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La Leggenda del Cavaliere Nero - Parte III
"Tre erano le genti degli Elfi. I Bianchi, da lungo tempo ormai scomparsi a causa di un antico demone di cui tanto si è parlato in altre storie. Gli Elfi Silvani vivevano isolati nelle foreste e per tal motivo ebbero rari contatti con la giovane gente. Vi erano poi gli Elfi Oscuri, ch'erano gran temuti dall'Uomo a causa delle loro abilità. Era risaputo che un Elfo Oscuro potesse trasformarsi in un animale. Il suo sguardo poteva ammaliare per breve tempo l'ignaro interlocutore, costringendolo a seguire meccanicamente ogni ordine dell'elfo. Ma nulla di tutto ciò terrorizzava i romani quanto il morso di un Oscuro. Tramite dei canini questo era in grado di mischiare il proprio sangue a quello della vittima, rendendola suo seguace. Si diceva che durante il morso i seguaci assaporassero il potere degli Elfi Oscuri, rimanendone così ammaliati da desiderarlo sopra ogni cosa. A differenza di chi veniva ammaliato, coloro che erano morsi non erano burattini nelle mani dei loro padroni, ma fedeli compagni che facevano tutto ciò che era desiderio dell'Elfo. Ciò che rassicurava gli uomini era che ciascun Elfo poteva avere un solo seguace alla volta. [...] Era il meriggio quando l'imperatore salpò. La sua nave era seguita da altre più piccole, ma ugualmente cariche di templari. Rassicurati dalla partenza del nemico, Il Cavaliere Nero e l'Ambasciatore si recarono verso il porto della città. V'erano più di dieci imbarcazioni ormeggiate, di varie misure e dimensioni. Fra le grandi imbarcazioni romane, le chiatte dei pescatori e le barche dei mercanti v'era una nave comandata da un tale che si faceva chiamare Spark. Vantava una modesta reputazione fra i lupi di mare, ma da anni si era dato al commercio delle sete d'Oriente. Il suo aspetto non era certo dei migliori e i suoi modi ancor peggio. [...] Si presentarono a Spark chiedendo che potessero viaggiare sulla sua nave - non importava quale fosse la destinazione, ma il povero capitano non poteva saperlo -. Dopo che si ebbero accordato sul prezzo il capitano della nave diede loro la stanza migliore della nave, poiché aveva scambiato il giovane Arhathel per uno di quei ricchi signori che spesso si vedevano nelle città romane. Il lucido occhio del Cavaliere Nero in breve riuscì a valutare quanti marinai seguivano Spark. Quando furono certi che nessun orecchio potesse ascoltare le loro parole, il figlio di Anfindur e Maric si accordarono di andare a parlare al capitano dopo che la nave fosse salpata. Una volta al largo - spiegò Edheldur - nessuno potrà salire o scendere da questa nave, troveremo un modo per convincere il capitano a collaborare e potremo tornare dai nostri compagni. Sarà un lavoro pulito, fratellino. Il tono della sua voce era tranquillo, il suo cuore un po' meno. Sapeva che non era un piano perfetto, ma era il meglio che potevano fare. Poiché mancavano ancora diverse ore alla partenza, Edhel decise di scendere a fare un giro in città. Lasciò L'Ambasciatore a vigilare sulle attività di Spark e si avviò in direzione dei mercati avvolto nel suo scuro manto.