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La scelta
John si sfregò le mani intirizzite per scaldarle, alzò il bavero della giacca, si appoggiò alla parete della chiesa, si lasciò scivolare fino a sedersi.
Il cappello appoggiato a terra davanti ai piedi, rassegnato, infine aveva vissuto l'ultimo stadio della lenta ma inesorabile metamorfosi che trasforma un essere umano in un individuo privato della dignità.
Freddo e fame gli avevano imposto di accettare l'elemosina, pratica infamante non tanto per chi la riceve quanto per il concedente, che lui ripagava con uno sguardo sprezzante.
Taluni si adombravano sostenendo che avrebbe dovuto essere riconoscente.
Talaltri riprendevano la monetina appena gettata nel cappello, non senza mostrare tutta la loro disapprovazione. Non senza ricevere in cambio un sarcastico ringraziamento.
Qualcuno mostrava incertezza, poi proseguiva lungo la strada distogliendo lo sguardo.
Un uomo vestito di grigio con una borsa di pelle nera in mano, inciampò nel cappello scagliandolo lontano. Alle imprecazioni e al severo sguardo di riprovazione del viandante, John rimase impassibile, le mani congiunte dietro la schiena. Aveva vissuto troppe volte scene simili per aver ancora voglia di replicare.
Viveva in Italia da circa dieci anni, da quando aveva accompagnato la moglie a Milano. Avevano lasciato Seattle per una vacanza di lavoro che doveva durare un mese circa. Non ritornarono più in America, se non qualche giorno per sistemare delle pratiche burocratiche.
Nel riprendere il cappello raccattò le monete sparse in giro. In tutto sei euro e sessantacinque centesimi. Intanto si era avvicinata una coppia di vigili urbani e proprio in quel momento passò un uomo di circa quarant'anni, che forte della presenza dei tutori dell'ordine, sentenziò che era ora di mandarli tutti a casa, completando la performance con uno "sporco negro" detto tra i denti.
Già, perché John era nero.
Si sistemò cinquanta metri più avanti. Mentre un tuono si disperdeva nell'aria udì una voce maschile che tentava di attirare la sua attenzione.
John, stanco e nervoso, fece finta di non aver udito. Sentì di nuovo quella voce. Si girò pronto per mandare a quel paese l'autore di quell'insistente richiamo, ma non vi riuscì. Ormai abituato a dubitare del suo prossimo, preso a calci dalla vita, non voleva più far credito di fiducia a nessuno. Qualcosa lo trattenne. Forse furono i lineamenti di quell'uomo, oppure la sua voce, magari tutte e due le cose.
Continuò ad ignorarlo, osservandolo però di sottecchi.
- Senta, mi scusi, mi darebbe una mano? Devo portare questo grosso pacco all'ufficio postale, e sinceramente da solo non credo di farcela! -
Esclamò il tizio.
Era un uomo di circa cinquant'anni, portati male, un po' sovrappeso, vestito di scuro, cappotto e cappello. Il suo volto, però, in qualche modo risultava simpatico a John, e il timbro della sua voce appariva cordiale. Erano circa le cinque e trenta della sera, l'oscurità aveva preso il posto della luce, da poco era cominciato a piovere, e lui se ne stava lì, col capello in mano, ad ascoltare quello strano individuo che chissà cosa voleva davvero da lui. Sapeva che doveva sbrigarsi, che per trovare una branda giù nell'ospizio dei poveri bisognava arrivare presto, però... John sollevò le spalle, pensò che valeva la pena provare, che forse non tutto il genere umano era marcio. Si avvicinò all'uomo, prese il pacco che era effettivamente molto pesante, e si avviò.
- Aspetti che l'aiuto -
- Non c'è bisogno, lei vada avanti - replicò John, con un tono che
non ammetteva contraddizioni. Il cinquantenne, perplesso, si avviò. Percorsero circa duecento metri. Quando arrivarono John posò il pacco in terra con evidente sollievo. Fece segno con la mano e cominciò ad allontanarsi.
- Ehi, non se ne vada! - Disse l'uomo mentre con la mano gli afferrava un braccio.
- Lasci! -
- Come? -
- Il braccio. Lasci il braccio. -
- Mi scusi. Senta, non se ne vada, le vorrei parlare. - disse quell'uomo, mentre la sua mano mollava il braccio di John.
- Non ho una casa che mi aspetta. Non ho nemmeno un letto. Se non mi sbrigo, trovo solo una panchina per dormire. -
- È proprio di questo che le vorrei parlare. Guardi, ci metto dieci minuti, al massimo. - Così dicendo, si avvicinò allo sportello spedizioni dell'ufficio postale.
