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Mala educaciòn
" Signora, ma si rende conto di che guaio ha combinato?"
La perpetua di Don Clemente, parroco del paese, sembrava sinceramente costernata: aveva appena saputo che mia madre mi aveva iscritto alle Medie inferiori come "convittore interno" al famoso Collegio dei Salesiani, trenta chilometri più a nord.
" Lo consideri pure perso, suo figlio!"
Lo sguardo interrogativo e sconcertato di mia madre la costrinsero, sbuffando, a scendere nei particolari.
" Sapesse quanti ne ho visti passare di lì e finire male!"
"Male in che senso, scusi?" chiese preoccupata mia madre.
" Guardi, i casi sono due: o suo figlio è un tontolone sempliciotto, e - alla fine degli studi - si fa prete, salesiano per giunta, e quindi passa sotto l'autorità della Congregazione, e per lei è un figlio perso..."
"Oppure?" (Devo riconoscere che il fatto che mia madre ipotizzasse almeno al 50% che suo figlio non fosse un tontolone sempliciotto mi ha sempre riempito di orgoglio).
" Oppure non è tale, e uscirà di lì accanito mangiapreti, e così sarà perso non solo per lei, ma per tutta la nostra comunità! E se non ricordo male, il ragazzino, ogni volta che Don Clemente o il viceparroco gli chiedevano "Ti piacerebbe diventare prete?" ha sempre risposto con un secco e deciso "NO!"
Detto ciò, girò le terga, ciondolando la testa e lasciando la sua interlocutrice allibita in mezzo alla strada.
Dopo un primo momento di smarrimento, però, mia madre si riprese e decise di non dare troppo peso alle isterie di quella vecchia zitella.
E poi, basta, la decisione era presa. Era anche una questione di prestigio. Lei, ormai, da quando aveva acquistato la licenza del forno nella piazza principale del paese, dopo quasi dieci anni di confino in quello squallido negozietto di alimentari dietro la stazione, sentiva di avere acquisito anche degli obblighi sociali, e i suoi figli dovevano rispecchiare a loro volta uno status di privilegio.
La figlia più grande - la più portata, probabilmente, agli studi - era stata ormai sacrificata, in quanto femmina. Dopo le elementari, invece che le Medie, disponibili solo in città, aveva frequentato (in paese, sotto controllo, non so se mi spiego) l'Avviamento professionale ed aveva ormai iniziato una carriera di commessa in una delle migliori pasticcerie del capoluogo, esperienza che un domani sarebbe anche potuta tornare utile nell'azienda famigliare.
Il ragazzo, che aveva appena terminato le elementari senza troppo brillare, così timido e introverso, in procinto di entrare nell'età più difficile, aveva bisogno di essere seguito costantemente e lei, con tutto il daffare che le dava il negozio, oltretutto con quel marito muratore che, riciclato in fornaio, stava mostrando tutti i suoi limiti, non aveva assolutamente la testa per farlo.
La soluzione del Collegio, per quanto molto costosa, era inevitabile. E poi, tutti i maggiorenti del paese avevano un figlio in Collegio, vuoi mettere?
Al ragazzino non fu chiesto un parere. Se lo si fosse fatto probabilmente avrebbe risposto con onestà : "Non so bene che cosa significhi andare in collegio, ma - nel dubbio - preferirei rimanere nell'ignoranza".
In realtà, alla fine, un parere fu chiesto, ma grossomodo con la formula "Non vorrai mica dare un grosso dispiacere ai tuoi genitori, al parroco, al sindaco, a Gesù, non approfittando della grande opportunità - a pochi concessa - di andare in collegio?" Come volete che rispondesse, nel 1961, un undicenne timido e introverso? Come Garibaldi a La Marmora: "obbedisco!"
L'inserimento non fu poi così traumatico come si potrebbe pensare, a parte farsela nei calzoni il primo giorno a causa dell'emozione (e del cambio di cucina).
Ma poi, con l'andare del tempo, il seguire un rituale ben cadenzato facilitò le cose: niente di speciale, quello che fanno tutti i ragazzini a quell'età, anche a casa.