[...] V'era in una piccola stradina della città la bottega d'una zingara. Aveva viaggiato molto e raccolto oggetti da ogni angolo del mondo. Edhel vi si fermò e chiese alla ragazza dei doni per ognuno dei compagni. Gli Elfi Silvani dicono che Edheldur Arhathel non aveva il cuore del padre. In verità gli Elfi Silvani dicono non aveva affatto un cuore. Sciocchezze. Il Cavaliere Nero teneva alla felicità dei suoi compagni sopra ogni cosa e per ognuno trovò il regalo più adatto. Per Maric, ch'era un mago, chiese di un libro. Accadde allora che la ragazza riconobbe che il figlio di Anfindur fosse un Elfo Oscuro e gli porse un libro di arti oscure. Il giovane Arhthel non ebbe voglia di far dono di un così terribile libro al suo amico poiché serbava ancora i ricordi delle terribili maledizioni di Amardur Lorien, figlio di Cleygan - zio di Maric -. La zingara gli fece dunque mostra d'un grosso libro alto almeno quanto la metà di un uomo. Edheldur sfogliò velocemente qualche pagina e poiché vide ch'era solo la storia del figlio d'un pescatore - nulla di pericoloso - comprò il volume. Acquistò anche il gioiello più bello per la sua Ariel e doni per Sariel e Tick. Pagò quanto gli fu chiesto e andò via con il libro ed un gran fagotto. In verità la donna lo aveva tratto in inganno poiché nel fagotto v'era solo della frutta. A lungo la ragazza era stata prigioniera degli Elfi Oscuri e con gran fatica era riuscita a fuggire. Per tal motivo la zingara non aveva in gran simpatia i figli d'elfico sangue e non perdeva occasione per vendicarsi. [...] Maric fu felice oltre ogni dire del dono che ricevette - l'unico fra quelli che Edhel aveva comprato -. Poiché l'Ambasciatore aveva uno spirito allegro, rise di cuore quando fu scoperto l'inganno della zingara. Il Cavaliere Nero invece non rise affatto. Maledetta donna, come osa farsi beffe di me in tal modo?! - disse il figlio di Anfindur, che del padre aveva anche il rinomato orgoglio - questo torto non rimarrà impunito, fratellino. V'è solo un'ora prima della partenza, quanto basta ch'io mi vendichi di quella dannata zingara. E furente di rabbia e con intenti molto meno gentili di prima prese ad avviarsi nuovamente verso la bottega dell'ingannatrice. Che fossero solo per una beffa - come accadde quel giorno - o per cose ben più gravi, le vendette del Cavaliere Nero erano sempre terribili. [...] Fu così che Edheldur si rivolse ai templari, di cui conosceva l'ostilità alla magia oscura. Disse d'aver visto la zingara in possesso di un volume di arti proibite. A quelle parole i templari che lo ascoltavano corsero alla bottega della ragazza. [...] Vi fu allora gran confusione fra le strade poiché la zingara rivelò che il giovane Arhathel era un Elfo Oscuro. È andato di là, dicevano alcuni. Quella figura avvolta nel manto nero, inveivano altri. Non perdetelo di vista, urlavano i templari. Il Cavaliere Nero, ch'era molto agile nonostante la pesante armatura, prese a correre a più non posso per le vie della città. Ed era braccato da si tanta gente che per districarsi fu costretto a trasformarsi in gatto. È quel gatto nero, dicevano taluni. Un Elfo! Un Elfo Oscuro in mezzo a noi, strillavano alcune donne. Per amor di dio uccidetelo, gemevano i passanti terrorizzati. [...] Il figlio di Anfindur tornò alla nave ma non ebbe il tempo di spiegare l'accaduto a Maric, poiché si seppe che i templari stavano setacciando una per una ogni nave alla ricerca di un Elfo Oscuro. Per gli Dei, Edhel - lo rimproverò turbato l'Ambasciatore - perché ci hai cacciato in questo guaio? Che facciamo ora? Il Cavaliere Nero sapeva che doveva trovare in fretta una soluzione. Disse a Maric di andare a chiamare il capitano della nave. I templari già bussavano alla porta della loro nave quando Spark venne a parlargli. [...] In seguito mi disse che fu costretto a fare ciò che fece. Non avrebbe mai permesso che le legioni di Roma li catturassero in tal modo. Non