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Patagonia-terra de fuoco 2008-09-parte II
Purtroppo passo una notte quasi Insonne, sicuramente colpa del cibo non fresco che ci hanno servito al lodge„ e la mattina non mi sento in forma, infatti Elena se ne accorge e mi chiede se ho bisogno di qualcosa. Faccio colazione a fatica, carico bagagli, solita vestizione e preparazione della helmet camera. Praticamente in uno zainetto che porto sulle spalle c'è la telecamera con una serie di batterie per l'obiettico che mi viene fissato sul casco da Massimo, il nostro esperto di elettronica, dalla spalla sinistra mi pende un filo con un pulsante, premendolo accendo la camera, premendolo 2 volte la spengo e devo ricordarmi di pulire l'obiettivo dalla polvere frequentemente. Si parte e si continua sulla stupenda Carretera Austral che però tra poco abbandoneremo definitivamente al bivio per il passo Roballos dove troveremo l'ennesima frontiera da passare. La strada viene segnata sulle mappe come secondaria ed infatti è piena di insidie, buche, ciottolato grande e molti ponticelli sui ruscelli non mantenuti troppo bene. Ma bisogna fare un passo indietro, dopo pochi km dalla partenza Massimo fora la gomma posteriore, incredibilmente con quel tipo di strade sarà l'unica foratura del viaggio, e tutta la carovana si ferma, dopo una mezzoretta si decide di lasciare li i "tecnici" e di aspettarli al bivio. Nell'attesa io ricordo agli altri che dovendo passare la frontiera argentina sarebbe meglio fermarsi un km prima di essa per caricarci i ricambi ed i pneumatici sulle moto per non incorrere nei problemi della volta precedente. Aspetteremo quasi un'ora in un posto meraviglioso, tra le Ande con panorami bellissimi, e finalmente quando si parte siamo terribilmente in ritardo sulla tabella di marcia. Anche per questo forse si cammina un po più del dovuto memori dei ritardi dei giorni scorsi e purtroppo davanti a me dopo qualche km vedo una moto a terra ma non capisco chi è. Purtroppo è Giuseppe che credendo di stare per passare un ponticello pericoloso ha pinzato il freno davanti ed è caduto pesantemente sulla spalla destra, lo aiuto ad alzarsi ma è molto dolorante. Non può più guidare. Subito si scaricano tutti i bagagli dal furgone, cosa Ché avremmo dovuto fare comunque, e si carica la moto sul furgone, si lega tutto sulle moto e si blocca la spalla di Giuseppe alla buona. Siamo ad un km dalla frontiera, il caso a volte, ed arrivati li mentre doganiere ci timbra i visti vari mi metto un'altra bella dose di crema sul viso ormai peperonato. Ogni tanto avvio la telecamera facendomi anche cambiare i nastri che finiscono da Sergio che ne ha partatata una buona scorta. Un'altra sorpresa che non ci voleva la troviamo alla frontiera argentina dove un solo doganiere lento e puntiglicso decide di compilare lui tutte le nostre schede di passaggio, incredibile. Alcuni ne approfittano per riposarsi altri per fare delle passeggiate, io ancora non sto bene ed ho dei sensi di nausea che mi porterò fino alla notte sucessiva. Altro problema che si profila alle nostre spalle, arrivano dei nuvoloni neri carichi di pioggia che tra non molto ci sovrasterà e si alza un vento fortissimo. I primi che ricevono visto decidono di muoversi per evitare l'acqua, tra questi ci sono anch'io che devo anche proteggere la telecamera. Scollinato il passo ci si presenta davanti il niente, distese interminabili desertiche, tutto il contrario del versante cileno. Fatti pochi km inizia la rota 40, la maledicta, un rettilineo lungo centinaia di chilometri che punta verso sud con fondo ghiaioso con cordoli alti anche mezzo metro, c'è da stare con gli occhi aperti. Passiamo vicino ad un laghetto e noto uno stormo di fenicotteri che bevono, suoniamo i clacson e li facciamo alzare in volo, sono rosa e bellissimi, subito partono le foto e le riprese. Intanto io comincio ad avere problemi alla moto, sento che non va bene, emana una puzza oleosa dallo scarico e mi sale la temperatura dell'olio. Incontriamo una coppia di australiani che ci dicono che qualche km indietro 2 brasiliani hanno avuto un incidente serio e stanno aspettando i soccorsi, capiremo più tardi di avere fortunatamente capito male. Decido di partire in testa, ho la moto non a posto e ci sono da fare ancora 200km di ruta40 con un vento che ormai ha raggiunto velocità insopportabili, vento che viene da destra, dai ghiacciai delle ande. Mi fermo un paio di volte per controllare il livello dell'olio nel motore ma é a posto. All'improvviso vedo sulla destra una moto rossa ferma senza persone, non capisco e continuo come tutti gli altri, dopo una bella faticata si arriva nel paese, se così si può chiamare, di Bajo Caracoles. Ci sono delle case, non più di dieci, un hotel-bar-ristorante dove si fermano tutti i camionisti, pulman di turisti ed auto. Tra l'altro è l'unico benzinaio nel raggio di 400 km. È li che dovremo passare la notte. Siamo tutti affamati e stanchi, non mangiamo dalla mattina, apparte qualche biscotto. Tranne me che ancora risento del malessere accusato nella notte precedente. Il posto all'interno è un via vai di persone, chi di passaggio, chi lavora li. Una cosa brutta che ricordo è l'incredibile puzzo di fumo, io che non fumo, tutti fumavano anche alcuni di noi che si lasciano un po andare. Prendo la situazione in mano, porto i miei bagagli e li poggio in una camera doppia dove aspetto Giovanni che ormai conosco bene e so come si comporta, poco dopo Elena mi chiede se gentilmente potrei cedergli la stanza perchè è l'ultima doppia e loro sono una coppia, ok, mi sbrigo e riesco ad impossessarmi dell'ultima stanza disponibile, una quadrupla senza bagno con Giovanni Marcobarry e Giuseppe infortunato. La stanza confina con la