Appena alzati, dopo aver rifatto il letto, santa messa, poi colazione (in silenzio), ricreazione, lezione, ricreazione, pranzo (in silenzio), ricreazione, studio (in rigoroso silenzio), ricreazione, cena (in silenzio), breve ricreazione, funzione religiosa serale seguita da predica, nanna. Naturalmente ho saltato tutte le preghierine prima e dopo ogni cosa. Come dite? Troppe ricreazioni? Eh beh, cosa volete farci, i salesiani ci tengono.
Durante la ricreazione si poteva giocare a ping pong, al bigliardino/calcio-balilla, o a pallone. Però il campo da calcio (il cortile) era lo stesso per tutti, e quindi vi ci si svolgeva contemporaneamente almeno una dozzina di partite: non ho mai capito come facessero, ad esempio, i portieri, a capire quali palloni parare e quali no.
Se non praticavi nessuna di queste attività ludiche, venivi redarguito. C'era però un gruppetto di tre ragazzi un po', come dire, non tanto maschili, che si ostinava a non giocare a niente e passava il tempo a passeggiare avanti e indietro parlottando a bassa voce. Costoro erano tollerati dalle autorità, ma spesso bersaglio di sberleffi e anche brutti scherzi da parte di tutti noi.
La domenica c'erano delle variazioni. Intanto si aveva il diritto alla doccia: tutti in fila avvolti in un lenzuolo da capo a piedi, si entrava a turno nel box, pochissimi minuti, non fosse mai che trovandoci nudi scoprissimo di avere un corpo. Poi, dopo la ricreazione post-colazione, invece delle lezioni c'era la seconda messa, detta solenne, alla quale potevano partecipare anche genitori e parenti vari.
Dopo la funzione, chi aveva 10 in condotta (il voto veniva attribuito ogni settimana) poteva essere prelevato dai genitori e fare quello che voleva, purché rientrasse in tempo per la funzione religiosa delle 16, 30.
Se avevi soltanto 9 potevi restare coi tuoi genitori, ma senza uscire dall'area del collegio; se avevi 8 la punizione era ripetuta per due settimane. Per prendere meno di otto dovevi averla fatta proprio grossa, in pratica era l'anticamera dell'espulsione.
La sera della festa, dopo cena, cinema! Non ricordo proprio quali film ci propinassero di solito, ma, vista la passione che poi mi prese per il buon cinema, presumo che scegliessero opere di buon livello, pur se cattolicamente corrette.
All'epoca, l'intrusione della Chiesa nella società era, per quanto possa sembrare impossibile, ancora più pesante di oggi. Tutti i film venivano classificati dal "Centro cattolico cinematografico" in diverse categorie di accettabilità morale: Per tutti / Per adulti / Per adulti maturi (?!?) / Per adulti con riserva (?!?) / Sconsigliato / Escluso. Ogni parroco aveva il dovere di segnalare, anche nel più sperduto paesino dotato di sala cinematografica se il film in programmazione era accettabile o no. I film di Totò, per esempio, erano sistematicamente condannati alla categoria "escluso", roba da bruciare all'inferno se ne vedevi anche solo uno.
Non potendo proiettare in collegio i film più "frizzanti", perché spesso contenevano scene un po' piccanti in quantità tale da renderne eccessivi i tagli censori, probabilmente ripiegavano su polpettoni molto seriosi. Una domenica, quando ero già in terza media, dopo una sfilza di film molto noiosi, arrivò nientemeno che "L'arpa birmana", un film giapponese in bianco e nero che persino il "Morandini", pur attribuendogli quattro asterischi, definisce "qua e là prolisso nella solenne lentezza del suo ritmo largo..." Figuratevi la reazione di un pubblico tra gli undici e i sedici anni!
Rumoreggiammo per tutto il tempo, ma non ci fu scampo: non era previsto un altro film in sostituzione.
Il giorno seguente i ragazzi del Ginnasio organizzarono una manifestazione di protesta e chiesero a noi delle terze di partecipare. Fu quello il mio primo corteo, debitamente condito di slogan a rima baciata, quando il '68 era ancora di là da venire.
La reazione delle autorità fu severissima. Fu dato incarico al "Consigliere" di prendere i provvedimenti necessari.
