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La cartolina parte seconda
Una mattina appena alzati, fatta l'alza bandiera, notai un via vai di persone, intente a installare i vetri alle finestre, con stupore compiaciuto, domandai ad un permanente cosa stesse accadendo, questi mi disse, sanno che arriverà una ispezione da parte di un generalone da Roma e corrono ai ripari.
A nostre spese, poco dopo, scoprimmo cosa voleva dire correre ai ripari, tutti siamo stati impegnati, per eseguire le pulizie della caserma (scoprii che questa era l'usanza) per far trovare tutto in ordine... ma era un fumo di paglia.
La mattina successiva, mi svegliai con un gran mal di gola e febbre, chiesi visita al caporale di giornata, mi portarono in infermeria, dove trovai un ufficiale medico, mi visitò e mi disse che, dovevo stare ricoverato per un paio di giorni vista la febbre molto alta, mentre lo diceva, parlando con il suo collaboratore disse, che fortuna così abbiamo anche un ricoverato da mostrare al generale.
Mi ricoverarono in infermeria, avevo un letto... vero, lenzuola vere e un cuscino decente, la mattina successiva, trovai una bella sorpresa, una bel vassoio con ogni ben di dio (mai vista una cosa del genere) all'ora di pranzo mi portarono un primo di pasta, spaghetti alla puttanesca, porzione da camionista, mentre stavo per affondare la forchetta in quella che a vedere era una buona pasta, entrò nell'infermeria il medico che, precedeva il comandante del battaglione e di seguito il generalone che appena mi vide disse: "vedo che l'appetito non manca..." io stavo per replicare, ma mi fu impedito dal comandante, che immaginando cosa avessi potuto dire cercò di minimizzare, mettendola sullo scherzo riguardo la quantità della porzione.
La mia permanenza in infermeria durò 4 giorni, la febbre non scendeva, per cui mi lasciarono riprendere, poi anche loro qualcosa dovevano fare no?
Mentre stavamo finendo il Car ci furono assegnati gli incarichi a me fu assegnato il 31/B. vigilatore esterno, capii successivamente cosa voleva dire, finito il car fui destinato alla formazione del 31/B a Gaeta, un altro mese per diventare caporale. Il vigilatore esterno con il grado di caporale, nel mio caso visto che ero uscito tra i migliori del battaglione come tiratore, ebbi l'incarico di vigilatore esterno tiratore scelto.
Durante il corso le materie di nostra competenza erano: codice penale militare, disciplina militare, e tutto quello che riguardavano i regolamenti militari. Il motto era: "occhio che da guardiani si può diventare guardati". Un altro aspetto del corso di formazione era la preparazione ad ogni eventuale tipo di attacco, quindi sotto l'attenta guida di due istruttori venuti apposta da Pisa iniziammo i primi movimenti da incursori, passo del leopardo etc., come saltare da altezze umanamente impossibili facendo leva sugli arti, diminuendo almeno lo sbalzo per la propria altezza, oppure usare una corda come ponte e stando carponi con un piede penzoloni a mo' di bilanciere passare da un punto all'altro, per non parlare delle discese in corda doppia, senza imbragatura, con gentile omaggio della pelle che per sfregamenti non voluti andava a cuocersi spesso e volentieri.
Finito il corso tutti aspettavamo la destinazione, che poteva essere: Peschiera del Garda oppure Gaeta stessa, io rimasi a Gaeta destinazione caserma Cialdini proprio ai piedi del carcere militare. A Gaeta oltre che il carcere militare, c'era la Sezione Carcere, dove erano i detenuti in attesa di giudizio e si trovava proprio sotto la struttura, dove avevamo fatto il corso di qualificazione. Ricordo che da quella struttura, volendo si poteva scendere fino in paese, utilizzando una scalinata interminabile, con qualche insidia, sia nei gradini, sia per la presenza delle "zoccole", (n. d. r. a Gaeta i talponi di fogna vengono chiamate zoccole).
La peculiarità del mio incarico, era che non c'erano gli scaglioni pari per cui il ricambio avveniva ogni due mesi.