cucina. Chiedo ospitalità ad Angelo e Vella per la doccia e gentilmente mi lasciano il loro bagno. Mi metto a lavorare sulla moto e riesco a risolvere il problema, era soltanto il filtro dell'aria sporco, meno male. Nel frattempo arriva un furgone con a bordo 3 persone e dietro caricata la moto rossa avvistata prima lungo la strada. Sono due brasiliani, fratello e sorella, dicono, ed hanno la moto in panne. Subito lo spirito solidale motociclistico si mette in moto ed i nostri "tecnici" si mettono all'opera per aggiustare la moto. Ma si è quasi fatto notte e la moto non riparte. Alessandro e Claudio decidono autonomamente, senza chiedere niente al gruppo di accoglierli come passeggeri, non che glielo avremmo negato ma quando si viaggia in gruppo sarebbe corretto decidere insieme. Si capisce subito che tutto è nato da Ale che ha un debole per la ragazza, tra l'altro molto carina. Mentre il fratello è un medico e si presta subito per aiutare Giuseppe con la sua spalla. à abbasatnza fornito e con una pastiglia di morfina riesce a fargli lenire un po il dolore. Stando in stanza con me Giuseppe gli offro anche un po di pomata anticontusioni che ho e luì l'accetta. L'attese per la cena è snervante, sono nervoso per più motivi:il mio leggero malore, l'incredibile puzzo di fumo che arriva anche nelle stanze, nella cucina hanno uno stereo col volume altissimo, ci sono delle persone che girano continuamente per i corridoi e cercano di entrare nelle stanze forse sperando di trovarle libere e la cena non arriva. Aspettiamo un'altra mezz'ora e finalmente ci si mette a tavola ma come tocco il primo boccone mi risale la nausea, decido di abbandonare la compagnia ed andarmene a letto a riposarmi sperando di stare meglio domani. Prendo le mie pastiglie per dormire, finora non l'avevo detto che soffro d'insonnia, e nonostante la musica alta e le grida dei miei amici che stanno anche festeggiando un compleanno che non ricordo di chi, forse Aime il furgonista dopo un po mi addormento tanto che non sento entrare gli altri più tardi. Ero veramente stanco. Nessuno immagina quello che ci aspetta per il giorno dopo.
Fortunatamente mi sveglio come nuovo, ho dormito bene ed ho una certa fame. Arrivo alla sala colazioni e mangio più possibile e non solo, prendo più pane e biscotti possibili insieme all'acqua che poi comprerò, oggi si tratterà di attraversare il deserto patagonico. Solito rituale dei bagagli, vestizione ecc.., esco fuori e trovo la mia moto sola nel piazzale antistante il motel, praticamente in mezzo alla strada. È successo che la sera prima gli altri hanno messo le loro moto dietro la costruzione tutte aillineate mentre la mia era tra i pulmann e furgoni vari, l'ho lasciata li e quando tutti se ne sono andati è rimasta sola, ho una foto che la ritrae fantastica appesa nella mia sala. Il gruppo si divide perche ci sarebbe da visitare un sito archeologico interessante, la cueva de las manos. Ma bisogna tornare 50m indietro. MOMO, Mara e Massimo decidono di non venire e prendono subito la ruta 40 direzione El Chaiten, circa 450km con soli 80 asfaltati ed un benzinaio al bivio di los tres lagos. La cueva si rivela interessante ma non così tanto come ce l'avevano descritta, comunque già solo il contesto dov'è situata, un canion fantastico ed un cielo azzurrisimo ne fanno un posto incantevole, oltre ad avere una guida molto carina e simpatica. Torniamo a Bajo Caracoíes per riempire i serbatoi ed abbiamo già percorso 100km, alcuni mangiano tranquillamente seduti dei panini, forse ancora non hanno capito bene cosa ci aspetta, lo scopriranno presto. Ed è già l'una. Nonostante ci sia posto sul furgone per almeno una persona visto che porta già Giuseppe infortunato, Vella e Manuela, Ale e Claudio decidono di portarsi come passeggeri Mayra e Thyago, i nuovi amici. Si parte e subito incontriamo 2 motociclisti austriaci che ci relazionano sulle condizioni proibitive della pista, uno di loro è anche caduto senza particolari conseguenze. Il vento trasversale da destra è veramente fastidioso, mi fa sbandare ogni volta che cerco di rilassare un po le braccia. Gli accordi erano di fermarsi ad ogni bivio ed aspettarsi per compattarsi ed accettarsi che tutto fosse a posto. Dopo 150km di quell'infinito rettilineo inizia un tratto in asfalto dove mi fermo insieme ad altri come da accordi, mi inginocchio dietro la moto per ripararmi dal vento e vengo immortalato da Claudio, una delle foto più significative dei viaggio, anche questa appesa in sala. Altri passano senza fermarsi perchè si erano fermati qualche km prima a fumare, tra cui Ale il capogruppo, e questa cosa mi da un po fastidio. Decido ancora una volta di farmela in solitaria, mi metto in testa e ricominciato il tratto sterrato allungo fino a non vedere più nessuno negli specchietti. Allora, per affrontare questo tipo di strade, ghiaiose con gobbe longitudinali alla strada ci sono 2 modi. Il primo è andare piano e cercare di controllare l'anteriore che se ne va per conto proprio soprattutto con quel vento, il secondo è dì prenderla con decisione, aprire il gas, stringere il manubrio e fregarsene del posteriore che scoda e sgomma a suo piacimento ogni volta che finisce nel ghiaione. Io scelgo la seconda e cercando di rimanere nei solchi lasciati dai camion e dai furgoni mi assesto sui 80- 90km/h. Prendo alcuni rischi, un paio di volte le folata di vento sono così forti che mi fanno attraversare tutta la carreggiata trasversalmente fino ad arrivare nel prato a sinistra, per riportare poi la moto a destra ci vuole una fatica immonda. Ci sono i radi cartelli con i km mancanti a tres lagos a darmi la forza di non fermarmi. Le braccia non le sento più e