Il Consigliere era una specie di ministro dell'interno dell'istituzione e contemporaneamente poliziotto di quartiere. Girava con capelli a spazzola e occhiali scuri tipo Pinochet; col suo passo felpato non lo sentivi arrivare da dietro, e se avevi fatto o detto qualcosa di men che corretto ti beccavi sulla nuca un tremendo cazzotto tirato con le nocche della mano destra, che ti faceva quasi stramazzare, anche se poi non lasciava tracce.
Fra le sue funzioni c'era anche quella di censore. I quotidiani erano vietati, tranne "Tuttosport" che provvedeva lui stesso a vendere il lunedì mattina.
Io lo compravo soltanto quando sapevo che la mia squadra aveva vinto, e questo non gli garbava, secondo lui avrei dovuto comprarlo anche quando perdeva o pareggiava.
Se da casa ti portavano dei libri dovevi sottoporli alla sua firma: a me aveva autorizzato un romanzo western dall'ecologico titolo "Sterminacervo" ma aveva invece sequestrato "I promessi sposi" che mi ero fatto comprare perché sapevo che l'anno successivo sarebbe stato addirittura testo obbligatorio di studio.
Come rivista aveva libera circolazione una versione riveduta e corretta di "Selezione dal Reader's Digest", da cui venivano ritagliate e incollate una sull'altra le mezze pagine pubblicitarie di calze da donna e similari. Senza censure invece "Meridiano 12", rivista di scarsissimo successo, creata - proprio per fare concorrenza cattolica alla scollacciata "Selezione" - dalla Casa Editrice "AVE", (acronimo di "Anonima Veritas Editrice", con sede in via della Conciliazione a Roma).
Nessun giornalino a fumetti poteva circolare, salvo quello edito dalla suddetta AVE, cioè "Il Vittorioso", che peraltro non era male e si fregiava di ottimi autori, tra cui il famoso Jacovitti. Eventuali "Monello", "Intrepido", o anche solo "Tiramolla" o "Cucciolo", venivano subito sequestrati. "Il corriere dei piccoli" non era ammesso, anche perché esisteva un'alternativa cattolica, il "Giornalino", che però era edito da una Casa Editrice concorrente, quindi mmh...
Per tornare al nostro "Consigliere", per prima cosa dedicò tutta la predica serale del giorno a una feroce rampogna contro coloro che "avevano messo il cervello all'ammasso", forse anche un po' piccato perché uno degli slogan più politicamente pregnanti del corteo era stato "Alé, alé, il Consiglio sul bidet!". Alcuni di noi non sapevano neppure che cosa fosse un bidet, ma suonava così bene! Poi, alle parole seguirono i fatti: 8 in condotta a tutti i facinorosi.
Questo voto in condotta non influì però nella valutazione complessiva del rendimento scolastico. Ero debole in tutte le materie, tranne italiano, ma avevo 10 in religione e per loro andava bene così.
Ti davano un blocchetto di cartoncini con su scritte delle domande di catechismo, bastava impararle a memoria, virgole comprese, e potevi partecipare alle gare di religione. Io ero il più bravo e arrivavo sempre secondo, perché il primo posto era riservato al figlio di un notabile democristiano.
Un'altra bella sfida era completare la raccolta dei "Nove primi venerdì del mese". Consisteva in questo. Il giovedì precedente a ogni primo venerdì del mese veniva organizzata una sessione speciale di confessioni, con dei preti venuti da fuori. Si faceva la fila per confessarsi, ma non dei soliti peccatucci della settimana, no no! Dovevi confessare proprio tutto, anche quello di cui magari ti eri dimenticato anni prima. Se avevi il dubbio di avere già confessato un peccato, eri libero di riconfessarlo di nuovo. Così, con l'anima bella linda, il giorno successivo andavi a fare la comunione.
Se eri capace di ripetere l'operazione per almeno nove volte consecutive, era fatta! Era come se avessi stipulato un'assicurazione. Da quel momento potevi anche condurre una vita di assoluta depravazione, perché nel momento della morte il tuo angelo custode avrebbe tirato fuori il certificato assicurativo e zac! filavi dritto in paradiso, senza neppure passare dal purgatorio. Peccato che non ti dessero una tesserina per la raccolta punti, io mi dimenticavo sempre di segnarmi le date e così non ho mai saputo se avessi raggiunto il numero sufficiente di primi venerdì!