Trasferiti letteralmente a mano, dal luogo di formazione alla Caserma Cialdini, la prima cosa che vidi, fu che la piccola caserma, aveva una vista meravigliosa sul mare sottostante il carcere, per giunta, specchio di mare interdetto a qualsiasi tipo di navigazione, i commilitoni meno anziani (11° 1979), ci aspettavano a braccia aperte, arrivati noi, non erano più spine, qui era tutto diverso, tutti eravamo graduati, perché per vigilare un detenuto militare ci vuole un superiore gerarchico, così era previsto e così si faceva. In quell'anno presso il carcere c'era sempre il maggiore delle SS Reder, (responsabile della strage di Marzabotto) il quale per motivi di sicurezza, non veniva mai a contatto con i detenuti comuni, lui viveva in una sorta di appartamento, proprio all'ultimo piano del carcere con le finestre che davano verso il mare aperto, con lui h24 vivevano alcuni militari secondini (vigilatori interni), i quali si alternavano con periodicità quindicinali, insomma per evitare gesti eclatanti non lo lasciavano mai da solo, in compenso a loro non mancavano mai sigarette e buoni pasti.
Fatti i convenevoli, sistemati alla bene e meglio, il giorno successivo alle 14, 00 iniziò il primo servizio di vigilanza esterna al carcere militare di Gaeta, uscimmo a piedi in doppia fila in totale eravamo 31 vigilatori, un capo posto e un comandante della guardia, l'ingresso del carcere, era dominato da una grande porta metallica con le classiche serrature.
Appena entrati un piccolo drappello rimase per il cambio ai primi tre posti di vigilanza, due all'ingresso ed uno in basso lato mare, il restante personale dopo aver percorso diversi corridoi, senza mai venire a contatto diretto con i detenuti, si trovò nei locali adibiti all'alloggiamento della muta. Terminati i passaggi di consegna con la muta smontante, iniziammo il primo turno di guardia, sapevamo che dovevamo restare per 24 ore la norma prevedeva turni da due ore di servizio e quattro di riposo salvo il piccolo drappello di tiratori scelti di cui facevo parte che, essendo di supporto nei punti cruciali si alternava con turni di due ore e mezza e riposi più prolungati.
Il battesimo del fuoco era iniziato, la sera a cena poche scelte, si mangiava, quello che mangiavano i detenuti, la maggior parte di questi erano obiettori di coscienza, qualche militare disertore ed alcuni condannati per reati militari generici. Posso dire che ho imparato a non apprezzare il tacchino, infatti, era il piatto fisso, coscio di brontosauro (per quanto erano grossi) al forno farcito di aglio all'inverosimile, non ho mai più gradito questa carne bianca.
Intanto cominciai a fraternizzare con alcuni commilitoni, non tanti, un certo Salvatore A. di Napoli, un bravo ragazzo e un certo Stefano G. di origine emiliane se non ricordo male altri nomi sono rimasti nl limbo a parte Rocco C. - ""satana"" per le sopracciglia così pronunciate che sembrava un diavolo (ma lui è stato un mito). Poi il clan dei romani gente che faceva uso di droghe di ogni genere li ho visti anche sniffare il gas delle bombolette delle ricariche degli accendini, lo sparavano nel fazzoletto e lo aspiravano... roba da matti.
In camerata eravamo in dodici in letti a castello io ero il più giovane mi assegnarono un posto in basso
Nel letto di mezzo, davanti al mio dormivano due anziani siciliani, io ero un "tonto"... La mattina, mi svegliavo presto, molto presto e nel silenzio osservavo la stanza, percepivo ogni singolo respiro e non mi spiegavo perché ogni mattina, il letto dei due siculi era avvolto da una coperta a mo' di zanzariera e non si vedeva nulla, poi pian piano ci arrivai erano due innamorati, ma educati. Non sto a fare il puritano, loro apprezzarono molto il fatto che mi facevo gli affari miei. Mi dicevano caporale Papini, sei un bravo ragazzo... grazie rispondevo..., intanto i primi giorni passavano e i superiori, scoprirono che nella vita civile avevo lavorato in un bar e che ero anche con patente civile già da 2 anni, cosa insolita si vede per loro, non per me che ero patito per la meccanica. Una mattina fui convocato in fureria dove c'era un mio pari scaglione, il quale mi disse, c'è il capitano R.. che cerca un vero barista te la senti???? Io rimasi un poco perplesso, non ero un volontario, il militare mi era stato imposto, mi domandai ma devo fare il cameriere a questi signori? E fui tentato di dire subito no, ma il collega, forse vedendomi silenzioso mi disse a rena!! ma sei matto ci pensi ancora a dire si?? eviti le guardie e tutto il resto, almeno prova e fu così che il pomeriggio presi possesso del piccolo bar della caserma.
