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Guadalavez

Non piove ormai da chissà quanto a Guadalavez. Si potrebbe andare al mare, oppure... oppure stare a casa col ventilatore ad un centimetro dal viso. Devo scrivere il racconto per El Diario de Guadalavez ma fa veramente troppo caldo. "Buon giorno maestro, anche oggi caldo da morire; eh beato lei che si gode la vita; ha visto che partita ieri? Se continua così le suoniamo anche a quei spocchiosi di brasiliani. Ecco il solito caffè maestro, ora le porto anche l'acqua". Ogni giorno così a Guadalavez, sempre uguale, sempre la stessa sedia, lo stesso tavolino e lo stesso caffè, che oltretutto non è neanche buono. “ Macchisenefrega del calcio, del brasile, a me non piace neanche il calcio, e così che vi tengono buoni. Panem et circenses. Ma io non ci casco, ahh no. Che si impicchino." Questi pensieri gli strisciavano tra le labbra mentre arrotolava del tabacco dentro una cartina, rituale giornaliero del dopo caffè; le sue labbra socchiuse davano il ritmo ai movimenti delle mani. "Che... si... impi... cchi... no...". Così silenziosamente borbottando completò la sua sigaretta. Ma quei gesti erano figli di un automatismo ricorrente. Quello che attraeva veramente la sua attenzione erano dei pantaloncini, guarda caso da calciatore, gialli bordati di verde con un numero dieci rosso stampato sul lato destro; sul lato sinistro un rombo verde con dentro un globo azzurro. Ma si, insomma, i colori del Brasile. Chi non conosce i colori del Brasile? Pantaloncini da calciatore attillati e molto corti, quelli dei tempi di Pelè, per intenderci. Don Fernando seguiva con una meticolosa panoramica quell'incedere lento. Dal suo tavolino aveva il pieno dominio visivo di Plaça de Libertadores e solo un idiota non si sarebbe potuto accorgere di quella camminata che tagliava lentamente la piazza. Del resto l'espressione dello scrittore era molto simile a quella di un idiota. Felicia era comunque accaldata anche se indossava solo quei pantaloncini e una canotta arancione. La sua pelle bronzea luccicava sotto il sole di mezzogiorno; e il sole di mezzogiorno a Guadalavez è il più caldo di tutto il Sudamerica. Quelle gocce di sudore sotto i capelli raccolti rendevano l'india ancora più bella e il peso dello sguardo di Don Fernando non contribuiva certamente ad alleviarla dal gravare della cesta della spesa che si portava dietro. Felicia era a servizio dalla madre del governatore Paulo Alvarez: pochi denari e qualche pasto caldo per una serva india erano già qualcosa. E quegli sguardi sempre gli stessi. La serva rendeva gli uomini schiavi e come tutti gli uomini anche Don Fernando in quell'istante era schiavo di Felicia. Lei volse lentamente il capo, lo guardò di sbieco e nell'angolo sinistro della bocca lasciò accendersi un mezzo sorriso. Non era diretto a lui, era tra sè e sè. Lo scrittore in quel momento era un libro aperto: per Felicia ogni uomo era un libro aperto e anche se non sapeva leggere conosceva quelle pagine a memoria. Cent'anni di solitudine non hanno cambiato di una virgola Guadalavez. Caldo, polvere e ancora caldo. Si, a volte piove, e nel periodo delle piogge la città scompare. Don Fernando osserva quattro stranieri capitati per caso in città, seduti nel Cafè Colombo al di là della piazza. Di certo quel giorno non pioveva e, come tutte le novità a Guadalavez, i quattro non passavano inosservati. Mentre lo scrittore preparava la sua solita sigaretta dopo il suo solito caffè, nella sua mente passava qualsiasi congettura sui quattro forestieri. Chi sono, da dove arrivano e perchè sono lì a Guadalavez, ai confini col mondo, neanche gli zingari vengono a Guadalavez. E se quei quattro non portassero niente di buono? "Oh peste, ohh miseria, ci manca anche la guardia civil ora; da noi niente accade e mi porti il diavolo se ho bisogno di altre emozioni; mi basta solo vedere le labbra di Felicia e poi posso anche finire in pasto ai vermi. E che il diavolo si porti anche quei dannati forestieri.".

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4 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • Anonimo il 26/04/2012 16:41
    ... una lettura molto
    interessante,
    a tratti un po' eccessiva
    ma piaciuta,
    complimenti.

4 commenti:

  • Anonimo il 11/02/2011 11:27
    Si, molto bello, complimenti.

    Suz
  • Gianfranco Squintu il 28/01/2007 13:55
    Vi ringrazio per i commenti positivi.
    Elenio: capisco il tuo Dejà Vu e ne sono consapevole.
  • elenio pallini il 28/01/2007 01:10
    bello, scorrevole, anche i troppi aggettivi sono al posto giusto e necessari, a volte. peccato per il senso di dejà vu che ho provato, comunque complimenti!

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