I primi ricordi sono quelli degli altri. Sono le foto che ti ritraggono col boccolo e il dito da succhiare, il vestitino di carnevale, le immagini dell'asilo. In quegli anni non c'era il digitale e nemmeno la macchina fotografica personale. Erano foto rare e belle perché a scattarle era un fotografo di professione. Sono i ricordi della mamma che mi raccontava quanto fossi fragile in quegli anni, per farmi mangiare era una fatica. Mio padre mi diceva che ero come un tizzone di carbone, "sicc e niri". Devo esserlo stato per davvero visto l'elenco delle malattie che mi vengono addebitate, da pargolo sino all'adolescenza. Alcune di queste le ricordo altre no, ho solo dei flash di memoria simpatici, ad esempio sul cibo. Erano anni in cui il cibo forse non scarseggiava, pasta pane e latte di sicuro, ma scarseggiava nella varietà. Ho vivo il ricordo di mamma che mi chiedeva nei giorni della malattia, se volessi la mozzarella o la fettina, l'aranciata o altre cose all'epoca goduriose. Io e mia sorella maggiore, che apparteniamo alla prima generazione di figli, quella residuale del dopoguerra, non conoscevamo le opzioni del mangiare. Quello che veniva servito a tavola era l'unica possibile e se non mangiavi erano rimproveri e a volte anche qualche bacchettata sulle mani. Mio padre su questo era molto severo, forse perché preoccupato della mia ostinazione nel non mangiare, ostinazione scomparsa con l'arrivo dell'adolescenza e mai più tornata, anche se qualche volta male non avrebbe fatto.
Un altro flash di memoria: io che corro avanti e indietro con il mio triciclo lungo il corridoio della corriera. Il triciclo è bellissimo, il mio primo mezzo di locomozione, era con la sella e il manubrio in legno. Questo ricordo lo collego al mio rientro al paese dopo essere stato miracolato da Sant'Antonio, così raccontava mamma. Ero affetto da meningite grave, a Foggia c'era una moria, il medico aveva dato poche speranze anche a me. Quella notte mia madre si svegliò e non mi trovò accanto a lei. Io ero in piedi affianco al letto e le coperte erano ancora rimboccate. Quando ho detto che era stato un giovanotto a prendermi dalla mia immobilità di malato, lei non ebbe il minimo dubbio su chi poteva essere questo giovanotto: aveva pregato e versato lacrime ogni momento della mia malattia. Avevo tre anni, io ricordo solo il triciclo, ma il ricordo di mia mamma l'ho fatto mio.
I ricordi di mia madre sono pezzi importanti del mio immaginario, sono il legame profondo e ancestrale che vivo con lei. Donna e madre questo è il segreto profondo dell'esistenza, il miracolo della vita, l'architrave su cui poggia l'intera costruzione. Ci affanniamo a rincorrere grandi miti per dare un senso al nostro essere, una spiegazione a questo mondo che ancora regge nonostante l'insipienza umana, e non vediamo che tutto esiste grazie a questo connubio potente e semplice: donna e madre. Siamo ossessionati a credere in Dio padre e ci sfugge che la Natura è madre. In nome del Padre siamo pronti a compiere i più efferati delitti, in nome della Madre ridiamo senso ed unità al mondo.
Sulla mia meningite spesso ci hanno scherzato, io mi limito a dire che forse il miracolo non è riuscito alla perfezione. La malattia qualche strascico lo ha lasciato, una specie d'instabilità nell'anima che mi ha reso irrequieto, mai pago, a volte permaloso, sempre in guerra col mondo intero. Fortunatamente mi è rimasta un briciolo d'intelligenza per coltivare un poco di sana autoironia e ridere su tanto affannarsi. Chi mi dice che senza la meningite non sarebbe stato peggio? Per grazia ricevuta tutti gli anni ho partecipato alla processione di Sant'Antonio col vestitino del Santo. Peccato che non conservo foto di quell'evento perché, oltre al vestito molto carino, venivo sottoposto tutti gli anni al taglio di capelli per avere la "chierica" come Sant'Antonio.