Aveva deciso, andando contro la sua volontà, di ascoltare quell'uomo, e restò fuori ad aspettarlo. Voleva dare un'altra chance al mondo, un'altra possibilità.
"John, oh John quanto mi sei mancato. Vieni qui, amore".
Marta? Era lei!?
"Vieni John, facciamo l'amore come una volta, ti prego..."
Marta, ma come... dove sei stata tutto questo tempo..
- Ehi, lei!-
"Marta!?"
- Ehi, si svegli!-
- Marta!? -
- No, non sono Marta. Mi dispiace per lei, riconosco che le sto procurando una grossa delusione. -
Marta! Sua moglie Marta! Era sparita cinque anni prima, non l'aveva più vista. Da quella volta la sua vita iniziò una lenta ma continua discesa. Spesso faceva quel sogno, anche di giorno, quando si addormentava, quelle poche volte in cui poteva alleggerire un po' la tensione. Negli ultimi tempi succedeva di rado.
Si riappropriò della realtà immediatamente, e si scusò con l'uomo del pacco.
- Non si deve scusare. Sono io che l'ho fatta attendere troppo. Vogliamo andare? -
- Dove? -
- Mah, dove vuole lei. Al bar, se preferisce, oppure a casa mia. Forse li staremo più comodi. -
L'uomo finì l'ultima frase incamminandosi, ma si rese conto di essere da solo. John lo stava guardando fisso, immobile. Il suo sguardo non era rassicurante. L'uomo capì.
- Senta, mi guardi bene. Le sembro in vena di avventure? Amico mio, mi sta deludendo. -
- Si può sapere che vuole da me? -
- Mi conceda un po' della sua attenzione, e lo saprà.-
- Non a casa sua. -
- Benissimo, mi scusi se l'ho messa a disagio. Andiamo al Caffè Centrale, è qui vicino. -
Alla fine John decise di accettare. Pur con tutta la diffidenza possibile, stava assecondando il suo istinto, che gli diceva di fidarsi di quell'uomo. Del resto, era stanco di quelle vuote giornate tutte uguali.
Spinsero l'elegante vetrina Liberty del Caffè Centrale ed entrarono. Memore di fasti passati, di quando l'intellighenzia cittadina e la buona borghesia d'inizio secolo lo frequentava in esclusiva, il Caffè era un po'decaduto, conservando però l'antico fascino.
Si recarono con decisione verso una saletta appartata in cui avrebbero potuto conversare con tranquillità. Il cameriere salutò con devozione l'accompagnatore di John. Segnale di prestigio certamente. Soprattutto di laute mance. Uno sfolgorante sorriso gli apparve sul volto quando si accorse del surplus ottenuto per garantire sicurezza e discrezione.
Appena seduti, John ordinò un doppio bourbon liscio.
Stava riassaporando gesti e abitudini che una volta facevano parte del suo mondo. Il suo vicino di sedia lo stava osservando, e dopo un po' gli chiese.
- Da quanto non entra in un locale come questo? -
- Da troppo tempo. -
- A proposito non ci siamo ancora presentati. Conti, Leonardo Conti! - disse porgendogli la mano.
- John, John... e basta -
- Bene, bene, bene, lo chiedevo per cortesia, possiamo metterci d'accordo anche se non vuole rivelarmi il suo nome.-
- Mhh... d'accordo è una parola che in Italia ha vari significati, non tutti coincidenti. Si spieghi meglio. -
- No, non mi fraintenda, prego. Intendevo dire che voglio proporle un affare, in cui lei avrà molto da guadagnare. -
- E lei? -
- Ah, io... se farà come le dico, io ne ricaverò una rendita di posizione duratura! Guardi, non si preoccupi, ognuno di noi due ne trarrà profitto. -
In quel momento arrivò il cameriere, con un doppio bourbon per John e una china calda per il cinquantenne. John bevve in un sorso il distillato, e ne ordinò subito un altro, mentre il suo interlocutore aveva iniziato a sorseggiare la china.
Una busta appoggiata sul tavolino dall'uomo attirò l'attenzione di John. Il logo stampato sopra era per lui inconfondibile. Bevve il secondo bourbon, poi, senza riuscire a nascondere il suo nervosismo, prese in mano la busta.
John stava camminando sotto la pioggia, riparato dal solo cappello che normalmente usava per chiedere l'elemosina, e pensava.