avrebbe mai messo in pericolo l'Ambasciatore e se stesso. Non se prima c'erano altre alternative. Il capitano venne condotto in camera come un ignaro agnello innocente viene condotto al proprio carnefice. Di un Elfo Oscuro aveva le abilità - ma non il cuore -. Affondò i canini nel collo di Spark, rendendolo suo seguace. Il capitano della nave cercò di dimenarsi e di urlare, ma il Cavaliere Nero soffocò ogni suo tentativo di districarsi. Dopo un minuto Spark ebbe un ultimo sussulto prima che la sua anima venisse indelebilmente macchiata dal potere dell'Elfo. L'uomo allora guardò Edhel con gli occhi di chi nasce una seconda volta, come se tutta la sua vita precedente fosse stata solo un sogno. Mio signore - disse il pover'uomo - i templari vi cercano? Seguitemi. In verità v'è una stanza su questa nave ch'io uso quando devo far commercio di ciò che non è gradito all'imperatore. Aprì una porta ch'era celata in una nuda parete di legno dicendo - nascondetevi in qui e i templari non vi troveranno. Così fu. I due elfi riuscirono a salvarsi dalla mano dei guerrieri del dio cristiano. [...] Quando Spark seppe che il Cavaliere Nero stava cercando una nave fu ben lieto di offrire la sua. Mio signore - disse tale era il fervore del suo cuore nei riguardi di colui che aveva per sempre cambiato la sua vita - fate di questa nave ciò che è vostro diletto poiché vi appartiene d'ora in poi. L'unica cosa che vi chiedo è che possa assistervi nei vostri viaggi, poiché non v'è desiderio più grande nel mio cuore. Spark fece scendere tutti gli altri marinai e non appena rimasero solo in tre sulla nave salparono lasciandosi per sempre alle spalle la città e tutti i suoi pericoli. La mezza notte era passata solo da qualche ora quando fecero rotta verso il punto di incontro stabilito con il resto della Compagnia del Crepuscolo. Era solo un lieve ritardo eppure Ariel era già in gran pensiero per il suo elfo. Sta tranquilla sorella, Edhel è audace ce la farà - sussurrò Sariel poco prima che Tick puntasse il dito verso l'orizzonte. La Sentinella scorse una nave e sui pontili riconobbe un guerriero dalla nera corazza guardare verso la baia. Il vento gonfiava il suo scuro manto e agitava il grigio cimiero di un elmo simile ad un demone. Tale fu la gioia di Ariel che prese a correre finché l'acqua del mare non le arrivò alla cinta. Il Cavaliere Nero era tornato e aveva davvero conquistato una nave. Agli occhi di cinque elfi poco più che vagabondi quell'imbarcazione era più sontuosa d'un castello. Gli Dei elfici li avevano protetti e si disse che i venti erano carichi di buoni auspici. Per tale motivo quella nave fu ribattezzata Estel, che nella nostra lingua significa Speranza."
"Le storie che circolano sul Cavaliere Nero sono piene di riferimenti alla nave sui cui viaggiava. Estel era il suo nome, ovvero l'elfica Speranza. Le vele erano bianche come la spuma del mare. Il legno con cui era costruita fu dipinto per farlo apparire più scuro di quanto in realtà fosse. Sulla sommità dell'albero maestro il nero vessillo di Edheldur sembrava sfidare continuamente il vento. Sul fianco della nave, proprio vicino alla punta, fece dipingere in piccoli caratteri elfici il nome Estel. Si narra che il giovane Arhathel si incise la mano con la punta di un coltello e lasciò che un po' del suo sangue si mischiasse alla tintura. Col tempo Estel divenne bella coma un perla, ma quando ne presero possesso era solo una nave come tante altre. Non era un veliero molto grande. Con le maestose navi romane non poteva certo competere