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Storia di un gatto
Ci sono anime che compaiono nella nostra vita in modo del tutto casuale, ma riescono a lasciare un impronta importante se solo abbiamo il coraggio di accoglierle. Cercavo un gatto, in vita mia ricordo pochi momenti in cui sono vissuta senza un piccolo felino vicino, ogni volta non ero stata in grado di sceglierlo, mi capitavano davanti senza che potessi dire di no e fu cosi anche in questo caso. Mi venne portato in uno scatolone, strappato alla strada e a morte certa, quando lo osservai mi guardò spaventato e si ritrasse nel buio del suo angolo, un esserino minuscolo, denutrito, sporco, infestato da pulci, zecche e ascaridi ma con due occhi grandi e luminosi verde acqua come solo i gatti sanno avere. Questa volta avevo sperato di trovare un bel gatto nero, come una piccola pantera domestica, in ricordo di un altro micione a cui ero stata particolarmente legata, ma come potevo dire di no di fronte a questo grido di aiuto? Con delicatezza lo estrassi dalla scatola, era una piuma, aveva il ventre gonfio e vuoto, lo misi per terra e parlando in tono dolce cercai di abituarlo alla mia presenza mentre scaldavo un po' di latte, si rifugiò subito sotto una poltrona ma la fame era tanta e non ci mise molto ad uscire dal suo nascondiglio, bastò allontanarmi di qualche passo per vederlo timidamente riemergere e puntare guardingo alla ciotola invitante, intanto continuavo a parlargli quasi in un sussurro, era tutto nuovo per lui, le pareti, i mobili, gli odori e io, si vedeva che non si fidava degli umani. Frugai nel frigo in cerca di qualche bocconcino che gli misi davanti ma restando a distanza, divorò anche questi e infine si ritirò nel suo nuovo nido: la solita poltrona sotto cui si sentiva un poco più sicuro. Lo lasciai fare e intanto preparai la vaschetta con la sabbia consapevole che i cuccioli hanno dopo mangiato il bisogno impellente di fare i bisognini, a questo punto dovevo tirarlo fuori, un ulteriore boccone servi allo scopo, lo raccolsi delicatamente e lo posi nella sabbietta, non servirono ulteriori spiegazioni per tutto il resto della sua vita. Sempre parlandogli cominciai ad accarezzarlo con un dito, iniziava a fidarsi, entro sera mi aveva adottato, sali sulla poltrona e si arrampicò in braccio facendo minuscole fusa, sorridevo e intanto pensavo a come disinfestarlo da tutti quei parassiti senza spaventarlo Ci volle l'intervento del veterinario ma in pochi gg. il suo aspetto migliorò sensibilmente, adesso aveva un delizioso nasino rosa ad accompagnare gli occhi già magnifici, il manto, bianco sul ventre e zampe diventava tigrato sulla schiena fino a formargli una mascherina sugli occhi, una grossa striscia scura percorreva la sua schiena e la coda, caratteristica genetica, aveva piegata in un angolo di novanta gradi sulla punta. Diventò molto affettuoso e cercava di starmi in braccio il più a lungo possibile ragione per cui lo chiamai Coccolone, abbreviato poi in Còco.
Adottò anche mio marito, lo aspettava la sera quando tornava dal lavoro e giocava volentieri con lui, aveva una trottola di gomma, di quelle che si trovano nei pacchi di merendine, la prendeva in bocca e gliela portava aspettando che lui la lanciasse, veloce la rincorreva e la bloccava per poi ricominciare il gioco, poi, una volta stancatosi gli saliva in braccio dove si addormentava soddisfatto. Imparò anche a dar baci, si protendeva fino a darci una zuccatina sul mento o un morsetto leggero facendo le fusa. Sono poche le cose che dovetti insegnargli, sicuramente la più importante, la parola no, in tono ammonitore, capi presto che qualsiasi cosa stesse facendo doveva interromperla immediatamente questo servi a salvare dal suo desiderio di caccia diversi volatili che ho allevato e rimesso in libertà nel tempo, quando portavo in casa l'ennesimo merlo sperduto bastava un no deciso perchè non lo toccasse anche se i suoi occhi avidi lo seguivano vigili, arrivava a fare delle finte, fermandosi prima di afferrarlo, anche se, devo ammettere, non avrei scommesso molto a lasciarli da soli a lungo, si sa, per un gatto la parola no significa: "non mentre ti guardo". Ovviamente la tregua non valeva per gli uccelli che riusciva a trovare per primo, un giorno avevo portato in giardino l'ennesimo merlotto in modo che si abituasse all'esterno, stava raspando tranquillo quando vedo un'ombra felina volare nella sua direzione, all'apice della parabola che lo avrebbe portato a piombare sull'inerme pulcino gridai un "No!" deciso. Coco si fermò a un centimetro dalla preda che spaventata svolazzò in un cespuglio. Mi guardò deluso ma aveva rispettato il mio desiderio.
Si sà, gli animali finiscono per somigliare alle persone con cui vivono e Coco non fece eccezione, adottò pure lui un cucciolo abbandonato, da alcuni giorni sentivo piangere in strada un gattino, apparteneva ad un vicino di casa che lo faceva dormire fuori, cominciarono a giocare insieme e una volta chiamato saliva le scale con l'amichetto appresso che si fermava sconsolato sul pianerottolo, pochi giorni ancora ed entrava in casa come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, dividevano il cibo e dormivano sul divano come fratelli, potevo io buttarlo fuori? Diventò anche lui parte della famiglia. Col tempo i due caratteri si distinsero, scherzando dicevamo che Coco era Torinese, signorile, compito, riusciva a schivare la pioggia tornando sempre asciutto in casa dalle sue passeggiate, mangiava solo cibo di qualità e amava la tranquillità, l'altro che chiamammo Chiodino perchè molto magro era Napoletano, a suo agio con tutti, trovava i posti più insoliti per dormire, imponeva la sua presenza con perentori miagolii e il suo stomaco non era mai pieno, quando tornava dalle sue scorribande dovevo asciugarlo dal fango e medicare i graffi delle sue battaglie di quartiere.
È incredibile come passi velocemente il tempo, quindici anni di carezze, risate e amicizia ma si sà, la vita di un gatto non è eterna, cominciò ad avere sempre sete, brutto segno... le analisi confermarono il problema: i reni se ne stavano andando. Le cure ebbero effetto breve e venne infine il giorno, quello in cui si decide che è l'ora di smetterla di accanirsi, che amarlo significa porre fine alle sue sofferenze. Lo accompagnai nel suo ultimo viaggio, rimasi con lui finchè non chiuse gli occhi per sempre, credevo di non commuovermi ma invece piansi spudoratamente.
Era solo un gatto.
Era un amico.
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