Una volta o due l'anno c'era la libertà di partecipare obbligatoriamente agli "esercizi spirituali", esperienza sempre entusiasmante, intanto perché si svolgeva fuori sede, poi la cucina era migliore, non c'erano le solite lezioni e, come ogni lavaggio del cervello che si rispetti, ti lasciava la sensazione di uscirne migliore di com'eri entrato. Fu nel corso di uno di questi "esercizi", forse l'ultimo, che mi beccai un virus talmente pernicioso da infettare tutta la mia vita almeno dai 15 ai trent'anni, se non oltre.
Di tutti i "messaggi" di quella sessione di esercizi spirituali, dai più plateali ai più subliminali, uno mi aveva colpito particolarmente, al punto da segnarlo a lettere cubitali nel mio diario: "Dio ti ha affidato una missione da compiere: se non la compirai tu, non la compirà nessuno!"
Quale fosse questa missione non veniva detto, troppo facile altrimenti.
Ma il tarlo rimase, senza che potessi accorgermene, anche dopo aver deciso di buttare alle ortiche Dio, la religione e gli insegnamenti dei Salesiani. Per quale motivo, se no, invece di spassarmela allegramente con le ragazze come facevano i miei compagni di scuola, io mi dedicavo esclusivamente a barbose riunioni politiche, a letture di agitatori politici? Per quale motivo, una volta entrato nel mondo del lavoro, rifiutai ogni possibilità di carriera, scegliendo invece una rigorosa militanza sindacale? Per gli ideali, certo, che non sconfesso mica, ma soprattutto, inconsapevolmente, per... compiere la mia missione.
Gli scarsi risultati nelle materie diverse da religione non erano dovuti a una mia asineria congenita, ma alla totale incapacità di insegnamento dei professori. Oddio, professori è una parola grossa. Erano dei preti, che avevano preso i voti di povertà, castità e obbedienza e venivano comandati a insegnare, che gli piacesse o no, che ci fossero portati o meno.
Per dire, la didattica del professore di storia consisteva nel farci sottolineare il libro di testo con tre biro di diverso colore, secondo un criterio che conosceva solo lui.
Il professore di matematica, oltre ad occuparsi della censura di "Selezione" suaccennata, soleva andare a visitare gli allievi ricoverati per qualche malanno in infermeria, chiedendo loro "Ti piacerebbe andare in Paradiso?"
"Ma vaff...!" verrebbe da rispondergli oggi. Invece a quei tempi ci limitavamo a un cortese e rispettoso "No".
L'unico capace e appassionato era il prof di Francese, severissimo. A ogni sua lezione c'era compito in classe. Lui lo chiamava "foglietto": ti dettava 4-5 domande e dovevi scrivere le risposte non sul quaderno o su un foglio di carta protocollo, ma su qualunque pezzo di carta ti garbasse, un qualsiasi "foglietto".
Il professore di italiano, un giorno sì e l'altro pure, era solito parlarci male dei liberali e dei massoni. Di conseguenza molti di noi avevano i quaderni costellati di bandierine tricolori del PLI, il partito dei liberali dell'epoca; nessuno invece provò mai a fondare una loggia massonica, perché proprio non sapevamo cosa fosse la massoneria.
Anche dei comunisti, naturalmente, parlava male, ma in modo più accomodante, come fossero dei mattacchioni. Più severo era però sulla loro organizzazione giovanile, i "pionieri": si diceva praticassero l'"amore libero".
Noi per fortuna non sapevamo ancora che cosa volesse dire perché se no, per spirito di contraddizione, non oso pensare che cosa avremmo combinato!
Il sesso era tabù in collegio, ma lo era anche fuori. I genitori non ne parlavano mai (la domanda "Come nascono i bambini?" riceveva sempre risposte evasive) e anche le informazioni che qualche volta si ottenevano dai compagni di gioco erano talmente fantasiose e approssimative da rivelarsi inutili.