come dimensioni, ma rivaleggiava coi delfini per la velocità con cui scivolava fra le onde. [...] Ogni membro della Compagnia prese una camera in cui dormire. Edheldur e Ariel scelsero di dividere una stanza in cui una grande vetrata dava sul mare. Sariel - da fratello della seducente elfa - non ne fu certo entusiasta, ma la sua voce era solo un sussurro. V'era una piccola camera - quasi uno sgabuzzino - in cui Spark teneva i registri della nave, la mappe e tutto ciò di cui un capitano può aver necessità. Per tal motivo il Cavaliere Nero ne fece il suo ufficio. Tempo dopo ebbi modo di entrare nel suo ufficio. La scena rimase marchiata nei miei ricordi poiché era in vero una stanza magnifica. La prima cosa che vidi fu una scrivania sempre ingombra di carte. Edheldur amava molto scrivere. Forse tenne anche un diario di tutto ciò che fece, ma ebbe il buon senso - purtroppo - di bruciare ogni traccia dei suoi pericolosi pensieri. Ricordo come se fosse ieri il suo calice finemente decorato poggiato sullo scrittoio, al fianco di una buona bottiglia di vino rosso. Edheldur sedeva in una grossa poltrona dietro la scrivania, ch'era rivolta verso la porta. Alle sue spalle la parete era stata sostituita da una grande vetrata, unica fonte di luce. Alcuni dicevano che dava le spalle alla vetrata poiché era un Elfo Oscuro e la luce gli dava fastidio. Altri pensano che ciò era dovuto solo al fatto che voleva vedere chiunque entrasse ed uscisse dal suo ufficio. So bene come avrebbe risposto l'audace Arhathel - Forse si, forse no, chi lo sa? -. Questa era una risposta che dava spesso a coloro con cui parlava. Il Cavaliere Nero non era la Luce, ma non era nemmeno l'Oscurità. Lui stava in mezzo. Lui era la Penombra. Lui era il Crepuscolo. Al tramonto - amava ripetere - il cielo non appartenie né al Sole né alla Luna. Ognuno in lui poteva vedere ciò che desiderava. Edheldur raramente smentiva o confermava le voci che presero a girare su di sé. Sapeva fosse cosa saggia che nessuno - in tempo di guerra - conoscesse la Verità su di lui. Nessuno, eccetto i suoi compagni. [...] Nei giorni seguenti la conquista di Estel, non era raro vedere il figlio di Anfindur mirare l'oceano dalla vetrata del suo ufficio, perdendosi fra i pensieri. Accadde allora che Sariel passasse di lì e lesse il turbamento negli occhi del Comandante. Edhel - sussurrò lo Stratega - che succede? Qualcosa non va?. Bello e dolce amico - rispose il Cavaliere Nero - scure nubi si accalcano all'orizzonte dei nostri giorni. L'imperatore Teodosio di Roma muove guerra a tutti coloro che non sono umani. Ho visto con i miei stessi occhi scorrere il sangue dei nani che a lungo odiammo. E se rischiassimo anche noi di scomparire per sempre? Anche la sua voce era divenuta un sussurro. In verità il pensiero che potesse perdere anche solo uno fra i suoi amici lo perseguitava. [...] Dopo solo un giorno di viaggio in nave, il Cavaliere Nero annunciò di voler fare ritorno nel villaggio degli Elfi Silvani, affinché fossero al corrente delle terribili notizie che aveva appreso. In seguito, quando mi narrò la sua vita, rimasi molto sorpreso di questa decisione. Edheldur era sempre stato un elfo ribelle, un ragazzo difficile e controverso. Molti dicevano - e v'era un fondamento di verità - che era più incline a distruggere piuttosto che costruire. Il giovane Arhathel si fece spazio nel mondo con tutti i mezzi che la Compagnia possedeva. Lottava ogni giorno per trovare se stesso e un posto per i suoi compagni. Stava iniziando a suonare una superba