Ad aspettarmi, c'erano gli altre tre baristi, che subito misero in risalto che ero l'ultimo... arrivato, nonché il più giovane di servizio, per cui velatamente mi fecero capire, che dovevo ascoltare i loro consigli, mi chiesero di far vedere loro cosa ero in grado di fare al che, con naturalezza controllai i bracci della macchina del caffè espresso, poi il caffe macinato per vedere come era la polvere e provai a fare un caffè, subito notai che mancava l'attrezzino per pigiare il caffe nel braccio per cui utilizzai il pomello fisso in dotazione al macinacaffè, il liquido che scendeva era di una densità non adeguata, il colore non era male l'odore idem adesso bisognava sentire il sapore, detto fatto assaggiai e dissi buono ma manca un poco di polvere per fare un buon caffè, quindi chiesi se potevo aumentare la dose, nessuno obbiettò quindi provai ad aumentare a occhio e rifeci un caffè che subito apparve più denso, per farla breve dopo tre tentativi decidemmo che avevamo trovato il giusto compromesso per ottenere un caffè decente. Verso le 16 ci fu ordinato di preparare alcuni caffè per il comandante e tutto lo staff, quindi era il battesimo per me, preparai 6 caffè in tazza, che avevo avuto l'accortezza di tenere ben calde e, appena pronti un collega, si prese l'impegno di portare a destinazione il tutto. Dopo circa venti minuti squillò il telefono, era il furiere che mi cercava e mi dissi a rena hai fatto bingo il capitano ha detto azz che caffè oggi!!!! abbiamo cambiato bar..., insomma ero promosso da quel pomeriggio, ero diventato il barista di riferimento per tutti, anche per i colleghi anziani che stavano lì da mesi. Ma la cosa durò poco, dopo un mese circa ero arrivato al limite, essere militari lì voleva dire fare il servo ai superiori, forse avevano scambiato noi militari di leva come delle colf, per cui un pomeriggio all'ennesima richiesta di portare i caffè negli uffici ed essendo solo chiamai il mio pari scaglione furiere, dicendogli guarda, che sono solo se volete i caffè bisogna che ve li venite a prendere da voi altrimenti non so come fare, a tale comunicazione il collega mi chiuse il telefono, passati cinque minuti ti vedo arrivare il maresciallo Piccinini e il tenente Ferrara (bono quello) nemmeno il tempo di pensare che entrambi iniziarono a dirmi sei un maleducato irriconoscente ecc. ecc. al che io non persi tempo, risposi: maleducato perché???, perché non voglio farvi da cameriere privato? Sono solo! non posso chiudere il bar per i vostri comodi! comunque se i caffè vi vano, adesso siete qui e ve li faccio, per il resto vi preparo il vassoio e mi fate la cortesia di provvedere voi a portarli al capitano ed ai sui ospiti. Poi appena finita la discussione, telefonai al furiere dicendo che per me quell'incarico era terminato e volevo ritornare a fare il mio vecchio servizio.
La cosa non piacque ne al furiere né al comandante, il quale prese questa mia decisione come una sorta di insubordinazione.
Da quel giorno per me cambiò tutto, tornai a fare quello per cui ero stato chiamato alle armi "il vigilatore esterno", ma con l'estrema attenzione nei miei confronti di tutta la gerarchia presente in caserma.
