare quando passando davanti la sua bancarella, mi invitava a comprare qualcosa da lui. La solita storia, mi diceva un prezzo che poi non rispettava mai. Mi ha studiato per qualche tempo, evidentemente, si è fatto di me un concetto preciso e mi ha lanciato il laccio. Una mattina, passando davanti la sua bancarella, alzando la mano -la voce l'ha sempre su toni alti- mi ha apostrofato: " Professore mi sapi diri chi è l'autore dell'essere superiore?" (naturalmente tutti coloro che bazzichiamo al mercato siamo professori o dottori)... e fu allura chi mi futtiu!
Ju lu taliau in modu strammu, circau in un vidiri e svidiri di darimi la risposta, forsi puru aggianniau...- Da 'n virdunaru del Capo non mi sarei mai aspettato un colpo con un fucile a doppia canna. Lui, il figlio di una zoccola che sicuramente batteva nel Vicolo Marotta, se la godeva beato. Mi sono salvato in calcio d'angolo dicendo che io pueta sugnu e comu tali di puisia mi occupu.
Per farla breve il virdunaru mi ha detto infine il nome dell'autore.
Aristotele era prufissuri, Aristotele!
Ah, si? Aristotele era. Bravu. Mi spieghi come chi fu chi vinnennu virdura tu 'ncuntrasti ad Aristotili e la filosofia?
Picchi ju fici li scoli superiori, lu liceu, era puru bravu, poi li fimmini mi strammaru e mi persi pi strata.
Certu, a la fini ci facisti sta bella fiura.
Non saprei spiegare bene il motivo, ma da allora ogni mattina, quando passo davanti la sua bancarella, do un'occhiata veloce alla merce esposta e tiro dritto, lui immancabilmente mi chiama, sollecitandomi a comprare qualcosa. Gli brontolo qualcosa, un po' seccato poi gli rispondo che mi fermerò al ritorno. Intanto osservo i prezzi. Arrivando alla fine del mercato ho già in mente i prodotti che mi interessano ai prezzi più bassi. Compro quà e là i generi alimentari più convenienti.
Questa mattina mi sono fermato dall'ortolano filosofo per dargli il mio solito "obolo di San Vincenzo", un euro in cambio di qualche pezzo di verdura. Ripetiamo il solito gioco di furbizia, lui mi propone la mercanzia che deve dare via subito altrimenti ci resta supra la panza, io che gli chiedo il prezzo di un prodotto mentre ho già adocchiato altro. Dopo le solite scaramucce gli indico le mie preferenze scalo sul prezzo, lui ci mette sempre qualcosa d'altro, un poco di prezzemolo, della lattuga a cui sono state tolte molte foglie marce, ecc.. Fatta la mia azione (buona?) quotidiana ci lasciamo tutti e due contenti, forse anche convinti di avere preso in giro l'altro.
Oggi aveva molti cavoli cappuccio che da qualche giorno non era riuscito a vendere. Mi ha detto di prenderne uno. Non avevo mai cucinato il cavolo cappuccio e glielo dissi. Lui mi diede la ricetta che trascrivo di seguito. Affettare il cappuccio a listarelle molto fini, metterlo in un tegame aggiungendo sale, pepe, aglio tritato ed un poco di formaggio, olio quanto basta. Mettere il coperchio e lasciare stufare con la sua stessa acqua a fuoco bassissimo. Il risultato è davvero eccellente.
