racconti » Racconti brevi » Un incontro
Un incontro
Marco rimase immobile all'ingresso dei giardini con gli occhi chiusi e la faccia rivolta verso il cielo per godere al massimo di quell'inatteso sole primaverile. Sentì il calore scaldargli il viso e respirò a pieni polmoni.
Dopotutto - pensò - la vita continua.
Sentì il corpo sudare sotto il pesante vestito scuro, si sfilò la giacca e, ripiegatala, se la appoggiò sull'avanbraccio. L'aria fresca si infilò sotto la camicia procurandogli un bel sollievo. Un gruppo di impiegati stava consumando il pranzo sul prato. Intorno alcuni piccioni sgambettavano ansiosi di beccare gli avanzi del pasto. Marco li osservò mentre camminava lungo il sentiero che portava verso il piccolo lago artificiale al centro del parco. Era confuso e stordito da tanta improvvisa vita, dai mille odori della primavera e da quell'inaspettato sole abbagliante. Il suo corpo era in uno stato confusionale, dopo tutto quel tempo passato tra casa e l'ospedale. Il ricordo di quegli ultimi mesi gli fece scorrere un brivido lungo la schiena. Mara si materializzò davanti a lui nel letto, il sorriso le solcava il viso malgrado la sofferenza. Lo aveva lasciato poco per volta. Lo aveva preparato. Era consapevole del fatto che Mara era stata pronta fin dall'inizio, ma sapeva che lui, Marco, aveva bisogno di più tempo per affrontare e accettare il fatto che lei non ci sarebbe stata più. Anche in quell'addio era stata una donna generosa - pensò. Sentì il cuore stringersi. Si appoggiò allo steccato e guardò l'acqua luccicare. Un gruppo di papere scivolava silenziosamente sulla superficie del laghetto. Alcuni cigni erano intenti a pulirsi col becco mentre prendevano il sole sulla riva poco distante da lui. Li guardava, con la giacca nera che penzolava dal suo braccio e la faccia pallida e scavata. I cigni si voltarono verso di lui. Si guardarono interdetti per un po' Marco e i cigni, e se qualcuno fosse passato di lì avrebbe sospettato che si stessero comunicando qualcosa con la mente. Poi i cigni si avviarono verso la riva, entrarono in acqua e si allontanarono verso il centro del laghetto lasciando Marco da solo a guardare la loro scia ondulata sulla superficie dell'acqua. Marco estrasse un fazzoletto di stoffa dal taschino della giacca con cui si asciugò il sudore che gli imperlinava la fronte, poi si avviò verso l'uscita del parco.
Nella piazza regnava un gran caos. Era una graziosa piazzetta stretta tra belle case in stile liberty. Era gremita di gente e un piccolo palco era stato arrangiato nell'angolo che dava sul retro di una piccola chiesa ormai sconsacrata. Un uomo calvo con dei baffi folti e brizzolati urlava con la faccia paonazza da sopra il palco. Aveva in mano un megafono vecchio e tappezzato di adesivi, ma il suono che produceva era un gran gracchiare e si poteva a malapena intendere cosa dicesse. Numerose bandiere, perlopiù con varie striscie colorate orizzontali, spuntavano qua e là dalla folla sventolando sotto al cielo blu. L'atmosfera era piacevole per via di quella inattesa giornata di sole e la maggior parte della gente sembrava più intenta a godersi la bella giornata che non a seguire il discorso gracchiante del signore col megafono. Vari capannelli si erano formati qua e là riempiendo quasi completamente la piazzetta. La maggior parte di loro chiacchierava fumando una sigaretta oppure bevendo una bibita per rinfrescarsi dal caldo improvviso. Giacche e golfoni di lana erano stretti in vita e retti sulle spalle e molti erano rimasti con indosso solo la maglietta. Marco si aggirò per la piazza guardandosi attorno incuriosito e piacevolmente distratto da tutta quella confusione, cercando di capire cosa facessero tutte quelle persone lì raccolte. Questo suo aggirarsi furtivo e incuriosito suscitò tuttavia l'attenzione di un gruppo di ragazzi che a lato della piazza sedeva con aria annoiata su dei motorini parcheggiati. Indossavano delle felpe scure con cappuccio sulle spalle e calzavano avvolgenti occhiali da sole neri dall'aspetto piuttosto aggressivo. Parevano tutti tenere il petto in fuori come fanno