non posso staccare le mani dal manubrio. Mi fermo un paio di volte per mangiare dei biscotti e bere dell'acqua. Sono nel deserto assoluto, solo sterpaglie svolazzanti e le Ande all'orizzonte coi loro ghiacciai sulle cime. Praticamente procedo con la moto inclinata di almeno 20 gradi contro il vento, è durissima ma non desisto. Dopo un paio d'ore comincio a vedere i tetti di tres lagos,'cel'ho fatta"penso tra di me. Invece più mi avvicino più il fondo peggiora diventando quasi impraticabile, ci sono sassi grossi come palloni. Gli ultimi km li percorro a velocità bassissima e credendo che il benzinaio fosse nell'abitato svolto per il paese e trovo una strada ancora peggiore. Praticamente é una città morta, non c'è nessuno, tutto chiuso ed incontro solo un bambino(???)con un motorino al quale chiedo dove sia il benzinaio temendo già di sentirmi rispondere che è chiuso. Invece in uno spagnolo poco comprensibile mi indica che il benzinaio è sulla ruta 40 poco dopo il bivio. Torno indietro ed intanto è arrivato Giovanni col quale scambiamo qualche impressione e scattiamo qualche foto. Il vento è fortissimo. A turno andiamo a fare rifornimento e con mia grande sorpresa e gioia scopro che lo sterrato è finito e gli ultimi km fino ad El Chalten sono asfaltati. Passa più di un'ora e cominciamo a preoccuparci, non è possibile che abbiamo accumulato tutto quel vantaggio. Due ore, cominciamo a vedere della polvere in lontananza, arrivano. Ma la sorpresa è che sta arrivando il furgone, che dovrebbe viaggiare sempre per ultimo, con una moto davanti. è successo qualcosa, ormai è certo. Arrivano e la moto di Sergio la sta guidando Thyago con Sergio dentro il furgone. Mi spiegano che Sergío è caduto e si è fatto anche abbastanza male, Thyago ha provveduto a dargli le prime cure ed ad immobbilizzarlo ma serve un ospedale. Gli dico che dentro tres lagos non c'è niente ma vanno lo stesso, infatti tornano poco dopo con l'informazione che l'ospedale più vicino si trova a El Calafate, circa 100km a sud. Mentre siamo li a discutere sul da
farsi arrivano alla spicciolata gli altri e decidiamo di spartirci i compiti Giovanni ed io andremo ad El Chalten ad avvertire gli altri che sono davanti. Abbiamo fatto quegli 80km sempre col vento fortissimo che però tira da sinistra, costeggiando il lago Viedma e con sullo sfondo le sagome inconfondibili del Torre e del Fitz Roy. Sul furgone che andrà a El Calafate ci saranno Sergio, Giuseppe, Manuela, Vella e Thyago. La moto di Sergio viene lasciata nell'area di servizio e sarà poi recuperata. Anche Claudio decide di andare a El Calafate ma dopo 40km rompe la frizione e la moto lo molla. Mentre spinge per trovare qualche casa o estancia nella zona incredibilmente passa il furgone che aveva sbagliato strada. Caricano la seconda moto sopra e tutti salgono da passeggeri. Ale, che essendo responsabile del gruppo dovrebbe seguire ed assistere gli altri, con Mayra(e quando la lascia), insieme ad Angelo arrivano ad El Chalten un'oretta dopo di noi. Io nel frattempo trovo l'albergo e gli altri, li informo e poi vado ad un internet point a farmi vivo con qualcuno, nei precedenti 7 giorni eravamo isolati da tutto, teiefonini ed intemet. Cominciano le telefonate a chi sta all'ospedale per sapere come va ma le linee non sono delle migliori. Intanto arrivano Claudio e Vella che hanno preso un pulmann e sono arrivati a El Chalten. El Chalten è una cittadina-stazione sciistica ma soprattutto alpinística, siamo alle pendici del Cerro Torre e del Fitz Roy, due delle mete più ambite dagli scalatori di tutto il mondo. Insomma siamo arrivati nella Patagonia turistica, quella pubblicizzata nelle agenzie. Andiamo a cena in un locale tipico dove mangio un bife de chorrizo (filetto)buonissimo, contornato da patate e lattuga. Cominciano ad arrivare notizie dall'ospedale, Sergio ha sicuramente delle costole rotte ed un problema alla spalla. Ma la sorpresa arriva da Giuseppe che non sembrava grave tanto che muoveva bene anche se non perfettamente il braccio, frattura scomposta dell'omero in 4 punti. A questo punto non si sa se tornano stanotte o aspettano domani per venire a El Chalten, devono fare circa 180km, ma io confido in Aime. Anche perchè purtroppo le mie borse sono sul furgone e dentro una di esse ho le pillole per dormire, quindi o tornano o sarà una notte in bianco. Dopo cena si discute un po della giornata appena conclusa coi vari pareri e pian piano tutti andiamo a letto convinti che non torneranno. Sono le 3 quando sento arrivare il furgone, schizzo in piedi ed esco fuori, saluto gli infermi, tutti fasciati, aiuto a scaricare i bagagli di tutti, ringrazio tutti per quello che hanno fatto e mi accorgo che sono l'unico ad essere in piedi, evidentemente gli altri erano stanchissimi. Sistemiamo Sergio e Giuseppe in due stanze e scambiate le ultime considerazioni si va a riposarsi, domani ci sarà tempo per discutere e chiarire alcuni punti. Sergio viene in camera con me insieme a Giovanni e Marcobarry e qui succede quello che non t'aspetti. Aiutiamo Sergio a spogliarsi e una volta tolti gli stivali ci rendiamo conto che stanotte sarà dura. Mai sentita una puzza così, ma non ce la fa a piegarsi per lavarseli e mi offro per lavarglieli pur di non sentire quella puzza. Niente da fare, si è già infilato nel letto e qui mi parte una della battute che rimarranno nella storia del viaggio a venire"A Sergio, qua stanotte morimo tutti', ed era il nostro reale timore tanto che lasciamo la finestra del bagno aperta la notte. Io riesco a dormire pochissimo, brutta cosa dopo le fatiche passate oggi. Staremo fermi a El Chalten 2 notti, domani per me sarà il primo giorno senza prendere la moto da quando è iniziato il viaggio.
