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la vita in un sogno
I
Ricordo un pomeriggio d’estate passato in compagnia di una persona. Cupa e silenziosa essa stava ad ascoltare i miei sperduti discorsi. Mi accorgevo, dopo tanto tempo, di essere ascoltato, ammirato. Ma questo ascolto diminuiva con la mia stanchezza. Quando il mio ammiratore scomparve tornai a casa e mi misi a letto cercando di prendere sonno…in quei momenti stranezze. Solo stranezze. Mi chiedevo cosa stesse accedendo. Mi sentivo osservato, la stanchezza, bah. Una figura sfuocata, rapida e rumorosamente silenziosa…E in quella camera un avvenimento imprevedibile investì il mio esile corpo. Il mattino seguente mi trovai in una camera di un albergo di una sperduta via di una città sconosciuta. La prima cosa che i miei occhi fissarono fu il tenue bagliore emanato da una bottiglia scheggiata posta sul davanzale. Scheggiate sembravano anche quelle rose ormai morte che vi stavano dentro. In quel mattino seguente sapevo che avrei dovuto raggiungere il centro della città, ma non sapevo il perché. Mi trovavo in un luogo mai visto ma già incontrato. Durante il mio tragitto non potei non osservare gli occhi dei passanti che mi accusavano di qualche crimine che non avevo commesso… - a suo tempo?" pensavo senza un buon motivo?" ho conosciuto una ragazza speciale, che mi ha accompagnato nella mia esistenza. Ma il tempo provocava un’ effetto strano sulle nostre persone che si erano unite. Quella ragazza era il mio angelo, la mia vita, tutto in quel momento e nessuno sguardo scambiato era oscurato da pensieri cattivi, ma da parte mia era la solitudine.- continuavo intanto a camminare. E più quelle persone mi scrutavano, più il mio corpo era afflitto da un enorme peso…e così vivendo, da solo giunsi in una piazzola, semi- porticata dove sei figure erano ferme appoggiate ad una sola colonna. Nonostante riuscissi a difficoltà a riconoscere il loro sesso, esse mi osservavano…cigolavo. Giunto era ormai il tempo di chiedere informazioni per uscire dalla città, quando le mi gambe cedettero e io caddi come morto cade sulla terra…- io starò sempre con te, non ti abbandonerò mai, parla, reagisci, coraggio vai avanti! ?" sognavo- non sei solo ci sono qua io che ti aiuto.- piangevo-. “Ehi tutto bene?” i miei occhi ritornarono a vedere. Era una delle figure che mi parlava. Ora riuscivo a scorgere i suoi lineamenti. Era lei. “Certo, grazie, ma…” stavo rispondendo mentre mi alzavo. “ …dimmi dove mi trovo. Mi sono perso e sto cercando la strada perduta” frase un po’ costruita riflettevo tra me e me. Intanto un’altra di quelle forme si avvicinò a me ma non riuscì a distinguerla. Era protetta oppure ero io prevenuto. “ Esci da quel portone e….” le indicazioni mi vennero date. -Senti mia stella- le dicevo- ti voglio raccontare un mio sogno- ero in un giardino immenso mentre camminavo. Comparve ad un tratto una casa, con due porte. Una era bella e ricca già aperta e si vedeva una stanza piena di giocattoli e bambini che ridevano felici, l’altra era chiusa. Porta in legno massiccio, marcia, con una crepa dal quale usciva un odore acre, pesante. Scelsi la seconda. Aperta, mi addentrai lungo questo corridoio di scale piane e allo stesso tempo scoscese. Era la mia vita pensavo, ma quando pensai, venni trasportato in un altro campo, in montagna. Lì vi era un cavallo, triste, afflitto…. malato. Mi guardava e più mi avvicinavo più quello cercava di uccidermi. Ma scappai. Eccomi, ritornai nel mio corridoi ma alla sua fine. È un ponte quello di fronte a me, è bloccato, ma nonostante ciò cerco di passare. Caddi nella lava sottostante. Mi svegliai. Mi riaddormentai. E aprì le porte di quel cancello, proseguì lungo un altro corridoio, questa volta luminoso con statue ai suoi lati. Eroi mitologici vegliavano sul mio cammino lento e incostante…la porta posta alla fine del corridoio era rosso fuoco, con i ricami sul velluto giallo scuro. Non riuscivo ad entrare nonostante fosse aperta. Il perché era semplice, per ogni porta aperta una porta chiusa compariva. E venni colpito da un qualcosa che mi uccise.- sospiravo- ecco tutto qui sogno banale vero?- lei non c’era più… Eccola la casa di cui quella figura parlava. Incosciente a non crederle. Una settima figura mi stava raccontando qualcosa. Questa volta era un uomo che parlava.
II
“…la notte mi diceva?" Pensaci-…e giunse l’alba. Ma tutto ciò che riuscivo ad immaginare erano i suoni della strada…calda…in un afoso pomeriggio di estate dove i bambini giocano a rincorrere le nuvole…ebbene, lì le ore sembravano non passare. Allora iniziai a scrivere, non sapevo che cosa, ma ne conoscevo il nero significato. Tutto quello che in quel momento speravo era la dolce compagnia di quella ragazza. In tal modo il mio corpo vigoroso reagiva. La dove l’occhio si perdeva guardando la lunga via, li arrivava il sogno di raggiungere luoghi inesplorati, sconosciuti. Ma tutto ciò non sarebbe mai accaduto…”.