certi animali quando si affrontano per la conquista di una femmina e nel complesso sembravano voler intimorire chiunque li guardasse. I ragazzi seguirono Marco con lo sguardo e uno di loro lo indicò con un dito. Un altro annuì seguendo l'indicazione. In men che non si dica tutti loro stavano seguendo gli spostamenti di Marco. Questi si accorse dell'attenzione che aveva suscitato, incrociò con lo sguardo quegli occhiali da sole puntati verso di lui e provò un immediato disagio. Cercò di intrufolarsi tra un gruppo di signori intenti a chiacchierare, ma inciampò goffamente sui piedi di uno di loro e per poco non rotolò a terra. Marco allora si accorse che i ragazzi si erano alzati dal motorino e stavano muovendosi verso di lui, seppure ancora distanti. Pensò allora che era meglio allontanarsi da quella piazza e non scoprire se quelli ce l'avessero effettivamente con lui o meno. Si incamminò quindi con un certo panico verso un vicolo a pochi metri di distanza. Il gruppo di ragazzi dagli occhiali neri continuava a seguirlo a distanza. Marco accelerò il passo verso il vicolo, incurante della folla che gli sfilava intorno, pregando che quella sensazione di minaccia fosse solo una sua illusione. Aveva finalmente raggiunto il vicolo e stava per varcare la linea della sua ombra quando sentì una voce squillante chiamare il suo cognome.
Marco si arrestò istintivamente e si voltò.
Un signore che sostava dietro a un banchetto arrangiato alla bell'e meglio con due cavalletti e una tavola di truciolato tutta consumata gli faceva segno con una mano sorridendo. Teneva stretto sotto a un braccio un voluminoso pacco di volantini. Era un signore di mezza età, dai lunghi ricci brizzolati e dagli occhi cadenti.
"Marco!" - lo chiamò nuovamente.
"Liceo Alessandrini, Terza B!" - proseguì - "Andiamo, non mi riconosci? Sono Giovanni Scaroni!".
Marco per un momento rimase immobile, l'ansia per quel gruppo di ragazzi che lo seguivano era ancora forte e sentiva il cuore palpitare sotto la camicia sudata. Il sole gli batteva sulla fronte e si rese conto di essere tutto sudato sotto al vestito. Marco guardò l'uomo e poi i ragazzi dagli occhiali neri. Stavano a distanza e sembravano in attesa di capire cosa stesse succedendo.
"Scaroni! Ma certo!" - disse tornando sui suoi passi.
Giovanni Scaroni era stato suo compagno di classe per un breve periodo ai tempi del liceo. Dopo solo due anni infatti era stato (nuovamente) bocciato e si era trasferito verso un'altra scuola della città. Denunciò di essere stato bocciato per motivi politici e sollevò un polverone contro tutto il corpo docente. Aveva persino minacciato, spalleggiato dai suoi genitori, di portare il preside in tribunale, ma poi la questione scemò e non se ne seppe più nulla. Scaroni era effettivamente noto negli ambienti scolastici che frequentò nella sua (tortuosa) carriera scolastica per una accentuata vena polemica. Faceva parte di un gruppo politico radicale che faceva propaganda all'interno di diverse scuole e università sparse per tutto il paese. Infervorato da questa sua fede politica, attaccava spesso sia professori che compagni di classe accusandoli con le più svariate, e talvolta fantasiose, argomentazioni di essere complici del sistema capitalista e che un giorno una rivoluzione avrebbe spazzato via questo regime di oppressione e tutti i suoi lacchè. La sua visione politica era totalizzante e abbracciava qualsiasi manifestazione del creato. Ogni materia era per Scaroni argomento di aspra polemica, fosse esso letteratura, storia, geografia o matematica. Perfino la povera Bolsani, l'anziana insegnante di Arte, una minuta signora dal temperamento estremamente docile, non veniva risparmiata da tali j'accuse. L'arte per com'era concepita dal "sistema" secondo Scaroni, era anch'essa il prodotto del suddetto regime e la vera Arte, sempre secondo Scaroni, era quella espressione delle classi e dei popoli oppressi, che era andata nel corso dei secoli perduta e distrutta oppure veniva semplicemente censurata dai "servi del sistema". Tra questi veniva annoverata, suo malgrado, anche la povera Bolsani.