Come dicevo la notte non ho quasi dormito ma sono uno dei primi ad alzarsi. Nella sala colazione passiamo più di un'ora per chiarire gli errori del giorno prima e per decidere cosa fare oggi. Ci sono 2 moto da riprendere ed abbiamo 2 infortunati seri. Alla fine si decide che Massimo e Marco-Mures vanno a riprendere la moto di Sergio a los tres lagos, Claudio, Marcobarry e Momo insieme ad Aime col furgone vanno a riprendere la moto di Claudio. Quindi bisogna scaricare la moto di Giuseppe dal furgone per fare spazio a quella di Claudio. I rimanenti tra cui me decidono di andare a fare trekking sul Fitz Roy con partenza alle 12. Ci eravamo informati e per arrivare sulla cima e tornare ci vogliono almeno 8 ore di cammino, alcuni volevano partire senza portare cibo ma solo acqua. Gli ho fatto cambiare idea e sono andato personalmente a fare la spesa per tutti. Pane, affettati, biscotti ed acqua anche se quella la troveremo nei ruscelli che incontreremo. Si parte con il tempo un po incerto, è nuvoloso ma se dovesse piovere possiamo sempre tornare indietro. Sergio decide di restare in camera, le costole gli fanno troppo male, mentre Giuseppe stoico viene con noi almeno finchè ce la fa. I sentieri sono belli e ben segnalati ed i paesaggi fantastici, siamo circondati dal ghiaccio. Dopo 3-4 km decidiamo di pranzare e davanti ad un "miradero" sul ghiacciaio decidiamo di pranzare. Su di un masso gigante apriamo le buste e prepariamo i panini poi Giuseppe, Angelo, Mara e Vella decidono che può bastare e tornano indietro. Noi rimasti si continua, decidiamo di arrivare in cima. Il sentiero è fantastico perché alterna boschi a praterie, laghetti a ruscelli con acqua buonissima e davanti la sagoma della montagna vista chissà quante volte in televisione o sulle riviste. Camminando faccio conoscenza, finora non ce n'era stata occasione con Mayra e Thyago, due simpatici e devo dire entrambi bei ragazzi. Gli ultimi 2 km sono terribili, ci si arrampica anche con le mani e le persone che scendono cercano di incidarci dandoci anche qualche informazione errata, forse per non demoralizzarci. Arriviamo sotto il corno ghiacciato alle 18 dove troviamo un lago stupendo. Io sono completamente bagnato di sudore, mi spoglio e cerco di far asciugare i vestiti. È bellissimo ma sapere che per tornare indietro dobbiamo fare gli stessi 15km dell'andata ci fa stare un po male. Cerco anche di provare un bagno ma la temperatura dell'acqua è proibitiva e rinuncio. Sarebbe stato bello partire la mattina presto arrivare li all'una, passare qualche ora al sole, che intanto era uscito, riposarsi e poi tornare indietro, purtroppo sono le 18, 30 e calcolando che ci vogliono più di 4 ore come abbiamo testato all'andata è meglio mettersi in marcia. Il ritorno per me è un calvario, sono stanchissimo, pago le fatiche del giorno prima e la notte insonne, ed ho le piaghe ai piedi per aver sbagliato tipo di scarpe. Comunque scambiando qualche battuta con Manuela e chiacchierando con Mayra, ad un certo punto decido di cantare per far passare il tempo e la fatica, mi butto su"nel blu dipinto di blu" e la canto ad alta voce, cosa che piace molto alle ragazze. Quando già sembra stia imbrunendo si vedono i tetti di El Chalten. Mi scappa un urlo per la felicità ma sono stremato, gli ultimi 2 km fino alla camera sono un calvario, non riesco quasi a poggiare i piedi in terra. Si decide di farci una doccia ed andare a mangiare nello stesso posto del giorno prima dove gli altri hanno già prenotato per tutti. Arriviamo al ristorante alle 11. Le moto sono state recuperate, gli altri parlano dei programmi per il giorno seguente. Chi non ha camminato oggi deve scegliere tra Torre o Fitz Roy, io dovrei fare il Torre se ce la faccio. Dipende da come dormirò e da come avrò i piedi, solo a pensarci mi viene la nausea. Stasera prendo una zuppa di cordero, qualcosa di fenomenale, è buonissima. Ma sono stanchissimo ed il chiasso mi da fastidio, decido di andarmene in camera, viene anche Giovanni, ci avrei scommesso, lui è sempre stanco. Incredibilmente passo una nottataccia, forse la troppa stanchezza, comunque dormo e riposo malissimo e la mattina ho le piaghe nei talloni doloranti, decido che oggi sarà di riposo. Un aneddoto, Marcobarry dopo la notte precedente in preda ai fumi dei piedi di Sergio si è portato il materasso in un'altra camera e dorme di la, non ce l'ha fatta. Fortunatamente io dormo nella stessa stanza di Sergio