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Elezioni ad Aci Ruoti
Commara Lina aveva un maccaturo sulla testa sporco da settant'anni, che ogni cinque anni insaponava e sciacquava per renderlo profumato alle altre donne del paese. Donna di campagna e contadina, non era pratica della vita di città. Mai una volta al bar o alla villa, una messa ogni tanto, soprattutto quando ci si deve andare per stringere la mano. "Triste quella casa dove c'è la visita per il marito", pensava sempre.
Affianco a commara Lina c'era cugina Giuseppa, ma per tutti in paese era zia Seppa. Vedova da trent'anni e lavoratrice da sempre. Curava l'orto come fosse una bomboniera ricca di confetti, e ogni anno a coltivar pomodori, e a tirar su patate, e a preparare l'uva per il vino. In paese tutti la rispettavano, perché tutti ci parlavano male. "Da quand'è morta la buonanima del marito quella povera donna lavora il doppio", commentavano al bar di sopra; "ma se è per colpa sua che al marito gl'hanno messo la cravatta", commentavano al bar di sotto.
Eccola che è arrivata Franceschina, la figlia della postina. E dove si è andata a sedere, proprio vicino a commara Lina e a zia Seppa. Tutta attillata e tutta preparata, ogni occasione era buona per far vedere quanto valeva. Non c'è stato uomo che non abbia visto la sua mercanzia in paese, lo sanno tutti perché tutti lo negavano. Tremila anime in paese e tutti erano pii e devoti alla famiglia.
<<Guarda come mena il culo come 'na quaglia, se puttana non è, r' picca si sbaglia.>>, sussurrava commara Lina all'orecchio di zia Seppa.
<<Ca 'cchè. Se tutte foss'r cum' a quedda, sai quanta curnut' ci foss'r miezz' a la via.>>, ribatteva zia Seppa, attenta a non farsi sentire dalla nuova arrivata.
<<Eh... se tutti i curnut' purtass'r' nu lampion' sai che 'luminazione a Aci Ruoti!>>, a pensare a male si fa peccato, ma alla fine s'azzecca sempre.
La sala era piena. Adesso ci sono proprio tutti. Lu fruggiar' è arrivato con i due figli a tracolla e la moglie sottobraccio; lu furnar' con le sigarette sempre accese e la voce lasciata ai quarant'anni; il bidello della scuola, quello giovane, quello che si è pigliato quella di Aci Avigliano che fa la brava moglie a casa: come li fa lei gli strascinat' non li fa nessuno, ma a riempire una culla non è mestiere suo. C'era pure zi Cicc', seduto lontano, ma non è che ci sentiva proprio bene, che se gli chiedi che ore sono ti risponde: "Tutt'appost', e tu?". Lui anzi ci vedeva benissimo, e avendo visto il fratello in prima fila ha pensato che là stava bene, così che al bar dicono che tanto non si menano per mancanza di tempo, da quando si sono sciarrati per le terre del padre.
La platea sembrava pronta, tutti che stavano mormorando. Tutti aspettavano il Presidente, ma il Presidente ancora non era arrivato. Quest'anno, la lista civica "Aci Ruoti nella testa" ha pensato di fare le cose in grande per vincere contro la famiglia Carancelli. L'ultima volta aveva perso per pochi voti, tutta colpa di quelli della terza lista che tanto hanno fatto che alla fine hanno regalato tutti i loro voti alla lista del sindaco, in cambio dell'asfalto nuovo e di due lampioni davanti casa. La penultima volta si erano presentati sotto il nome "Uniti con Aci Ruoti", tanto uniti che alla fine il candidato sindaco, quello che aveva un'azienda di calcestruzzo che stava per fallire, quello che un mese prima delle elezioni ha vinto un bando per rifare tre palazzi in paese, poi si è dimenticato di presentarsi nell'ultimo giorno di comizio.
Questa volta però le liste erano due e forse forse ci scappava pure la vittoria. Dalla penultima votazione è successo che il vecchio sindaco ci ha lasciati, dall'ultima che al suo posto lo ha sostituito il fratello. Era nella lista più forte, insieme all'altro fratello, quello basso, quello che da giovane andava a vendere le uova in provincia e adesso c'aveva tante case in paese. Adesso non più, perché è morto anche lui, e il sindaco non ha più fratelli. Cioè, ne ha altri due, però quello zoppo non lo parla, e all'ultima elezione si è candidato da solo, senza familiari, solo la moglie che se non era per lei manco quei quattro voti prendeva. Che poi, sai come succede tra fratelli, più sono in tanti a mangiare sotto lo stesso tetto e più è solo uno che mangia per tutti, e gli altri si arrabbiano, la famiglia si rompe, ma poi alla fine si fa sempre pace.
Poi c'è l'altro fratello, che non conta, cioè conta ma come tutti gli altri, perché lui in politica non si mai messo e quindi conta poco, come tutti gli altri.