Un giorno, ad anno scolastico iniziato, arrivò uno nuovo, un ragazzo alto e dinoccolato che veniva dalla città e sembrava saperla lunga. In classe si era sistemato nell'ultimo banco.
"Senta, professore" chiese una volta, "ma, quando il bambino è ancora nella pancia della mam..." Non riuscì neppure a terminare la domanda che tutta la classe, come un sol uomo, si era girata verso di lui con la bocca spalancata: avevamo appena scoperto, non ancora come si "fabbricano", ma almeno come nascono, questi bambini!
Il professore, pallido come un cencio, senza dire una parola, andò verso il reprobo, lo prese per un braccio e lo portò fuori dall'aula.
Di lui non si seppe più nulla. Di certo non venne giustiziato, perché lo ritrovai, nel '68, leader di uno dei gruppuscoli più dogmatici, ma probabilmente subì una espulsione-lampo.
Sempre questo professore fu anche autore, nei miei confronti, di quella che oggi si definirebbe una "molestia sessuale". Ero andato a portargli non so più che cosa nella sua camera, situata - come quelle di tutti gli altri professori - lungo un corridoio lungo, stretto e poco illuminato. Terminata la commissione mi accompagnò fuori della camera e, tutto emozionato, alzandosi sulla punta dei piedi (era basso di statura), mi stampò un sonoro bacio sulla bocca. Si pentì subito della sua debolezza e mi chiese preoccupato se mi avesse turbato; io gli risposi di no, tacendogli che in realtà mi era un po' scappato da ridere.
Alla fine del terzo anno, durante le vacanze estive, me lo ritrovai improvvisamente a casa, che confabulava con mia madre. Mi disse che mi doveva parlare e mi prese in disparte. Mi fece un lungo discorso per mettermi in guardia da una cosa che non chiamava con il suo nome ma che sembrava dare per scontato io conoscessi bene. Lì per lì caddi dalle nuvole: solo qualche tempo dopo realizzai che probabilmente l'oggetto del discorso era la masturbazione: ma io all'epoca non avevo ancora cominciato a "praticare" e quindi non capii proprio che cosa fosse venuto a fare.
Il prosieguo della mia vita non fece che confermare le funeste previsioni della perpetua: non mi feci salesiano, evidentemente non ero un tontolone sempliciotto. Mia madre, a parte una sfuriata la volta che le confessai, intorno ai 15 anni, che oramai da tempo non andavo più a messa ("Ti avessi mandato a pascolare le vacche, invece di farti studiare!"), col tempo se ne fece una ragione e imparammo entrambi a rispettare le reciproche diversità.
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l'autore PIERO ha riportato queste note sull'opera
Il titolo vuole essere un omaggio al grande Pedro Almodovar.
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0 recensioni:
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PIERO il 11/07/2012 19:57
Grazie, Anonimo che va di fretta. Ma mi piacerebbe sapere, senza fretta. chi sei...
Anonimo il 09/07/2012 15:20
Scusa gli errori dovuti alla fretta... so che non li perdoni ma per una volta sii meno severo. Ciao!
Anonimo il 09/07/2012 15:19
Scusa gli errori... vado di fretta... ciao!
Anonimo il 09/07/2012 15:19
Scusa gli errori... vado di fretta... ciao!
Anonimo il 09/07/2012 15:19
Scusa gli errori... vado di fretta... ciao!
Anonimo il 09/07/2012 15:17
Quando uno dice che è un racconto è lungo è semplicemente per il fatto che si è faticato ad arrivare alla fine. Questo è "breve" perché godibilissimo! Ho sorriso pur con la consapevolezza che l'ironia possa essere solo della maturità e perché ormai esperienza lontana. Quante cose mi hai ricordato... Selezione è stata per anni l'unico leggere nella mia casa: arrivava per posta perché abbonati. Ma come?! vietati Monello e Tiramolla e pure i films di Totò?!! Sei stato un grande ad aver resistito...
A parte gli scherzi Piero, credo che comunque tu abbia fatto tesoro, pur non volendo, di altre cose che magari ci racconterai in un altro racconto. Non può essere stata solo " mala educaciòn ", altrimenti non scriveresti così bene.