ma divisi in 2 stanze separate, lui è con Giovanni. Della giornata successiva ho vaghi ricordi, mi sono alzato per fare colazione ed ho chiacchierato un po con gli altri. Poi sono andato a telefonare a casa, i telefoníni non prendevano neanche li, ho mandato qualche mail, sono tornato e non c'era più nessuno, solo Sergio. Sono stato un po con lui poi ho deciso di provare a rimettermi a letto, avevo le gambe a pezzi. Mi sono svegliato nel pomeriggio e qualcuno, quasi tutti, era già tornato e si stava discutendo dei programmi per i giorni successivi. Giuseppe doveva tornare in Italia, non poteva continuare nemmeno sul furgone. Sergio invece decide di continuare da passeggero del furgone stesso. A cena si scopre che nonostante i tentativi Mayra ha dato buca ad Ale e si siedono in due posti lontani, cosa che finora non era mai capitata. Subito c'è chi prende il posto di Aie ma qui scenderemmo nel gossip e non credo interessi a qualcuno. Ceniamo in un posto differente dal solito delle altre sere e si programma la giornata successiva che ci porterà ad El Calafate, vicino al mitico "glacial perito moreno".
Stasera scelgo pesce, trucha, trota alla griglia, buonissima. E si devono anche assegnare i posti sulle moto visto che quella di Claudio è definitivamente rotta, Claudio stesso guiderà quella di Sergio e Thyago quella di Mandu(Giuseppe). Si fa un po tardi al ristorante, domani la tappa sarà relativamente corta e quasi tutta asfaltata. Ormai abbiamo compiuto il giro di boa dei viaggio ed a me sta venedo quel filo di tristezza che ti avvolge quando sai che qualcosa di meraviglioso sta per finire. È vero che dobbiamo arrivare a Punta Arenas e soprattutto ad Ushuaia, la città più a sud del mondo, ed abbiamo ancora circa 10 giorni davanti di vacanza ma la parte più avventurosa è finita. Da oggi saranno quasi tutti parchi con strade facili e faremo il conto alla rovescia verso il ritorno. Comunque animo, di cose da vedere ce ne sono ancora molte e soprattutto non mancheranno ancora le sorprese.
Lo spostamento da El Chalten ad EI Calafate non richiede grande impegno, circa 250km asfaltati, se non quello di prendere le prime gocce d'acqua del viaggio tornando dalla visita al parco del ghiacciaio Perito Moreno. Tutti ne avranno sentito parlare o avranno visto foto o filmati su di esso, bene, come spesso capita la realtà è tutt'altro. Nel senso che il ghiacciaio è qualcosa di stupefacente, un muro di ghiaccio che nasce da un lago alto almeno 30 metri e si estende fino alla cima delle montagne retrostanti. Ma nel senso anche che un po mi ha deluso, forse proprio perchè ne avevo sentito e visto troppo mi aspettavo qualcosa di più. Si ritorna a El Calafate dove prendiamo alloggio in una specie di ostello, ma la cosa più urgente da fare è organizzare il rientro di Giuseppe in Italia, deve essere al più presto operato all'omero. C'è un aereoporto dove la mattina dopo prenderà un volo per Buenos Aires e poi proseguirà per l'Italia. La sua moto come detto la guiderà Thyago finché non partirà a sua volta poi sarà caricata sul furgone. La sera ceniamo in uno dei migliori posti di tutta la vacanza, d'altronde El Calafate è una cittadina turistica e ricca ed i posti buoni non mancano, c'è addirittura un casinò ed infatti dopo cena alcuni di noi ci vanno. Ale, Giovanni ed io torniamo alle stanze, sembra di stare alla fiera paesana nelle strade. Un particolare mi ricordo, mentre camminavamo verso l'ostello dalla finestra di un locale usciva una musica di chitarra classica bellissima. C'era il suonatore e poche altre persone ad ascoltarlo e rimasi rapito da quelle note un po malinconiche, affacciato a quella finestra ma dal di fuori non potevo non pensare alla donna che in quel momento avevo nel cuore. Ma non entrai e più tardi me ne pentii mentre mi rigiravo insonne nel letto. La mattina seguente salutammo Giuseppe all'ostello e ci mettemmo in marcia verso l'ultimo ingresso in Argentina, destino Cerro Castillo. La strada è quasi tutta asfaltata ma c'è sempre un fastidiosissimo vento che mi fa male alle braccia ed al collo. Ala frontiera abbiamo qualche problema con la moto di Giuseppe che è guidata da Thyago, ma, con i documenti medici e della polizia precedentemente fatti preparare il doganiere si convince e ci lascia passare. Ricomincia lo sterrato e ricominciano i fantastici paesaggi cileni, all'orizzonte si vede l'oceano in alcuni punti e bisogna stare molto attenti a non