Aspetta e aspetta ma il Presidente ancora non si vedeva. Commara Lina e zia Seppa sempre in prima fila. Non avevano mai visto un Presidente e non sapevano che faccia c'aveva. Non poteva essere come gli altri perché se no non faceva il Presidente, sarà forse in giacca e cravatta, ma non come quella di zi Michele, che sappiamo tutti come si è fatto ricco lui, a incravattare i poveri cristi, tanto che lo chiamavano cravattaro, prima che lo mettessero dentro, e adesso lo vanno chiamando collaboratore di giustizia.
Ecco ecco che entrava nella sala anche don Gaetano, sotto lo sguardo fedele delle tante vecchierelle. Il prete del paese, quattro chiese ci sono e tutte le sue. Non che se l'è comprate, ma le apre quando vuole, confessa quando vuole, accende i riscaldamenti quando vuole, che quando arriva Natale la gente non si stringe la mano perché fa più caldo a tenerle in tasca.
<<La fame fa uscire il lupo dalla tana.>> aveva detto commara Lina, guardando zi' prete. <<Lo sai che ha detto l'altra volta in chiesa, che quest'anno la processione di San Rocco>>, <<facci la grazia>> si sentiva la lontano, <<non può passare per il paese vecchio, che le scale so' tutte rotte e vuole che il nuovo sindaco deve rifare i lavori.>>
<<Ca 'cchè. La zappa la pot' piglia' pur' idd, a mbasta' la cauce nun g' vol'assai. È ca mang' ten' genij r' fatica'. Nu' l'n'gozza la fati'a.>> aveva risposto zia Seppa, forte della sua vita da gran lavoratrice.
<<Ca cché. Se la fati'a era bona la facienn' i can'.>>, anche zi Pas'cale aveva detto la sua. Sessant'anni da muratore e lui sapeva che vuol dire impastare la calce.
Il rumore di una porta che si apriva e tutta la platea arranzava a guardare oltre la finestra. Una macchina grossa e grigia si era parcheggiata nel parcheggio del vecchio asilo delle suore. Un uomo in giacca e cravatta era uscito dalla portiera e si avvicinava al candidato sindaco. Gli aveva stretto la mano e insieme erano entrati in sala. Nessuno si presentava, perché in paese tutti si sanno. Tutti si andavano a sedere dietro il bancone preparato con i microfoni, le bottiglie d'acqua, i bicchieri e tanti manifesti colorati con il castello del paese in bella mostra. Che poi non era nemmeno un castello, è stato solo uno dei tanti palazzi di una vecchia famiglia feudataria che abitava anche ad Aci Ruoti, ma per tutti era il castello.
Dalla platea ognuno faceva i suoi commenti. In paese tutti conoscono tutti, perché tutti parlano di tutti, anche se non si conoscono. Così mastro Felice in terza fila commentava la giacca e cravatta del candidato Paolo: <<nu puorc' ngravattat' semb' puorc' resta>>, forse ancora non gli era passata la rabbia di quando, da giovane, lo aveva investito con la macchina e pagato quattro lire di assicurazione, che oggi se non correva con i nipotini era per colpa di quella gamba di legno attaccata al corpo. Mastro Felice, però, era comunque contento di votare quella lista, perché c'era candidato Nunzio, che gli aveva già promesso di fargli avere il permesso dal comune per allargare il proprio orto su quello del vicino, poverino, lui sì che era senza candidati. Zi Rocco, seduto vicino alla finestra con i suoi ottant'anni, era presente perché candidato Nicola si era preso sua nipote tre anni prima, quindi gli era parente, ma mica gli andava a genio di avere in famiglia uno che non aveva un lavoro e che viveva sulle spalle dei genitori, che si erano fatti la schiena così per dargli terre, case e soldi in banca. "Povera Mariuccia mia!", pensava mentre se ne stava seduto con i compari del bar, che aveva invitato perché dovevano dare il voto al genero, e a quelli, che non avevano nessun parente politico, stava bene, tanto una croce sul foglio dovevano mettere.
Tra tutti i candidati quello che era vestito meglio era Mingo, perché sapeva come ci si doveva vestire in quelle occasioni, lui che era stato candidato tante volte, e qualcuna l'aveva pure vinta. Era una novità vederlo con quegli altri candidati, tutti giovani e vergini, lui che per tanti anni era stato vicino al sindaco, al fratello e all'altro fratello ancora. Però si sa come funziona in Comune, quando sono in tanti a dover mangiare dalle stesse mani succede che prima o poi qualcuno si lamenta e inizia a chiedere sempre di più, e se il sindaco non può o non vuole, allora si sciarra e da amici si diventa nemici. Così Mingo si era fatto una lista da solo, ma siccome nessuno lo votava dopo il fatto della banca, allora si era rimesso con i Carancelli, che per vent'anni si sono scambiati le poltrone comunali come le carte a tressette. E adesso che aveva fiutato un nuovo osso, i Carancelli erano tornati ad essere i suoi nemici. Tutti in paese non lo potevano vedere, ma tutti si facevano offrire il caffè con piacere, soprattutto ora che ci erano le elezioni e che Mingo poteva promettere un posto alla FIAT di qua, uno alla Regione di là, uno all'Acquedotto di qui e uno alla scuola di lì. Dopo il fatto della banca però aveva perso molti consensi e molti posti di lavoro erano rimasti vacanti.