Spesso al termine del servizio di guardia, alle ore 14, 00 si poteva uscire in libera uscita, era un vantaggio rispetto al normale militare di leva che di solito può uscire la sera alle 19, 00, ma a me non capitava mai, trovavo sempre il mio nome nell'elenco dei comandati nei servizi interni (pulizia in cucina, camerate e via cantando) lì conobbi Rocco "Satana", lui contrariamente alla logica voleva montare sempre di guardia ma per motivi che non sto a raccontare non veniva impiegato in tali compiti, allora durante i pomeriggi trascorsi a pulire i vassoi in acciaio dove si mangiava, lo vedevo con la scopa poggiata sulla spalla a mo' di fucile che si avvicinava al maresciallo Piccinini (suo interlocutore preferito) e gridando gli diceva: "Caporale Rocco C... mi chieda le consegne del posto di guardia numero tre e senza aspettare risposta iniziava a enunciare tutte le consegne, per filo e per segno, il povero maresciallo, diventava rosso come un peperone ed iniziava a dire di tutto a Rocco, ma questi non demordeva andava avanti per la sua strada descrivendo le consegne di un'altra postazione e poi un'altra ancora.
Il povero Piccinini alla fine si ammalò e appena vedeva rocco scappava. Un giorno lo punì... la cosa poteva essere normale, solo che la punizione consisteva nel dover uscire dalla caserma alle ore 8, 00 del mattino e farvi rientro alle 23, 00, non fu mai rispettata tale punizione, Rocco dopo pochi minuti che era fuori dalla caserma iniziava a bussare nel portone urlando!!! fatemi entrare fatemi entrare voglio montare di guardia!!!!!!, io mi sono sempre chiesto se lo facesse per finta o era davvero diventato così strano.
Intanto i mesi passavano, nei pomeriggi che rimanevo in caserma, finiti i miei compiti, mi soffermavo a guardare dal muro della piazza d'armi il mare sottostante la caserma, alcune volte il mare era in tempesta, in quei momenti vedevo le onde altissime, si infrangevano sugli scogli e l'acqua si nebulizzava in mille particelle che, sospinte dal vento salivano fino ai vetri antiproiettile delle garitte del carcere, ad oltre 100 metri di altezza, uno spettacolo impressionante. Dove ero io non accadeva perché, sotto c'erano delle grotte naturali, e quindi il mare si infilava dentro, si sentivano solo i colpi che le onde davano alle rocce sottostanti, sembrava un terremoto.
Posso dire che ho ancora negli occhi quelle scene, non era da tutti poter vedere quel mare, quelle onde e sentire quel rombo, ero privilegiato avevo un posto al teatro nel palco d'onore.
A Pasqua speravo di poter andare a casa in licenza, ma visto che ero nelle grazie della gerarchia, non mi fu concesso, quel pomeriggio potei uscire e con alcuni amici andammo a Formia per fare una passeggiata, ci fermammo in un locale per poter mangiare qualcosa di decente poi, tra una chiacchiera e l'altra comprammo una bottiglia di martini bianco e in quattro e quattr'otto, ce la scolammo io e Stefano, dopo poco, prendemmo l'autobus per fare rientro, durante il percorso, vuoi il dondolio dell'autobus, vuoi che avevamo bevuto troppo, iniziò a fare affetto il martini, insomma arrivati a destinazione eravamo belli che sbronzi, ma allegri, la Pasqua passò così.
La vita di caserma scorreva lentamente, il tempo non passava mai, ma l'estate finalmente si avvicinava e tutto per me cambiò, dei servizi interni, dei maltrattamenti non mi importava nulla, non sentivo alcun peso, vedevo solo il mare, il sole, aspettavo di poter uscire per andare a Serapo, la spiaggia di Gaeta, da lì prendevamo il pattino e, da incoscienti circumnavigavamo la montagna spaccata, fino ad arrivare alle boe che delimitavano lo spazio di mare interdetto alla navigazione, poste a circa 2 miglia dal carcere. Lì sapevamo che non dovevamo addentrarci, pena essere presi a fucilate, dai nostri stessi colleghi che erano di guardia, questo lo posso dire con certezza, sapevo quali erano le consegne, eravamo come attratti da quelle boe, ripensandoci bene, lo facevo anche allora, mi dicevo siamo proprio incoscienti, potevamo tranquillamente essere sopraffatti dalla forza del mare e affogare tutti, eppure appena potevamo facevamo quel percorso, era come un sfida ma a chi?