distrarsi. Dopo un centinaio di km arriviamo a Cerro Castillo, un paesetto con poche case ed un negozio di souvenir-bar-ristorante. Noi aloggiamo in una bella ma modesta acienda, simile ad un agriturismo nostrano e veniamo ammassati, è proprio il caso di dirlo, in piccole stanze con letto a castello che faranno storcere il naso a più di qualcuno, me compreso. Ma ci assicurano che per la notte seguente, staremo qui 2 notti si libereranno delle stanze nella casa principale e ce ne assegneranno alcune. Comunque, il servizio della cena è buono e finiamo di mangiare che ancora deve tramontare il sole. Più scendiamo verso il polo più le giornate si allungano. Dopo cena ci raduniamo per decidere cosa fare il giorno dopo, era in programma una giornata di trekking nel parco Torres del Paine, dopodichè un po alla volta ci si addormenta. La stanchezza dei giorni in moto comincia a farsi sentire. L'indomani con mia sorpresa si decide di lasciar perdere il trekking e girare il parco in moto anche perché nel pomeriggio i brasiliani ci lasceranno ed il fare troppo tardi potrebbe comportargli dei problemi. Il parco è fantastico, come gli altri, tutta una serie di laghi, boschi e fiumi con al centro le tre torri con le punte ghiacciate che danno il nome al parco. Ci si divide in gruppi tanto siamo in un parco ed abbiamo ognuno una mappa ricevuta all'ingresso e ci si da appuntamento ad un ristorante per il pranzo. Purtroppo arrivati li io ed altri aspettiamo più di 2 ore l'arrivo del resto del furgone con a bordo la moto di Marco-Mures. È successo che ha rotto il motore, quindi pilota a bordo del furgone ed altra moto in panne. Dopo il pranzo si va a visitare il lago Grey che prende il nome dal colore grigio delle sue acque. Si cammina per un paio di km e si arriva sulla riva del lago all'interno del quale camminano dei piccoli icebergs staccatisi dal ghiacciaio che li alimenta. L'acqua è gelida ma un paio di noi decidono senza pantaloni di entrare in acqua a scattare delle foto. Ci sdraiamo un po sui sassi che formano la spiaggia e giocandoci un po ne trovo uno bellissimo multicolore che decido di prendere e portarmelo a casa. Tira un vento tremendo e da solo decido di tornare dove sono le moto ed il furgone ad attenderci. Ricordo di avere una malinconia addosso quel giorno che mi portava ad isolarmi per poter pensare ma c'era quel vento... Arrivo al parcheggio e trovo Massimo, Momo e Mara, che avevano fatto un altro giro, che stanno partendo per tornare a Cerro Castillo e mi aggrego a loro. Per tornare facciamo un'altra strada, spazzata da un vento fortissimo ed anche trafficata, incredibile, infatti è molto pericoloso perchè con la polvere alzata dalle ruote e dal vento la visuale è ridottissima. Ci fermiamo ad un incrocio per capire la strada da prendere e veniamo passati dal nostro furgone con a bordo i brasiliani che stanno andando a Puerto Natales da dove prenderanno un pullman per punta Arenas. Non si fermano e quindi non possiamo neanche saluterà. probabilmente stavano facendo tardi. Per arrivare a Cerro Castillo ora la strada è tutta asfaltata tranne l'ultimo tratto. Entriamo nello spaccio dettovi prima e lo troviamo molto accogliente,
ordiniamo dei caffè per scaldarci, le temperature cominciano ad abbassarsi, ed aspettiamo gli altri. Arriva Ale con la notizia che la moto guidata da Claudio ha rotto la sospensione posteriore e la stanno caricando sui furgone, fortunatamente di sospensioni di ricambio ne abbiamo in abbondanza e la cambieremo in serata. Serata che infatti sarà passata quasi interamente sulle moto. Quella di Sergio si sistema facilmente, quella di Mures dopo vari tentativi ci si rinuncia e la si annovera tra le fuori uso, e sono 2 con quella di Claudio. Per mia sorpresa ci hanno cambiato le stanze ad alcuni ed ad Ale, Manuela e me è toccata quella che doveva essere la camera patronale di un tempo. È gigantesca ed ha anche il camino! Ceniamo come ieri molto bene e dopo cena invito tutti nella nostra stanza dopo aver acceso il camino che crea subito quell'atmosfera da incantatore di serpenti, non riesci a non guardarlo anche durante la conversazione con gli altri. Si passa una mezzoretta a scherzare e programmare per domani anche se c'è poco da programmare, dobbiamo arrivare a Punta Arenas passando per Puerto Natales. Ci addormentiamo in letti ampi e comodissimi con il crepitio delle ultime braci che ci fa da ninna nanna, stanotte si dormirà bene, lo sento.