Malgrado non fossero stati grandi amici già tempi del liceo Marco e lo Scaroni si reincontrarono più volte anche dopo la rumorosa dipartita di quest'ultimo dal liceo Alessandrini. Entrambi infatti si trovarono a frequentare la stessa facoltà di ingegneria che sorgeva vicino al duomo, nel centro della città. Marco lo incontrava più dietro ai banchetti politici che dietro ai banchi delle lezioni. Passava davanti a quei banchetti tutti i giorni e qualche volta si fermava a salutarlo. Dopo i consueti saluti tuttavia Scaroni era solito appesantire lo zaino di Marco con volantini e documenti di propaganda, attaccando spesso un monologo sulla necessità di protestare per questa o quella ingiustizia e più in generale per liberare gli oppressi da quel sistema mondiale di sfruttamento. Marco più per volontà di evitare la polemica e la discussione che per effettivo interesse si prendeva tutti quei documenti senza fiatare e senza ribattere. A casa poi alcuni di quei documenti se li leggeva, tra un libro di analisi e uno di geometria, e rimaneva sempre affascinato da come questo materiale di propaganda rimanesse coerentemente immutato nel tempo senza mai subire segni di cambiamento o di ammodernamento non solo nei contenuti ma anche nel linguaggio. Gli anni passavano ma questi documenti sembravano non conoscere età. Poi un giorno Marco trovò dietro al consueto banchetto un altro ragazzo, uno con degli occhiali dalla pesante montatura e dalla barba incolta, e da allora in poi non vide più lo Scaroni nè in università nè altrove. Venne a sapere solo più tardi che aveva lasciato l'università per andare a lavorare nell'azienda locale dei trasporti pubblici, rinunciando così a diventare dottore e alla carriera da ingegnere. Da allora Marco smise di fermarsi al banchetto e di interessarsi alle sorti del "sistema" e alla rivoluzione che avrebbe liberato gli oppressi della terra.
Marco guardò il viso invecchiato di Scaroni e riconobbe lo stesso sguardo di una volta, un po' ingenuo ma confidente, e provò una piacevole sensazione di conforto. Non doveva essere cambiato molto per Scaroni - pensò Marco - non fosse per la spolverata di bianco sui riccioli (rimasti folti quanto ai tempi del liceo) e per l'abbondante adipe che lo avvolgeva in vita e che lo faceva apparire a mo' di ciambella. Marco pensò a tutti quegli anni, al liceo, all'università, al suo lavoro all'estero e poi al rientro e alla sua vita con Mara. Scaroni in tutto quel tempo era rimasto lì, con i suoi volantini, i suoi riccioli disordinati e i suoi banchetti arrrangiati male. Malgrado tutto era contento di incontrare il suo ex compagno di classe.
I due si diedero una vigorosa stretta di mano e si batterono le mani sulle spalle come farebbero due vecchi amici.
"Non sei cambiato per niente" - gli disse Scaroni.
"Anche tu vedo" - rispose Marco gettando un'occhiata al banchetto coperto di volantini e di documenti politici.
Scaroni sorrise.
"Sei qui per la manifestazione?" - gli chiese Scaroni.
"Veramente no, passavo di qui per caso, ho visto tutta questa gente e volevo dare un occhio..".
Si girò e vide di nuovo il gruppo di ragazzi con gli occhiali neri. Si erano fermati a distanza e continuavano a guardare verso di lui.
"Chi sono quelli?" - chiese Marco indicando con il pollice in modo da non essere visto da dietro le spalle.
Scaroni si sporse oltre la schiena di Marco e diede un'occhiata. Poi sorrise.
"Pensavo mi volessero inseguire o addirittura picchiare." - disse Marco.
"Ragazzi!" - esclamò Scaroni - "Gli bolle il sangue, che vuoi farci, sono giovani, come noi ai nostri tempi del resto..".
"Ma che gli ho fatto io?" - apostrofò Marco.