musica di ribellione e quella scelta di tornare al villaggio era una nota stridente nella sua sinfonia. Cosa lo stava spingendo ad avvertire la gente di suo padre dell'imminente pericolo? Perché voleva avvertire quegli elfi che a lungo aveva odiato? Perché si stava preoccupando della salvezza di quel villaggio in cui non aveva mai trovato posto? Alcuni dicono che le difficoltà del mondo esterno gli avessero fatto cambiare idea sulla vita al villaggio. Secondo altri la sua decisione non fu altro un modo per coprire la nostalgia della sorella. Fu detto infatti che nonostante Edheldur amasse Ariel, nel suo cuore c'era anche Lorelin. Taluni sostengono che fosse lo spirito di Anfindur a spingere il Comandante ad una si nobile azione. Qualunque fosse la verità, il Cavaliere Nero non me ne fece mai parola. [...] Fu deciso che Spark andasse ad acquistare un cavallo in una vicina città romana, poiché era l'unico a non essere un elfo. Tornò non molto tempo dopo, recando con sé un poderoso destriero dal nero manto lucido. Era una bestia dalla possente muscolatura, infaticabile e dalla grande forza. Un corsiero focoso e selvaggio, come mai ne vidi nella mia vita. Aveva un indole solitaria e burbera. Per tal motivo Edheldur lo chiamò Buio. [...] Il giovane Arhathel stimava di non intrattenersi nel villaggio più del necessario - non era certo una gita di piacere - e non permise a nessuno dei suoi compagni di seguirlo. In verità - spiegò al resto della Compagnia del Crepuscolo - la strada che porta al villaggio è irta di pericoli. Non sarebbe saggio esporre a perigli più d'una persona. Io sono il vostro Comandante, a me spetta correre i maggiori rischi. A nulla valsero i mille e un tentativi di dissuaderlo dai suoi propositi. Fratellino se incontrerai dei nemici in due sarà più facile affrontarli, sottolineò Maric l'Ambasciatore. Perché vuoi sempre lasciarmi fuori dalle cose più divertenti? Protestò Ariel la Sentinella. M-Manda me, figlio di A-Anfindur - balbettò il nervoso Tick - f-farò ritorno prima c-che il Sole t-tramonti. Lasciate che sia lui a mettersi in viaggio - sussurrò Sariel lo Stratega, ch'era acuto e colse dettagli che agli altri sfuggivano. In vero Edhel ha visto più di chiunque altro tutto ciò che i romani hanno fatto. Nessuno meglio di lui potrà replicare le parole dell'imperatore. [...] e salito in groppa al suo destriero, si avviò verso il villaggio degli Elfi Silvani. Spronò Buio a correre più veloce del vento e non si volse mai a guardare indietro. Venne il giorno e venne anche la notte, ma il Nero Cavaliere non rallentò un attimo la sua andatura. Una grossa nube di polvere si levava al suo passaggio. Per tutto il viaggio non fece che pensare. Non sapeva come lo avrebbero accolto gli Elfi Silvani. Non sapeva se gli avrebbero creduto. Non sapeva come avrebbero reagito alla notizia del pericolo. Non sapeva cosa aspettarsi da Lorelin. Ma di una cosa era certo. Il popolo di suo padre doveva essere informato dei propositi di Teodosio. Fu così che le notizie volarono sulle ali di un nero destriero. Fu così che Edheldur Arhathel fece ritorno al villaggio da cui era stato esiliato. Fu così che venne ad annunciare future e sinistre sciagure."