Ecco cosa pensava mentre il tempo inesorabilmente trascorreva lasciando una certa insoddisfazione nel profondo dell’animo. Era il silenzio.
Lui filosofava: “perché mai devo rincorrere il tempo?... lasciamo che sia lui a rincorrere me, rallentando o accelerando…non importa se ci riesco e/o come ci riesco, la cosa essenziale è convincersi che in fondo il tempo non esiste.” Gli uccelli cantavano intanto in un afoso pomeriggio di estate dove i bambini giocano a rincorrere le nuvole.
È inutile aspettare un segnale. Intanto era a conoscenza dei suoi dubbi, delle sue visioni, ma nessuno gli dava ascolto.
Era diverso, era da solo, era sottomesso agli altri e a se stesso. Ma non per questo lui non ci pensava e faceva finta di nulla. Se solo si fosse accorto prima degli sbagli fatti e delle scelte compiute; ma una persona a lui vicina insisteva nel ripetere che non si può vivere sul passato e che non è mai tardi per rincominciare una nuova vita… Lui provava con fatica e l’unica soddisfazione che provava era quella di scappare tra i boschi durante la quale ha passato la sua infanzia, quei boschi umidi, pieni di odori e misteri. Erano quelle piante che lo ascoltavano e che raccoglievano le sue lacrime che con penoso ritmo cadevano sul terreno. Solo, era solo, la sua solitudine lo rendeva felice. Ancora adesso stento a credere. Sentiva e vedeva cose che i più fortunati percepivano e che spesso davano origine a grandi preoccupazioni. Grande fortuna…. illusioni solo illusioni di essere felice.
Quando così tornava in città tutto gli sembrava leggero come una piuma. Però soffriva e di giorno in giorno come una canzone stonata lo urtava. Aveva infatti strani tic e quando quel brivido gli percorreva la schiena faceva una simpatica smorfia. Tra questi pensieri era lui stesso che si metteva a ridere dei suoi difetti. E la sera andava a letto pensando sempre a tutto e a tutti: incubi; era la risposta…tric, tric.
La sveglia è carica per svegliarmi e svegliarlo.
III
E così mi ritrovai in questo strano locale, pieno di icone appese ai muri. Il senso di oppressione che mi stavo trascinando dall’inizio del mio lungo viaggio era diminuito, ora mi sentivo quasi solo. Sedutomi ad un tavolo attesi, e attesi e attesi, fino a quando non mi addormentai e il giorno seguente fu la stessa figura del bar a svegliarmi. Non la vedevo ma riconobbi la sua voce…Incisiva, urtante e rassicurante. Nell’aprire gli occhi vidi che era mio fratello, che mi aiutava a rialzarmi.
Un sospiro mi sorprese. Uscendo da quel luogo che ormai si era fatto lugubre, decisi di percorrere un tratto di strada con lui. Durante il mio tragitto vedevo in fondo al viale una strana luce che mi attirava. Non capivo più se il giorno si era fatto notte o se la notte si fosse fatta alba.
Ricordo solamente che raggiunsi quella luce. Magnifica, unica, intensa ma particolarmente oscura. Non era una luce sicura, ma vibrante…- cosa fai?- - nulla, gioco con il fuoco per vedere se riesco a toccarlo a sentirlo mio- - ma non puoi, smettila è pericoloso, inoltre non puoi ottenere ciò che per natura ti è stato negato-…un capogiro, solo un capogiro…
Ero confuso volevo correre, volevo tornare indietro nel tempo, quando ciò non sarebbe mai accaduto, dove nulla mi tormentava. Scappavo con la mente…
Erano amici miei quelli che si nascondevano dietro quel bagliore. Ricordo che insieme a loro c’erano anche le figure del semi- porticato. Tutte che parlavano e che pian piano si facevano riconoscere. Ma una sola non volle mostrarsi per quello che era.
Si avvicinò a me, mi urtò, mi guardò, mi spinse e…. rise. Perché ridesse non lo saprò mai.
So solo che quando mi accorsi di ciò che mi aveva fatto non stavo sognando e nemmeno volando con la mia mente, stavo veramente camminando, nella realtà. Quella lama nella mia gola, che mi pietrificò e mi fece cadere a terra come un sasso. Questo è ciò che ricordo…
Non stavo sognando, non stavo vagando per caso, no. NO. Io stavo camminando realmente. Sì, verso la morte…
Ero MORTO…
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- piaciuto, molto sottile e psicologico. Profondo il contenuto, scorrevople alquanto la forma, ciao!
- hei... vedo che buon sangue non mente!!!! alcune frasi sono un po' come dire contorte... non volermene la prof si fa avanti!! ma è veramente bello nel suo essere surreale e reale il racconto... una metafora dei momenti neri... lo specchio!
bravo!
- il tuo racconto e un po strano
ma carrino