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Pulcio è un gatto con la zeta
PULCIO È UN GATTO CON LA ZETA
Pulcio è un gatto con la zeta. È bianco e nero, rimasto nella crescita un micio di piccola corporatura, esile e dal musino minuto. Un po’ strabico da un occhio, e tale piccolo handicap gli conferisce uno sguardo un po’ sognante, un po’ stupito (o stupidino?) ed anche il merito di avere sul suo libretto di salute addirittura un cognome, pure doppio: Strabichini Ronfoni, di cui il secondo è facile capire a quale delle caratteristiche gattesche si riferisca. Giunto a casa anni fa, trasportato in una scatola, salvato dai cortili sporchi e unti di un antico ospedale della Torino barocca, fu sistemato nella camera più grande e ambita dall’altro gatto di casa, già da due anni ospite della stessa dimora. Pulcio dovette stare in quarantena, proprio perché era appunto un sacco di pulci e di funghi: parassiti vegetali e animali infestavano la sua pelliccia e diventavano un pericolo per tutti gli abitanti della casa. Pericolo non scongiurato poiché tutti dovettero sottoporsi a frequenti lavaggi di Pevaril a causa di un diffuso contagio.
Così trascorse queste prime settimane un po’ isolato e col privilegio di soggiornare e intanto crescere nella stanza più elegante. Guarito e inserito trionfalmente e ufficialmente in famiglia (consapevole l’altro gatto che non sarebbe più stato l’Unico, il Solo, il Meraviglioso, ma ben deciso a non cedere tutti questi titoli nobiliari), non ci mise molto a farsi ben volere, anche appunto dal sovrano assoluto, sua Maestà Mirtillo, un bel trovatello tigrato dagli occhi verdi, di maggiori dimensioni e senz’altro più astuto o per lo meno maggiormente conscio del fatto che un gatto deve agire sempre a proprio vantaggio, contrariamente all’indole più bonacciona e sprovveduta di Pulcio.
Pulcino, affettuosamente detto (ma in questo caso il piccolo della gallina non è un riferimento), si pose fin dai primi tempi in una posizione di pseudo-subordine al gatto più anziano, più che altro un rispetto dettato dall’affetto, misto a deferenza e gelosia celata, che spesso i fratelli minori hanno verso i maggiori, anche tra gli umani. Due ciotole di pappa vicine, ma pur sempre distinte, attendono ogni giorno di placare i loro piccoli stomaci felini, nonostante ciò Pulcio si riguarda dal cedere agli istinti della fame precipitandosi a cibarsi insieme a suo fratello maggiore, ma si accuccia qualche metro più in là, in posizione “a macchinina”, in attesa che qualche rito gattesco gli consenta il pasto. Il rito o la divinità felina spesso si manifesta attraverso l’intervento salvifico di una padrona che incoraggia la presa di posizione di Pulcio sulla propria ciotola, accanto a quella del temuto ma amato compagno. A dispetto di tale tacito accordo tra i due, spesso ha avuto l’occasione di emergere un suo insospettato coraggio: è successo non poche volte che si vedeva camminare con trepidazione il piccolo Pulcio di fronte ad una porta di una stanza o di un armadio, miagolando il suo più strabiliante strazio, allungando e abbassando il collo, nel tentativo di “vedere di più e più in là” (dove e come non si sa, ma è certo che è dei gatti “la luccicanza”, il dono della veggenza e del sapere oltre). Comunque ogni qual volta si verificava questa performance era sicuro che sua Maestà Mirtillo si trovava, suo malgrado, chiuso al buio in qualche recondito luogo della casa. Magari era solo una stanza oscura, ma per un gatto un luogo dove non vuole stare è più che una prigione, un lager, una tortura. Ed è così che Pulcio si guadagna i complimenti di tutti, avendo salvato Mirtillo da sicura asfissia o crisi claustrofobica, dando la stura in questo modo alla più amabile delle sue espressioni di riconoscenza: inarcamento della schiena, splendido angolo retto tra coda e corpo, sfregamento del muso contro ogni cosa, gambe umane o dei tavoli, mobili, pavimento, tappeti ecc.