"Quando Edheldur Arhathel giunse in prossimità del villaggio degli Elfi Silvani era un freddo pomeriggio d'Ottobre. Il cielo era grigio come l'acciaio d'una lama. Il sole si era nascosto dietro le nubi, come se avesse timore d'origliare le nefaste notizie che il giovane Arhathel portava con sé. Non v'era un solo soffio di vento, ma la pioggia cadeva fitta ed insistente. Il figlio di Anfindur non si aspettava certo una calorosa accoglienza da parte del popolo di Re Mildur, non dopo essere stato esiliato dal villaggio. Sapeva di essere osservato anche se non vedeva null'altro che alberi accarezzati dalla pioggia attorno a sé. Nonostante ciò il Cavaliere Nero era pronto a giurare che v'era un gran numero di elfi nascosti e camuffati fra le fronde. Sentinelle attente e diligenti. Una volta anche lui ne faceva parte, ma quei tempi erano come pagine d'un libro ch'era stato gettato tra le fiamme. [...] Io ero lì in quei giorni. Anche io come tanti altri stavo nascosto fra i rami. Anche io come tutti tendevo l'arco, timoroso di ciò che poteva fare un Elfo Oscuro. Lo vidi tirare le briglie del suo destriero. Buio scivolò nel terreno fangoso ancora un po' prima che i suoi zoccoli si fermassero. Perché non uscite fuori? - disse il giovane Arhathel a coloro che non poteva vedere - non v'è alcun intento ostile in me. Sono venuto a parlarvi. Sono venuto a portarvi importanti e tristi novelle. La voce risuonò sicura di sé. Non ebbe risposta e la pioggia portò via l'eco delle sue parole. decise allora di proseguire finché non fosse giunto al villaggio. [...] Non ebbe fatto un sol passo che dalle fronde uscì Nelendil, capitano degli Elfi Silvani. Era uno fra i più autorevoli del villaggio, più anziano anche di Re Mildur. Aveva visto così tante volte gli alberi fiorire che poteva narrare persino di Caranthir Arhathel, padre di Anfindur. Il suo volto, segnato da parecchie cicatrici, era coronato da capelli rossi come il fuoco. Color Amaranto era anche la sua armatura. Aveva fama di gran guerriero poiché anch'egli aveva combattuto contro l'Ultimo Drago. Parte del braccio sinistro gli era stato strappato via dalla feroce bestia, ma i più valenti artigiani elfici avevano lavorato affinché lo scudo di Nelendil potesse essere fissato al moncone dell'arto. Ad un mio segnale - dichiarò il carminio guerriero - il tuo corpo potrebbe essere trafitto da mille e una freccia, indegno figlio di Anfindur Arhathel. Allora il Cavaliere Nero guardò gli occhi verdi di chi gli stava di fronte e vide che il suo sguardo era quello d'un nemico. È così che accogliete coloro che si premurano della vostra salvezza? Replicò Edheldur che non si lasciò intimidire dalle minacce di Nelendil. L'anziano elfo reagì con voce aspra e dura. È così che accogliamo i traditori del villaggio. Parla dunque se hai qualcosa da dire, elfo macchiato. Ma il focoso Arhathel si rifiutò di rivelare ciò che aveva appreso, poiché voleva farne parola solamente al cospetto del sovrano. Gli altri elfi guardavano attoniti Nelendil e l'ostinatezza con cui Edhel gli teneva testa. Fu detto che non v'era di fidarsi di un Elfo Oscuro. Fu detto che era rischioso accoglierlo al villaggio. Fu detto che avrebbe cercato di diffondere la sua malattia anche ad altri. Accadde allora che Nelendil diede l'ordine che gli venissero tolte le lame e la corazza, legati i polsi e bendati gli occhi. Come un prigioniero fu condotto per le vie del villaggio. Come se non avesse bisogno di occhi per guardare, Edheldur sapeva che non v'era Elfo Silvano che non era accorso per vederlo. Accadde allora che Re Mildur lo interrogasse sul suo ritorno. Quando Edheldur ebbe riconosciuta la voce del sovrano prese a narrare con grande precisione ciò che l'imperatore aveva fatto. [...] Ascolta bene le mie parole Mildur Lorien, figlio di Cleygan - ammonì il Cavaliere Nero - presto o tardi i templari arriveranno al