Da oggi saranno praticamente solo trasferimenti da una città all'altra, strade solo asfaltate e ventose, la Patagonia selvaggia cilena è un ricordo che sembra lontano, ma sono comunque da fare se vogliamo arrivare alla meta che ci siamo prefissi, Ushuaia. Sul furgone ci sono da caricare 2 moto più ricambi e pneumatici quindi sono costretto a caricarmi le mie valigie in alluminio nonostante abbia il telaietto e la serratura della valigia sinistri rotti. Con del nastro americano e delle cinte a strappo fisso un po alla buona la valigia, la destra è buona, ed al centro una borsa legata. Nelle stesse condizioni sono gli altri. Claudio continua a portare la moto di Sergio passeggero del furgone e Mures la moto di Giuseppe anche se un po acciaccata. La natura ed i panorami sulla statale verso Puerto Natales sono abbastanza monotoni. Immancabile il vento, inclemente anche oggi e ci fa viaggiare sempre con un po di apprensione, soprattutto stando carichi. Ci si ferma per pranzo in un posto insignificante se non fosse che il proprietario era motociclista e ci ha raccontato dei suoi viaggi, e ci spiega anche che più avanti troveremo il monumento al vento, avete capito bene, al vento perchè qui non si ferma mai, è parte integrata della vita di tutti. L'opera è anche simpatica, un traliccio in acciaio che si attorciglia in cima simboleggiando il movimento dell'aria. Puerto Natales non offre niente, neanche ci fermiamo e continuiamo verso Punta Arenas per finire prima possibile quell'anonimo viaggio. L'ingresso nella città di frontiera è un po caotico, c'è molto traffico e la prima cosa che si avverte dopo tanti giorni passati nella natura incontaminata è lo smog che mi prende la gola. Dicevo caotico ma divertente perche per quasi un'ora abbiamo girato cercando l'albergo. Il tutto ripreso dalla mia camera sul casco. Albergo è una parola grossa, è la casa di una signora con stanze aggiunte all'esterno e giardino con sette nani e bidet a mo di vaso. Scarichiamo i bagagli in fretta e si esce a gruppi sparsi subito verso la zona franca per fare acquisti ma i grandi magazzini offrono ben poco, vabbè ci rifaremo ad Ushuaia. Ci ritroviamo tutti in centro dentro una caffetteria dopo aver acquistato qualche souvenir, il cielo è plumbeo e lo squallore della città portuale mi mettono un po di tristezza addosso. Ceniamo in un posto dove si mangiava benissimo ma i camerieri come è usanza da ugeste parti sono lentissimi e non hanno vino a sufficienza tanto per cambiare. Facciamo conoscenza della centolla, la cranseola, quei grandi granchi che qui si mangiano in tutte le salse e sono veramente ottimi. Alla fine il vino salta fuori e qualcuno ne abusa un po, io la mia solita agua sin gas. Si fa molto tardi e la mattina dovremmo alzarci presto secondo i programmi parche dovremmo arrivare ad Ushuaía facendo tutta una tirata come dice Ale. Sono circa 500km e non sarebbero neanche tanti ma dobbiamo passare l'ultima frontiera ed attraversare col traghetto lo stretto di Magellano. Qualcuno mugugna sul fatto di sorbirsi quella faticaccia quando siamo ancora al 12 gennaio e le moto dobbiamo consegnarle il 15, ed in più a circa metà strada dopo la frontiera troveremo un'altra città, Puerto Rico. Si decide di posticipare la partenza di un'ora. La mattina dopo si ricarica tutto sulle moto e si parte verso l'ultima o penultima tappa del viaggio. Dopo pochi km incontriamo due amici italiani che stanno facendo il giro al contrario ed ho occasione di vendere ad uno di loro la coppia di gomme di scorta che avevo, le mie con le quali sono partito hanno retto molto bene, molto più degli altri e posso finirci ormai tranquillamente il viaggio. Giornata grigia, si spera non piova ma il tempo va verso un miglioramento ed arriviamo allo stretto di Magellano. Quasi un'ora di attesa e finalmente attraversiamo questo mitico posto toccato in passato da personagi rimasti nella nostra storia. Le due miglia marine le copriamo in mezz'ora con la compagnia dei delfini, bianchi e neri ma piccoli di dimensioni che passano continuamente sotto la nave. Sbarchiamo e c'è subito un benzinaio dove abbiamo un piccolo imprevisto. Una coppia di italiani, poco furba, voleva rompere la nostra colonna di moto in attesa per poter fare benzina e ce lo chiede in maniera sbagliata, peggio per loro, hanno atteso più di mezz'ora. Fatto il pieno ci fermiamo a pranzo in un posto dove troviamo dell'ottima zuppa di verdure calda e ci vuole proprio oggi, le temperature si sono abbassate notevolmente. Comincia l'ultimo sterrato che ci porterà all'ultimo passo di frontiera con veemenza, io e Mures scattiamo avanti e ce lo facciamo tutto a tirare, ragazzi è l'ultimo, dobbiamo sfruttarlo. Ci divertiamo nei tornantoni e corriamo anche qualche rischio visto che scendono molti autocarri ed altrettanti ne salgono. Arrivati in cima ci fermiamo ad aspettare gli altri alla frontiera cilena. Arriva il Momo e lamenta problemi alla frizione, questa non ci voleva, un'altra moto sui furgone non c'entra davvero. I meccanici cominciano a cercare di capire e la diagnosi è che non dovrebbe essere niente di grave però può camminare solo con le marce alte. Alla frontiera cilena si passa si passa velocemente e si arriva a quella argentina. È fantastica, c'è uno striscione gigantesco biancoceleste con la scritta ''Bienvenido nella tierra del fuego". I doganieri sono molto gentili e dopo avergli spiegato il viaggio che abbiamo fatto ci regalano anche dei gadgets. Intanto il cielo è nero e gonfio e ci rincorre, come sempre, lo abbiamo alle spalle. Come previsto si è fatto tardi e dobbiamo fermarci a Puerto Rico che dista circa 50km tutti asfaltati. Momo parte subito a palla con la frizione in quelle