A luglio mi senti male ebbi un attacco di appendicite, mi mandarono al Celio all'ospedale militare a Roma, per farmi visitare lì, mi fecero i prelievi di sangue e mi dissero che dovevo essere operato e anche con urgenza, non trovandomi a mio agio chiesi di poter tornare al mio reparto a Gaeta, giunto a destinazione tramite un bravo maresciallo dei carabinieri, il quale, era il responsabile della polizia militare presso il carcere, riuscii a farmi mandare a casa per un breve periodo di licenza, la prima volta che ritornavo a casa per più di due giorni era una licenza breve, l'ordinaria non vollero concedermela.
Appena a casa mi feci visitare dal mio medico, questi confermò la diagnosi dei medici militari del Celio e quindi mi fece ricoverare, presso l'ospedale civile di Tarquinia 6 agosto fui operato dopo una breve degenza mi mandarono a casa con una prognosi di 20 giorni di riposo e cure e per quello fui invitato a recarmi al Celio per la visita di controllo, lì confermarono i 20 giorni, al temine di tale convalescenza, fui rispedito a Gaeta, ma intanto eravamo a settembre, ormai ero quasi "nonno" (n. d. r. gergo conosciutissimo per chi ha fatto il militare), da noi come detto c'erano solo gli scaglioni dispari, quindi davanti, avevo solo per pochi giorni il 9° e l'11°. Il primo terminava il 15 settembre il secondo, terminava il 15 novembre poi c'eravamo noi che avremmo terminato il nostro impegno il 15 gennaio.
Per cui, anche se non ero nelle grazie dei superiori, ormai nessuno mi dava più fastidio, io ero tranquillo, perché precedentemente avevo fatto due concorsi e mentre ero a casa venni informato che li avevo vinti entrambi e, potevo scegliere dove volevo andare, uno in una forza di polizia e dovevo andare a Trieste e l'altro in altra forza di polizia e di quest'ultima, non si sapeva ancora dove eventualmente avrei dovuto fare il corso di formazione.
Avendo questa certezza il tempo non passava più, ma una sera ebbi una brutta sorpresa, venne il maresciallo Piccinini con due sergenti e mi disse, che dovevo essere messo il cella di rigore, perché ero accusato di furto di uno stereo in una autovettura.
Il furto dello stereo che era nella macchina del maresciallo Piccinini, non ebbi nemmeno il tempo di dire qualcosa, mi presero e mi sbatterono dentro la cella che si trovava nella caserma, dove avevo fatto il corso da caporale.
Appena dentro, notai che non chiusero a chiave la porta, ma la accostarono, vidi però che all'esterno rimase un commilitone di guardia armato.
Non mi rendevo conto di cosa mi stava capitando, pensavo al solito scherzo di camerata, quindi aspettavo che qualcuno dicesse via è stato uno scherzo! adesso esci! ma questa frase non la sentii, intanto passavano le ore non smettevo di pensare, stavo in silenzio, non mi lamentai del trattamento, ero tranquillo ero consapevole di non aver fatto niente.
Con il passare delle ore iniziai a preoccuparmi, mi rendevo conto che la cosa era seria, però non capivo perché avessero accusato me del furto.
Poi chi mi avesse accusato, la notte la trascorsi sveglio, la mente spaziava in mille ipotesi, a pensieri, che non portavano a nessuna conclusione.
La mattina mi portarono la colazione, provai a chiedere se la cosa doveva continuare ancora ma non ottenni nessuna risposta.