villaggio. Daranno alla fiamme le vostre case, violenteranno le vostre donne e uccideranno i vostri bambini. Di voi non rimarrà che cibo per corvi. Questa è una minaccia che non potete fronteggiare da soli. Propongo che venga stipulata un'alleanza fra voi e la nostra Compagnia, così da poter unire le forze se ve ne fosse il caso. A tali parole molti tremarono sgomenti, alcuni iniziarono presero a inveire contro il giovane Arhathel, altri iniziarono a deriderlo. In verità - disse Re Mildur per riportare la calma - mi parli da pari figlio di Anfindur, ma ricorda che sei a capo di solo cinque elfi. Pensi davvero che il vostro aiuto possa fare la differenza se la minaccia di cui parli è così grande? V'è altro di cui dovremmo essere a conoscenza? A tali parole scese il silenzio. Tutti aspettavano la risposta di Edheldur, ma il Cavaliere Nero sembrava tentennare. Era solo al centro della sala. Il petto nudo, i polsi legati, una benda posta sugli occhi. I lunghi capelli corvini che gli ricadevano fin sulle spalle. Aveva lineamenti nobili e superbi. La sua voce rimase ferma e decisa sin da quando aveva pronunciato la prima parola. Aveva parlato di guerra e morte con un freddo distacco. Le sue parole erano come i pennelli di un artista che aveva dipinto un terribile quadro. Ma ad un tratto qualcosa sembrava frenarlo. Voglio parlare a Lorelin. La sua voce risuonava quasi diversa. Lasciate che io veda mia sorella. Vi fu un altro minuto di silenzio. La tua richiesta non sarà esaudita. Qualcuno dice che a queste parole si vide una lacrima bagnare la benda posta sopra gli occhi di Edheldur. Altri al contrario narrano che il giovane Arhathel mostrò segni di collera. Ti verrà servita la cena e passerai la notte nella Caverna in cui eravate soliti riunirvi - proseguì il sovrano - Ci prenderemo noi cura del tuo destriero. Domani appena il sole sorgerà lascerai il villaggio e farai ritorno dai tuoi compagni. Non appena ebbe finito di parlare Mildur fece un cenno col capo e alcuni elfi portarono via Edheldur. [...] Fu così che si trovò da solo in quella umida caverna che gli era molto familiare. Vide che gli avevano preparato un piccolo giaciglio e si sorprese nel vedere una bottiglia di vino accanto ad un ricco pasto. Il suo umore era più nero della sua armatura. Aveva viaggiato senza sosta per l'intero giorno. Era venuto con intenti diplomatici ed era stato condotto come un prigioniero. Lo avevano schernito senza alcuna pietà. Sei a capo di soli cinque elfi. Le parole di Mildur gli risuonavano in mente. Nei suoi ricordi offuscati dalla stanchezza e dal rancore la voce del sovrano appariva ancor più derisoria di quanto fosse stata realmente. Solo cinque elfi. Lasciate che io veda Lorelin. La tua richiesta non verrà esaudita. Venne quasi sopraffatto dai fantasmi delle sue paure. Perché volevano impedirgli di parlare con Lorelin? Dove era sua sorella? Aveva assistito anche lei al dialogo con Mildur e gli altri elfi? Era forse lei che non voleva rivolgergli parola? Si sentì improvvisamente debole. Debole e solo. Guardò l'ingresso della caverna. La pioggia seguitava a cadere nella notte buia. Voleva che il giorno arrivasse presto. Voleva scappare via da quel maledetto villaggio. Voleva tornare da coloro che gli volevano bene. Voleva tornare dai suoi amici. Fermò tutte le lacrime che premevano per uscire. Non voleva cedere. Non qui fra gli Elfi Silvani. Guardava l'ingresso della caverna come se da un momento all'altro sperasse di veder comparire Lorelin. Come se da un momento all'altro dovesse