Ma Pulcio si conquista l’affetto della specie umana anche nei saluti. Se suona il campanello è lui il primo a presentarsi davanti all’ingresso, puoi stare certo che se stai arrivando e apri la porta con la chiave, davanti a te troverai un piccolo gatto bianco e nero che, non si capisce come ha fatto a percepirti e a precederti, essendo magari lui accoccolato da qualche parte lontana della casa, ma è lì a salutarti, a dirti <eccoti, finalmente! sei arrivato! che bello! sono contento e ti saluto, guarda per farti felice ti faccio anche i “rotoli” o i “biroli” che a te, Grande Dispensatore di Carezze, piacciono tanto>. I Rotoli o Biroli sono delle meravigliose danze “sul ventre” che il nostro Piccolo Salutatore effettua stando sdraiato a terra, rotolando a destra e a manca per un certo numero di volte, con la sinuosità e la perizia di una danzatrice orientale, concludendo l’esibizione con una poderosa stiracchiatina finale.
Pulcio è anche un gatto attrezzato per un suo personalissimo e, immagino, efficacissimo relax: spesso ci si può imbattere, passando per il corridoio, in uno strano essere peloso sdraiato sulla schiena, che pare essere stato colpito da rigor mortis, immobile, gli occhi spalancati e inespressivi, la parte superiore del corpo, con le zampine rannicchiate, verso una direzione mentre quella inferiore verso la parte opposta, in una sorta di virtuoso ed elegante avvitamento. Ci si è chiesti infatti, per altri suoi singolari comportamenti, se non avesse nel suo dna qualche antenato uccello, trasmessogli a causa di uno strano e preistorico evento copulatorio: così fanno effettivamente alcune specie di volatili per ingannare i predatori rapaci, si gettano sul dorso a zampe all’aria e immobili attendono il passaggio del nemico fingendo di essere un povero ed inutile animale morto. Per lui però è solo una pausa nella quotidianità del mondo ovattato e già quindi così tranquillo di un gatto.
È vietatissimo inoltre a volte esprimersi con Pulcio attraverso effusioni umane da lui in quel momento indesiderate: può succedere che, se ti avvicini per baciarlo o fargli qualche fusetta, dal tuo corpo di bipede, per altro abbastanza dedito alla cura personale, provengano i più sgradevoli odori dell’umana carnalità, e con uno sprezzante ma timido e piccolo allontanamento della testa ti fa chiaramente intendere che non sei voluto, forse puzzi, o la tua “alienità” in quel momento è troppo elevata per la sopportazione di un gatto. Se proprio non puoi fare a meno di pacioccarlo un po’ e, con decisione ti appropri del suo corpicino, Pulcio non è capace di ribellarsi come penso ogni gatto farebbe (unghie esibite, soffi, ringhi e fughe strategiche), ma tra le tue braccia diventa uno stoccafisso, dallo sguardo ebete e fintamente rassegnato, e aspetta con stoica pazienza che ti passi questa spiacevole smania affettiva.
La sua singolarità è avvertibile anche in particolari momenti in cui è preso da un improvviso scoramento e disperazione avvertendo, solo nella sua mente però, di essere stato per sempre e irrimediabilmente abbandonato in una camera o in un corridoio, pertanto con strazianti e ripetuti miagolii urla il suo scoramento <non c’è più nessuno, mi hanno lasciato solo, oddio dove sono, non c’è nemmeno Mirtillo, perché mai ve ne siete andati, aiutoooo!!!!>
La sua immaginaria solitudine perde però ogni velleità di tenerezza quando queste crisi di abbandono hanno luogo in una fascia oraria compresa tra le cinque e le sette del mattino, sabato e domenica compresi. Basta un cenno, un piccolo richiamo della mamma umana però a calmarlo, e il ritorno al porto rassicurante (il letto della padrona) è contrassegnato dalle più sonore manifestazioni di gioia <ah, ecco mi pareva che ci fosse qualcuno, allora non mi hai lasciato, nel buio della notte non sono solo, prrrr!!! ronf ronf, buonanotte morbida signorina calda>.
Ma Pulcio, come si può desumere dall’affermazione iniziale, è un gatto con la zeta. Nella popolazione felina il mantello bianco e nero è carattere somatico molto comune, forse come gli occhi neri lo sono per i siciliani, ma il nostro Pulcino ha un segno caratteristico che senz’altro lo distingue dal resto di tutti gatti con questa colorazione: una bella zeta nera passa tra la bocca e il mento. Ma nessuno, per gli ovvi motivi or ora descritti, ha avuto mai il coraggio di chiamarlo Zorro.
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