condizioni ed io mi butto dietro di lui. È un rettilineo interminabile ed abbiamo la pioggia che comincia a pizzicarci le spalle quindi grandi manciate di gas e velocità che in Italia sarebbero da codice. Ma arriviamo asciutti a Puerto Rico dove ormai non piove più, mentre gli altri arrivano un po bagnati. Comincia la ricerca di un posto per dormire e lo troviamo in una zona poco raccomandabile come ci dice la stessa proprietaria dell'hotel che ci fa parcheggiare tutte le moto davanti all'ingresso per la notte, non si sa mai. Personalmente da segnalare un episodio, a cena ci indirizzano in un posto sul mare, tra l'altro veramente puzzolente e di un colore bruttissimo. Siamo tanti e ci sono anche altre persone oltre a noi e la cosa strabiliante è che c'è solo una signora che deve prendere le ordinazioni, cucinare e servire!! Incredibile, dopo le lunghe attese dei giorni scorsi sono al limite, neanche ricordo cosa ho ordinato, aspetto come prevedibile più di un'ora e mezza, mangio velocemente e me ne vado via veramente scocciato. È già notte e faccio i due km a piedi verso l'hotel a passo svelto per il freddo con mille pensieri nella testa. Soprattutto penso a lei. Arrivo in albergo e mi metto a letto, neanche mi accorgo quando tornano gli altri. L'indomani ultima tappa verso Ushuaía, il tempo è ancora grigio ma non piove. Partiamo verso le nove, ci sono da fare gli ultimi 200km che scorrono tranquillamente ed arriviamo alla città più a sud del mondo nel primo pomeriggio e si decide di visitare il parco che ospita la targa del punto più a sud raggiungibile via terra. Un'altra estenuante attesa all'ingresso e non si capisce perchè. Stò per andarmene veramente scocciato quando arriva Ale coi biglietti, accendo la telecamera e facciamo quei 20 km sterrati nel parco ma comincia a piovere ed anche abbastanza bene, quindi rapide foto davanti alla tabella in legno e via di corsa verso l'albergo dove arriviamo un po bagnati e completamente sporchi di polvere fango ed olio. In particolare io, avevo dimenticato di dire che nei primi giorni ho subito la rottura dei paraoli della forcella quindi sullo sterrato mi imbrattavo di olio abbinato a polvere. Quindi arrivo in condizioni pietose, forse neanche Fangio o Nuvolari erano così sporchi al termine delle loro gare. Per le moto il viaggio è finito, fosse per me ripartirei immediatamente per fare il viaggio a ritroso. A noi ci restano quasi due giorni da passare qui in attesa dell'imbarco delle moto e del volo del 16 gennaio. Visitiamo la cittadina in lungo ed in largo che comunque non offre granchè apparte negozi e ristoranti di livello dove assaporiamo gli ultimi corderi e le ultime centolle. Il giorno dell'imbarco delle moto è piovigginoso, uguale all'imbarco dell'andata, il 3 novembre 2008, e sono protagonista dell'ultima caduta del viaggio, scendendo da un marciapiede molto alto non toccavo più con le gambe in terra e sono caduto come un salame. Se ne sono accorti in pochi e Claudio mi ha aiutato a ritirarla su. L'indomani si vola fino a Santiago del Cile dove troviamo 40°C ed un'umidità pazzeschi. Ci aspettano nel centralissimo Palace hotel, molto bello, con un drink di benvenuto manco fossimo delle star. Comunque il drink consiste nel "piso", tipica bevanda alcolica cilena e non mi resta che chiedere un succo di frutta. È ormai notte quando arriviamo in un ristorante turistico che ci rimpinza di cibo secondo me scadente, ma è l'ultimo, faccio un piccolo sforzo. La mattina seguente si gira un po per la città sotto un sole cocente aspettando l'ora del volo nella serata. La traversata è lunga come l'altra volta e stavolta più di qualcuno attinge alla mia assortita fornitura di pillole per dormire. A Madrid ci sono i saluti con Momo, Mara e Marcobarry che volano su Milano mentre tutti gli altri su Roma, toscani, liguri e palermitani compresi. A Fiumicino mi attendono mia sorella e la mia nipotina che mi corre incontro e mi salta in braccio felicissima di rivedermi. Fa freddo e piove e quando usciamo dal terminal, dopo aver salutato tutti, mi prende un nodo in gola, ho fatto qualcosa che probabilmente non rifarò nella mia vita. O perlomeno nel futuro prossimo.
CONSIDERAZIONI FINALI
Sicuramente nel racconto del viaggio ho dovuto dare la precedenza alla cronaca più che ai particolari o alle sensazioni provate piuttosto che alla valanga di sentimenti provati. Per me è stato qualcosa che veramente mi ha cambiato, in parte. Ho rivisto cose che forse non vedevo da quando ero bambino. La bontà e la gentilezza delle popolazioni patagone-cilene, quelle dei piccoli centri sperduti. La felicità pura dei bambini che al nostro passaggio impazzivano di gioia, saltavano, urlavano e si abbracciavano. L'onestà e l'umiltà di quelle popolazioni, potevamo lasciare qualsiasi cosa incustodita che nessuno avrebbe toccato niente. Ho visto però anche tanta povertà, sempre e soprattutto nei piccoli centri, che a volte passando con le nostre moto da migliaia di euro ed i soldi spesi per affrontare quel viaggio ci si sentiva quasi in colpa, da privilegiati. La Patagonia, mi avevano avvertito, ti strega, ci lasci un pezzo di cuore, ed è successo. Forse un giorno andrò a riprendermelo od a lasciarcene un altro pezzo chissà. Ed un accenno anche a tutti i componenti della spedizione, mi rimarrà per sempre nel cuore la compattezza e l'amicizia dimostrataci durante quei giorni. Purtroppo i paesaggi non è facile descriverli, come gli odori captati, i sapori gustati o il semplice ammirare il volo di un condor ad ali spiegate. Consiglio a tutti quelli che possono di visitare quei posti fantastici. In ultimo vorrei dedicare questi miei racconti alla donna che in quel periodo mi ha fatto sognare mentre vivevo un sogno.
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