Pensava a un giorno di cinque anni prima, l'ultima volta che vide Marta. Pensava alla sera precedente, a quel maledetto che lo stava ricattando. Sapeva tutto di lui.
Tutto del suo passato.
E del suo futuro, a questo punto.
- Lei, John, farà quello che le dico io. Le conviene ascoltarmi. Se faccio questo numero di telefono lei passerà il resto della sua vita in un carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti d'America. Mi dicono che non sia una sistemazione molto comoda. -
Pensava a un giorno di dieci anni prima, quando lasciò l'America per venire in Italia con Marta. Lei era contenta di quella decisione, sarebbe stato il suo lancio definitivo. Era una modella, voleva sfondare. A Milano ci sarebbe riuscita.
Lui invece lavorava per la Cia.
L'Italia è in posizione strategica tra il Nord e il Sud del mondo.
Tra paesi produttori e consumatori.
Di armi.
Lui però in Italia era cambiato. Non voleva più fare quel lavoro.
Sapeva però che quel lavoro non prevedeva la pensione.
Erano cinque anni che si nascondeva. Da quando Marta scomparve.
Da quel giorno cominciò il suo inferno personale.
E ora lo avevano trovato.
- Ascolti, John. Lei dovrà uccidere un uomo. In questa busta c'è la sua foto, il nome e l'indirizzo, le abitudini. Insomma c'è tutto quello che le serve per eseguire il lavoro. Se farà come le dico, lei avrà 500. 000 euro in contanti, e si rifarà una vita. Se no...-
Pensava che ormai aveva camminato abbastanza.
E pensato abbastanza.
Si diresse verso l'abitazione di Leonardo Conti.
Aveva appuntamento alle otto della sera.
Erano le sette.
Arrivò all'indirizzo segnato, un antico palazzo del centro. Prima di entrare mise la mano in tasca: il freddo contatto con la semiautomatica lo rassicurò.
Saliva le scale e pensava.
" Se devo diventare un assassino, sarà per Marta."
- Un'ultima cosa. Purtroppo le devo dare una brutta notizia. Sua moglie è morta cinque anni fa a Milano. Quando la prelevarono fece resistenza, e un agente inesperto fece fuoco pensando che fosse armata. Morì subito, senza soffrire. Mi dispiace -
Aveva passato tutta la notte, e poi il giorno, fino a quel momento, a camminare sotto la pioggia. A camminare e pensare.
Marta.
Era morta per causa sua.
Mentre saliva le scale tirò fuori la pistola e controllò il caricatore, c'erano due colpi.
Basteranno.
Le scale erano finite. Suonò il campanello. Lui venne ad aprire. Sembrava invecchiato di vent'anni.
La barba incolta, la vestaglia da camera, le pantofole.
- Ah, è lei? È arrivato prima? Bene, venga con me, in sala da pranzo.- Gli disse precedendolo.
John lo seguiva. Approfittò di quel momento per estrarre l'arma da fuoco. Entrarono nella stanza. Conti si sedette rivolgendogli le spalle. Magnifica occasione. Prese la mira, stava per premere il grilletto.
Udì un mormorio sommesso. La sua vittima predestinata stava pregando. Si accorse solo in quel momento dei fogli ammucchiati sul tavolo. Senza perderlo di mira si avvicinò, diede una rapida scorsa.
Erano cartelle cliniche, esami radiografici. Di Leonardo Conti. In un foglio individuò il termine "Carcinoma"
Capì di essere stato usato come un burattino, ancora una volta. Prese la busta che teneva in tasca dalla sera precedente, l'aprì con rabbia. C'erano dei fogli bianchi.
Quell'uomo aveva giocato con i suoi sentimenti.
Sapeva che quella sarebbe stata la sua reazione.
La rabbia stava per prendere il sopravvento, puntò la pistola alla testa dell'uomo.
- Che aspetta, disgraziato. Mi rimangono meno di due mesi di vita. Spari, maledetto, spari! - questi gridava disperato.
Rapida come era venuta, la rabbia se ne andò.
Prese la pistola, sfilò il caricatore, lasciò un solo colpo, e la appoggiò sul tavolo, di fianco alla mano dell'uomo.
- Uno basterà. - disse mentre se ne andava, lasciandolo nella sua disperazione.
Fuori aveva smesso di piovere.
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- Mm, ok, non c'è male, un buon racconto, sì. Scrittura scorrevole, incisivo. E anche con l'unica firma di vera e propria narrativa della settimana, tra parentesi.
- Suicidio per interposta persona insomma. Ne so qualcosa. Ben scritto, complimenti.
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