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La scoperta dell' Interlocutore.
Propongo un altro brano del mio romanzo "Una vita negata"
nel quale ho interpretato Santippe, la moglie di Socrate, in chiave femminista, assumendola a metafora di tutte le donne che, nel corso dei secoli, hanno lottato, come hanno potuto, per raggiungere la pari dignità con l'uomo.
Si avvicinava il giorno della grande festa in onore di Atena.
Santippe si meravigliava del suo entusiasmo giovanile per
questa festa. Da quando aveva cominciato a parteciparvi
come sposa, il suo interesse era diminuito fino a tramutarsi
in un disagio di cui non afferrava bene il motivo. Eppure
sarebbe dovuta andare in processione anche questa volta.
Non poteva permettersi una trasgressione tanto grave: il suo
rifiuto avrebbe senz'altro assunto il significato di empietà.
Quando arrivò il giorno si preparò malvolentieri, sotto lo
sguardo incuriosito e preoccupato di Socrate che non riusciva
a collegare la novità dell'indifferenza religiosa della moglie
con le altre sue stranezze.
Santippe ripercorse le vie di Atene, sorda al suono delle
musiche che accompagnavano la processione, psicologica-
mente assente dall'avvenimento che stava vivendo, assorta
in una molteplicità di pensieri che stentavano a strutturarsi in
ordine nella sua mente. " Ah, vergine Atena! - ricordava di
aver pregato tanti anni prima - dammi uno sposo che sappia
condividere tutto con me!" "Una preghiera davvero esaudita"
si disse ironicamente e si acorse che su tutti gli altri
sentimenti, in quel momento, prevaleva l'irrisione.
"Sono forse diventata empia?" - si chiese. Nella sua mente
tornava, martellante, una parola: vergine. "La verginità è
considerata la prima virtù di una ragazza - pensava - come
mai non è stata mai richiesta ai ragazzi? Vergine Atena. Ma
Afrodite non è vergine e, a sentire le storie degli dei, non è
stata nemmeno una sposa fedele. Eppure è venerata anche
lei e considerata immortale. E Zeus, il padre, il re degli dei,
non è un marito infedele, un amante volubile, un violatore
di fanciulle? Che strana religione è la nostra! Gli dei in cui
crediamo e che dovrebbero essere i nostri modelli sono come
noi, qualche volta peggiori di noi. Eppure li veneriamo e
facciamo loro molte offerte perché esaudiscano i nostri
desideri. Non è insensato tutto questo ed anche opportuni-
stico? Che cosa penserà Socrate di tutta questa faccenda,
lui che si chiede sempre che cosa è giusto e che cosa è
ingiusto?"
Intanto, con il suo gruppo, Santippe era arrivata alla
Acropoli. Sentiva la stanchezza nelle gambe ma non si era
accorta della strada percorsa. Sulla grande spianata
i vari gruppi stavano rapidamente disegnando l'ordine
predisposto. I sacerdoti erano ai loro posti, pronti a celebrare
i riti. A mano a mano che il disegno gerarchico dei gruppi
si precisava, nella mente di Santippe si faceva chiaro un
pensiero: la processione, i riti, i sacrifici, i sacerdoti,
servivano a legittimare l'ordine sociale che la città si era
dato, un ordine basato sull'ineguaglianza, sull'emarginazione,
sull'oppressione. Un ordine che esprimeva gli interessi di
pochi privilegiati che esercitavano sugli altri il loro dominio
e che chiamavano gli dei a testimoni della bontà dell'ordina-
mento cittadino. I privilegi dei ricchi e dei potenti erano
garantiti dai privilegi di altri potenti: i sacerdoti.
Santippe si sentì invadere da una grande tristezza. Non
c'era dunque spernza di una vita più umana, più fraterna?
E gli dei che aveva pregato da ragazza ed anche dopo, che
cosa erano? Così bizzarri e malvagi come li immaginavano
gli ateniesi, non potevano essere. Allora non esistevano?
Erano stati inventati dagli uomini per spaventare e soggio-
gare altri uomin? Come in una sorta di incubo le giungevano i
lamenti delle vittime che i sacerdoti stavano sacrificando.
Non riuscì a trattenere le lacrime; abbassò il viso per
nasconderle e lì, sull'Acropoli della sua città, in mezzo a
tanta gente, si sentì sola e angosciata come mai si era
sentita. Volse lo sguardo verso l'altare: vuoto. Gli dei
erano scomparsi. Non esistevano. Questa nuova, assoluta,
inaspettata crtezza, la sconvolgeva. Si sentiva chiusa nella
sua individualità senza possibilità di uscirne se non attraverso
le parole, fragili, incerti, ambigui legami con gli altri,
inaccessibili a lei come lei agli altri. Chi poteva penetrare nel
suo cuore e nella sua mente per cogliere la totalità del
suo essere in una comunicazione totale e piena come il sole
quando splende alto nel cielo? Chi poteva conoscerla così?
E amarla, consolarla, perdonarla, perché niente, mai,
potrebbe sfuggirgli di lei. No, non è possibile sopportare la
prigione dell'io e la necessità di uscirne è irrinunciabile.
Ma dov'è l'interlocutore che, senza la chiave delle parole.
può raggiungere l'io e liberarlo? La mente di Santippe si
perdeva. Poi un pianto silenzioso cominciò a sciogliere
l'angoscia e un chiarore crescente la invase. Il chiarore
divenne luce. "Ah, si. C'è un interlocutore. Si, si - pensava
Santippe - È la Divinità, la più alta, l'unica. Io non riesco
a pensarne altre e mi è impossibile credere che non esista
un Interlocutore. Certo, esiste e ci conosce e ci ama perché
da Lui è germogliato il nostro essere, come tutte le cose"
Continuava a piangere in silenzio, ma era un pianto di
liberazione che accompagnava lo stupore e la coscienza di
essere giunta ad un traguardo di cui non riusciva ancora
a misurare l'importanza. Sentiva, tuttavia, che la sua
storia d'infelicità l'aveva maturata, potenziando la sua mente
e la sua sensibilità. Si sentiva più forte, più decisa a lottare,
come poteva, per le cose che riteneva giuste.
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