PIERO il 04/05/2012 22:10
Grazie, Ellebi, per avere letto e commentato il mio racconto.
Hai afferrato molto bene la motivazione della chiave ironica. Senza di questa il tutto sarebbe risultato molto pesante, noioso, di parte, e scoraggiante per i lettori.
In "Andrea", che sto per pubblicare, c'è in parte il seguito di questa storia, ma questa volta il taglio ha dovuto essere necessariamente diverso, a causa di un avvenimento molto, troppo, serio.
- Credo di aver scoperto il perchè risulti anonimo, perchè il commento è troppo lungo, ma io sono Ellebi. Nuovi notturni saluti.
Anonimo il 02/05/2012 03:10
Beh, non si fa nessuna fatica a leggerlo, e questo non è poco. Ora capisco meglio le motivazioni del racconto sul fanatismo e sono soddisfatto della tua replica su quel testo.
(avrei qualcosa d'altro da aggiungere a quel racconto, ma non è questo il contesto per farlo) Dirò invece qui, che mi pare di capire, che la chiave ironica con cui il presente racconto è compilato, serva ad "alleggerire" la carica negativa di quell'esperienza, la quale sembra ancora pesarti. Vorrei approfittare di questo spazio per darti invece la chiave più autentica de l'Istituto, che per qualche verso ricalca ed è affine alla "Mala Educacion". All'adolescente dell'Istituto malgrado rifiuti di ambientarsi in quel mondo che è estraneo alla sua psicologia, è infatti un sognatore e crede che quell'esperienza sia un'avventura, ci sta male quando scopre che nessuno voleva tenerlo prigioniero, e lo scopre quando se ne va dal portone principale, il quale veramente non è mai stato
chiuso. Ecco dunque dove sta la differenza fra le due esperienze, a me non pesa ne mi ha mai condizionato in qualche modo... Se non per una cosa: ho letto all'istituto i maggiori classici per ragazzi della letteratura universale, da Kipling a Mark Twain, da Salgari a Verne, da Cooper a London e altri ancora. Scusa della trasgressione. Ci tengo ad aggiungere un'ultima cosa: il tuo racconto è molto meglio del mio per completezza, per chiarezza, e perchè meglio strutturato. Ti saluto, notte.
- Letto ben volentieri e mi è piaciuto molto,
- Piero, se era il taglio ironico che volevi dare come prevalente, allora va tranquillo, che ci sei riuscito
- A volte è più difficile leggere sette righe scombinate che sette pagine come queste, almeno per me. Ciao Piero.
PIERO il 14/03/2012 23:35
Grazie, Mauri, per il tuo apprezzamento. In realtà il racconto è perfettibile. Immagino che 7 cartelle siano un po' scoraggianti, forse era meglio sezionarlo in capitoli indipendenti e pubblicarlo a rate. Ma era in gestazione da tanto tempo e avevo bisogno di... liberarmene.
- Questo racconto per me è semplicemente perfetto. A me il collegio essendo stato evitato ma tutto il resto no, capisco bene quanto ci possa essere di ironico e quanto invece no: meno di quanto si possa pensare. Sconsiglio vivamente qualsiasi ritocco o ripensamento, ed auspico invece che l'autore si rimetta subito al lavoro per propinarci al più presto qualche altro raccontino degno di questo. Augh!
PIERO il 14/03/2012 15:10
Grazie Morry per i tuoi rilievi. Ci rifletterò. Però il taglio critico ironico è proprio quello che volevo dare. E per i passaggi di italiano parlato avrei bisogno di esempi.
- Questo racconto è molto interessante e di un livello atuobiografico superiore... tuttavia, mi scuso se esprimo un appunto.. l'ironia del protagonista, per questa lunga esperienza vissuta, prevale troppo sulla esposizione narrativa dei fatti come essi sono stati, sono accaduti. Alla fine non è un racconto che narri la vera esperienza dal di dentro, di questo ragazzo, ma l'approccio critico ironico dell'adulto che la rivive. E ciò fa una grande differenza. Come lingua italiana, è bene esposto, anche se in alcuni passaggi " scende" a Italiano " parlato". Senza che l'autore si risenta, io consiglierei di ripensare questo racconto.
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