Le ore scorrevano lentamente passò così il primo, il secondo giorno, il terzo venne di slancio, al quarto giorno cominciai ad innervosirmi, non mi permettevano né di lavarmi né di cambiare gli indumenti, non potevo fare nulla, il quinto giorno non né potevo più, presi coraggio ed apri la cella, spinsi la porta con una certa violenza, mi trovai di fronte il militare di guardia, che mi disse: "è meglio che torni dentro, ufficialmente non sei arrestato ma se non confessi il furto rimarrai dentro", al che dissi ma state scherzando mi volete fare impazzire? guardate che non ci riuscirete, io non ho fatto nulla, state prendendo una grossa cantonata e sta storia non finisce così, ve lo assicuro. In cuor mio speravo che questo incubo finisse presto, i giorni passavano, ero arrivato al decimo giorno di cella, sempre vestito con gli stessi abiti, mai lavato, mi sentivo come un maiale allo stato brado, puzzavo di cella, un puzzo indescrivibile, quel giorno arrivarono i miei aguzzini Piccinini e i due sergenti e con tutta tranquillità mi dissero adesso puoi uscire, non eri tu il colpevole! Lo abbiamo beccato il responsabile, stava cercando di vendere lo stereo ad un marine americano, ci siamo sbagliati... Io li guardai, avrei voluto ucciderli, quella fu la prima cosa che mi passò per la testa, ma con mia grande sorpresa chiesi, ma chi mi aveva accusato del furto? loro candidamente risposero, il soggetto che abbiamo arrestato mentre tentava di vendere lo stereo, non ci vidi più dalla rabbia, iniziai a camminare per tornare in caserma alla cialdini, volevo lavarmi, non potevo più restare con quegli indumenti, loro mi seguirono in silenzio, non dissero nulla mi accompagnarono nel percorso fino in caserma, poi mi lasciarono fare quello che avevo chiesto di fare "lavarmi" rimasi sotto la doccia per almeno venti minuti, sentivo l'acqua scivolare sul mio corpo era un sollievo, terminata la purificazione mi asciugai mi vesti e usci fuori in piazza d'armi, la mia testa era come assente rivedevo quei dieci giorni passati in cella mi ero lavato, cambiato ma mi sentivo ancora sporco, chiesi di uscire, mi fu accordato invece di scendere in paese, presi la strada del carcere militare, volevo parlare con il maresciallo dei carabinieri che conoscevo, gli raccontai tutto quello che mi era accaduto, questi non credeva alle sue orecchie, mi disse se vuoi li denunci, ma devi avere prove di quello che mi hai raccontato, pensaci bene, devi trovarti i testimoni ripeté. Quelle parole le sentivo rimbombare nella mia testa, pensai per diversi minuti, poi dissi, va bene maresciallo non faccio nulla, ma fino a quando starò in quella caserma, non voglio più essere disturbato da quegli aguzzini, altrimenti non rispondo delle mie azioni, veda lei cosa può fare, se mi dice che qualcosa farà io mi fido, la conosco bene! lui mi guardò e mi sorrise, dicendomi, vai tranquillo renato vedrai che fino a quando starai alla Cialdini nessuno ti darà più fastidio. Da quel giorno, fino al 19 ottobre nessuno mi cercava, nessuno mi diceva fai questo fai quest'altro, ero come un fantasma ma ben visibile. Poi il 19 mattina fui convocato in fureria per notificarmi che l'indomani mi dovevo presentare presso una scuola militare. Ricordo che il capitano C. mi disse lei non è adatto alla vita militare, vedrà durerà poco, ne sono convinto, farà una brutta fine, lo guardai, non gli risposi, seppi poi che alcuni anni dopo, fu arrestato per furto militare, la mia vita dal 20 di ottobre ricominciò, ma questa è un'altra storia.
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l'autore alta marea ha riportato queste note sull'opera
Preciso che alcuni cognomi e nomi compreso il mio sono di pura fantasia.
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
1 recensioni:
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- Raramente può capitare di imbattersi in un racconto di vita come questo: al di là di quale minimo difetto, la narrazione è molto coinvolgente, l'autore ci narra la vita militare dal di dentro, anche con le sue regole irragionevoli, i personaggi singolari che si incontrano, le vicende umane che si intrecciano, e anche la sua brutale durezza. BAsti pensare all'episodio dell'ingiusta accusa di furto e di come un ragazzo vien e lasciato all'oscuro, privo dei suoi diritti.
la narrazione è molto buona, si sente che c'è molta dimestichezza con il buon italiano parlato. Spero davvero che questo racconto sia letto perchè c'è molto da imparare... bravo Alta, un vero plauso!
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