"Probabilmente niente, solo forse che il tuo abbigliamento, ecco..." - lo squadrò dalla testa ai piedi - "non sembri proprio 'uno di noi' ecco. Avranno pensato che sei un infiltrato o un agente in borghese. Lo fanno sempre, gli piace attaccare briga.".
"Io, un agente in borghese!" - Marco scoppiò in una risata.
Scaroni salutò i ragazzi con un cenno, questi risposero anche loro con un saluto. Marco si voltò e accennò anche lui un saluto con la mano, ma i ragazzi lo ignorarono e si voltarono dandogli le spalle e tornando verso i loro motorini.
I due da una parte all'altra del banchetto si raccontarono quindi le loro reciproche esperienze di vita dopo l'università. Marco raccontò della sua permanenza all'estero, del rientro e di Mara. Scaroni invece raccontò della sua carriera nel sindacato e all'interno dell'azienda. Era diventato rappresentante sindacale, si era sposato, aveva due figli e ora stava per diventare addirittura nonno.
Poi rimasero un attimo in silenzio e si guardarono intorno. L'uomo col megafono continuava a strillare producendo una serie di fastidiosi fischi. Alcuni signori dalle prime file inveirono contro di lui a maleparole. L'uomo col megafono rispose anche lui poco gentilmente ma coprendo il megafono con la mano in modo da non esser sentito dal resto della piazza.
"E adesso sfiliamo tutti in corteo fino in piazza del Duomo!" - urlò a conclusione del suo comizio l'uomo alla folla. Un timido applauso attraversò la piazza per pochi secondi.
I due si guardarono.
"Perchè non vieni con noi?" - Scaroni chiese a Marco.
"Grazie Giovanni ma lo sai, non son cose per me".
"Queste cose sono per tutti, non credere che non ti riguardino..".
"Lo so, lo so..." - sorrise bonariamente Marco.
"Prendi almeno questo" - scartò con l'indice il primo volantino dalla pigna che teneva sotto al braccio e lo porse a Marco.
NO ALLA RIFORMA DELL'ARTICOLO 18 - diceva a caratteri cubitali il titolo centrale.
Più sotto in piccolo ma sempre a grandi caratteri continuava :
LAVORATORI E STUDENTI UNITI NELLA LOTTA!
Marco guardò Scaroni e sorrise.
"Mi ha fatto piacere rivederti" - gli disse.
I due si batterono nuovamente le mani sulle spalle e Marco sentì male quando la mano corposa di Scaroni battè sulla sua scapola ossuta.
Marco si congedò mentre Scaroni tornava dietro al suo banchetto accendendo una sigaretta. Si incamminò verso il vicolo lasciando la folla alle sue spalle. Il rumore del megafono che gracchiava e i mormorii della gente si fecero sempre più radi fino a scomparire nel silenzio di quelle stradine ombrose. Marco si rigirava il volantino tra le mani. Sorrise e provò invidia per Scaroni e quel suo essere così irremovibile, per quella sua cocciuta perseveranza in una causa persa, sempre pronto a denunciare il mondo che lo circondava e mai disposto a cambiare. Scaroni che non avrebbe mai visto la sua rivoluzione. Gli oppressi sarebbero rimasti tali e così gli oppressori. Eppure lui era sempre lì, col suo banchetto e i suoi volantini, coi riccioli bianchi e la pancia rotonda, pronto a polemizzare col mondo. Marco si sentì rincuorato a sapere che in giro c'erano degli Scaroni, ma sapeva anche di non poter essere così, lui, che non aveva avuto nessuna certezza nella sua vita all'infuori del suo amore per Marta. Marta che era andata via a poco a poco e che adesso non c'era più.
Si fermò di nuovo al sole e per qualche secondo lasciò che i suoi raggi gli scaldassero ancora un po' il viso. Dopotutto - pensò - la vita continua.
1234
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
1 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- racconto scritto in maniera egregia, sincero, misurato. singolare la grande attenzione per i piccoli dettagli, cosa che non guasta mai. scrittura che risulta quasi sempre gradevole. ottimo, infine, lo sguardo all'attualità. "un incontro" è senz'altro un racconto che vale la pena leggere.
- grazie mille di aver letto il mio racconto e di averlo recensito Antonio. Sono commosso da tanta generosità! A presto, Mr W
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0