Matteo è il "ragazzo di bottega" del mio macellaio di fiducia che tutti chiamiamo "la prima partita", per il fatto che ad ogni ordinazione l'uomo ripete "la prima partita"... Il "ragazzo" è un marcantonio alto due metri, forse centocinquanta chili di muscoli, una faccia di quelle tipiche palermitane popolari, Matteo trasporta e sposta sui banconi quarti di bue con la stessa facilità e naturalezza che noi potremmo ostentare solo spostando pacchetti di noccioline. Per anni mi ero fatto l'idea che fosse un armalazzu senza cervello finche un giorno, appena entrato nel negozio, lui smette di maltrattare alcune bistecche che stava spianando sul tavolaccio, e a bruciapelo mi dice: -"Lu sapi, veru, chi si 'ddu curnutu di l'ammiragliu Ruggeru Lauria nun avissi traditu la Sicilia, oggi nuatri stassimu meglio?"- Per inciso, si trattava dell'episodio storico in cui Lauria abbandona la Sicilia per mettersi al servizio! di Carlo D'Angiò Re di Napoli. Debbo dire che sono rimasto alloccutu. Se avessi avuto una pistola avrei sparato alla mia dannata presunzione. Mi sono salvato dal disastro perché proprio in quei giorni stavo leggendo la Storia della Sicilia di Francesco Renda e casualità ha voluto che avevo da poco letto le pagine sutta puntu. Tra un colpo di mannaia e l'altro per il taglio di alcune trinche di capocollo di maiale, con Matteo abbiamo ragionato di storia; prima di andare via, ho attraversato quella frontiera invalicabile, che divide il macellaio dalla sua clientela di là del bancone, e l'ho abbracciato. Lui ha gradito. Da quel momento in poi ogni volta che gli chiedo delle ossa per i miei animali mi serve bene e subito. Ogni volta che li vado a trovare carico di ossa, i miei cani ringraziano sempre. Peccato che non possano capire il motivo di tanta generosità nei loro riguardi.
Rosario ha un banco in una sorta di cortile a dieci metri dal Palazzo di Giustizia di Palermo. Le sue specialità sono tutti quei prodotti orticoli o serricoli che di tanto in tanto, per cause climatiche, assumono forma e colori non graditi ai consumatori medi. Ci trovi melanzane di forme strane, peperoni e verdure a buoni prezzi. Qualche volta, ci compro le melanzane a prezzi strabilianti, quelle un poco mosce, ottime anche negli sformati e nelle parmigiane. Rosario è alto un metro e un barboncino, sgraziato, anzi direi che è parecchio brutto, passa il suo tempo ad adocchiare le sue clienti, quelle bonazze, le popolane che a sentire quei complimenti se la ridono; qualcuna si fa anche strusciare e intanto riempie la borsa. Negli ultimi anni Rosario ha avuto un paio di assistenti, una palermitana su cui il "principale" esercitava una sorta di diritto di sciavuru; la odorava delle sue parti meno nobili e così voluminose e lei se la rideva, orgogliosa perché già vecchia ancora accendeva gli entusiasmi del buon Rosario. L'ha licenziata perché, a dire dei più, oltre a farsi toccare lei non gli concedeva altro, e una bella paperotta tunisina che a quanto pare gli fregava un po' di soldi. Ogni volta, dopo ogni allontanamento noi clienti abbiamo cercato di tirare su il morale al buon Rosario che di suo si allietava con colazione a base di caciocavallo, pane di Monreale (quello vero) e ricche sorsate di vino. Qualche volta ho barattato con lui un barattolo di caponatina con sacchetti pieni di melanzane.
Vicenzu è un pescivendolo. Qualche anno fa lavorava al banco di un suo cosiddetto amico, lavorava molto ed alla fine della giornata il suo principale lo compensava con un sacchetto di pesci e qualche banconota da millelire. - "Ju travagliava e m'avia a manciari l'ossa e jddu si manciava lu brodu e la carni di crastu. Ossa, ossa, sempri ossa. A un certu puntu nun ni potti cchiù e mi misi pi cuntu meu."-
Ad un certo punto Vincenzu comprò(??) un paio di lastre di marmo che posizionò sopra un tavolinetto malandato, ottenne da chi di dovere due metri quadri di suolo nei pressi della chiesa dell'Immacolata al Capo, e cominciò a vendere in proprio il pesce. Finalmente cominciò a manciare anche lui la carni di crastu e a bere vino a tinchitè.
Il banco dello Zù Ninu è una cosa da vedere. Vende carne ovina in quel posto da quando era ragazzino, conosce tutti e tutti lo conoscono e lo rispettano. Nei giorni di festa il suo banco è addobbato come 'na sciurera, la differenza di colori delle carni esposte, appese alle crocchiere è uno spettacolo unico (magari orrido per molti ecologisti vegetariani ma tant'è: così va il mondo), negli uncini in alto della rastrelliera fanno bella mostra di se le spalle e le cosce di pecora, di lato, agnelli e capretti ancora con le pelli, appena macchiati di sangue. Più in basso i pezzi di carne delle costate e delle pettinicche, e poi coratelli e testine, i testicoli di montone, le virrine che altro non sono che le mammelle delle pecore. L'esposizione al pubblico esiste anche d'estate. Quando le mosche cominciano a dare fastidio il principale prende una sorta di scacciamosche e si da fare.
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