entrare Eluvien a consolarlo. Ma nessuno venne a far visita all'Elfo Oscuro. Scagliò la bottiglia di vino contro la roccia della caverna e cacciò un urlo di rabbia. Stremato e spossato si gettò sul giaciglio maledicendo il popolo di suo padre e presto fu colto dal sonno. Fu svegliato dai primi raggi di sole. Guardandosi attorno capì che qualcuno era stato lì. Ma chiunque fosse entrato si era limitato solo a lasciargli la colazione e portare via i frammenti della bottiglia rotta. [...] Non passò molto che Re Mildur si avvicinò alla caverna, recando con sé Buio. Come sta mio figlio? Gli stava parlando da padre e non da Sovrano. Maric sta bene, lo rassicurò Edhel. Io stesso vigilo ogni giorno su di lui. Mildur fece una pausa. Digli che gli voglio bene - la voce del Re tradiva preoccupazione - e che se mai vorrà tornare al villaggio, grande sarà la gioia del mio cuore nel riabbracciarlo. il Cavaliere Nero lasciò il villaggio degli Elfi Silvani di buon mattino e tutti furono ben lieti che l'elfo traditore si stesse allontanando. Cavalcò velocemente per far ritorno dai suoi amici. Perché non riusciva a smettere di pensare alle loro parole? Perché trovava così ingiusto e sbagliato il trattamento che gli avevano riservato? [...] Dopo un giorno di marcia il giovane Arhathel giunse nella baia ove era ormeggiata Estel. La Compagnia del Crepuscolo lo aspettava con ansia e preoccupazione. Tutti gli si accalcarono intorno curiosi di avere risposte. Edhel come è andata? Sussurrò Sariel. Fratellino che ti hanno detto? Lo interrogò Maric. C-Cosa hai v-visto? Lo incalzò Tick. Ma il giovane Arhathel non diede loro alcuna risposta. In verità non degnò loro di uno sguardo e corse dritto nella propria camera. Ariel fermò i compagni prima che potessero raggiungere il loro comandante. Lasciate che sia io la prima a parlare a Edheldur - disse la seducente Sentinella. Entrata nella camera, gli si avvicinò. Gli prese la testa e la appoggiò al suo seno. Allora il Cavaliere Nero prese a piangere come un bambino. Non aveva voce per parlare ed era straziato da mille singhiozzi. Aveva trattenuto a lungo le lacrime e finalmente poteva lasciar uscire l'acqua del suo cuore. Cosa ti hanno fatto, amore mio? Sussurrò l'elfa dai capelli bianchi, cullandolo mentre lo stringeva a sé. In cuor suo capì che lei doveva essere la sua forza quando Edhel non ne aveva. Sapeva quanto il suo elfo fosse temerario e coraggioso eppure in quel momento - quando nessun altro poteva vederlo - giaceva fra le sue braccia così fragile. Dopo che il giovane Arhathel l'ebbe raccontato ciò che era accaduto al villaggio, Ariel rimase a coccolarlo finché non si addormentò. Il suo cuore s'accese di collera nel vedere il suo dolore e pregò gli Dei finché non fu colta dal sonno. Forse nel buio di quella stanza qualcuno diede ascolto ai pensieri di Ariel. Forse qualcuno esaudì le sue preghiere - qualsiasi esse erano state - poiché quando il sole si levò nuovamente Edheldur Arhathel aveva ripreso nuova forza. Lo trovò sveglio a sorseggiare il suo calice vino guardando fuori dalla vetrata. Quando lui s'accorse che Ariel era sveglia le fece l'accenno di un sorriso. Buongiorno stellina - la sua sua voce era tornata decisa. I suoi occhi di ghiaccio sembravano luccicare tale era l'intensità del suo sguardo. Ariel non ebbe bisogno di fargli nessuna domanda per capire che Edheldur aveva avuto una nuova idea. Il suo volto parlava più di mille parole. Il Cavaliere Nero avrebbe stupito il mondo intero."
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