Già, anche ad Aci Ruoti c'era una banca, però in paese si mormorava che era fallita perché il suo direttore, Mingo, si fotteva i soldi, e così nessuno andava a metterci i soldi da lui, perché chi ruba una volta è sempre ladro.
Mentre la folla faceva i suoi commenti sui porci incravattati, il candidato sindaco prendeva la parola per presentare la lista. Quattro frasi imparate a memoria, giusto per fare effetto sui presenti, giusto per fargli capire che dalle ultime elezioni, anche se non aveva più messo piede e non si ricordava perché ci fosse quella nuova statua all'ingresso del paese, lui i problemi di Aci Ruoti li conosceva veramente. Poi la parola era passata al Presidente e tutti i presenti in sala erano scesi in silenzio, le vecchiette avevano appizzato la vista e le orecchie pronte a riferire alle assenti quello che il fur'stier' aveva detto. E così aveva parlato:
<<Buongiorno a tutti... grazie per avermi 'spitato e per questo vi ringrazio volendieri... Mi sono messo alla sinistra del candidato sindaco non per scavalcarlo come spesso succede, p' l'amor r' ddio... ma perché noi abbiamo una tradizione moderata in gomune, che ci mette nelle condizioni anghe geometriche... di guardare la platea... con grande equidistanza, rivolgendoci alla destra e rivolgendoci alla sinistra, perché la nostra strada è sembre il davanti che non abbiamo mai dimendicato e che ngi ha rappresendati in guesti anni, per il bene solo e soltando di tutta la cumun'tà di Aci Ruoti. Io oggi sono qui con molto piacere perché mi hanno 'nv'tato questi giovani che vedete alle mie spalle, che hanno speso parole ingoraggianti e di sostegno, anghe con molta spontaneità e per questo li ringrazio... io sono qui, dicevo, perché a me... mi piace... la politica dei fatti... e dopo tanti anni di imbegno politico alla Regione, dove sono stato... ed è nostro dovere... il conzigliere con più partecipazioni nella sala assembleare... la politica dei fatti, dicevo, che è anghe realizzazione degli stessi.>>, un applauso spontaneo, fatto partire dal candidato sindaco, aveva sconvolto l'intera sala, che nemmeno le partite della domenica, al campo giù in paese.
<<Hai vist', zia Seppa, lu Pr's'rend'è un'bbuon'. Hai vist' cum parla bene, come sta dritto, non c'ha la gobba come zi G'seppe lu fal'gnam'.>> aveva commentato commara Lina, alle prime parole del vecchio barone.
<<Ca 'cchè. Chi fati'a ten' la gobba, chi mang fati'a ten' la robba.>>, aveva risposto zia Seppa.
<<Io vi voglio dire subito una cosa, cari aciruotesi, che il candidato sindaco alla mia sinistra>> una risata aveva sconvolto la platea, e il Presidente si trovava in imbarazzo <<il candidato sindaco è un uomo per bene e un ottimo amministratore.>>
<<Nel paese dei ladri sono tutti galantuomini.>> aveva sussurrato uno in fondo alla sala, raccogliendo consenso.
<<Perché il perfetto amministratore>> continuava il vecchio barone <<non è colui.. il quale... ipotizza... scenari immateriali... perché la politica non è soltando un aspetto... attraverso il quale... la persona... si realizza dal pundo r' vista materiale... perché la politica cum sapit' r' megl'r' me, va fatta con le mani pulite!>>, le ultime parole urlate del Presidente avevano ricevuto un fortissimo applauso. <<E per questo, bisogna cambiare strada e amministratori al più presto possibile!>>, altre urla di gioia. <<Perché la famiglia Carangelli... ormai... non è più in grado... e mai lo è stata... di amministrare questo splendido paese!>>. Giubilo, festa, grida, applausi e schiamazzi dalle file di dietro.
Zia Seppa e commara Lina commentavano sottovoce, mentre Francesca al loro fianco, che lo sanno tutti, così bella e così giovane ma è ancora senza uno stipendio, si preoccupava di far notare la lunga coscia al candidato Pietro, davanti a lei.
Così tra un commento e un applauso il Presidente aveva avuto il tempo di sorseggiare un po' di acqua fresca della fontana del paese. Poi era ripartito.
<<Cari paesani, guardate, io non sono qua per dire quelle solite quattro fesserie bonarie che si dicono soltando durand'la fase r' la cambagn' elettorale. Io sono venuto a parlarvi anghe dei fatti, e di questo non me ne vergogno. Non so se vi siete mai domandati da quanto tempo la strada che sta in periferia, quella sopra il muraglione della Marana è ridotta in quello stato. Cosa ha fatto l'amministrazione comunale per riparare quella voraggine? Ha spostato il gardrai più avanti mentre l'asfalto sotto continua a cedere. Ma mi chiedo io: è un modo questo di gestire la comunità?>>, enfasi nelle sue parole, sapeva di toccare un nervo scoperto. <<È un modo questo di presentare il paese agli sconosciuti, mi chiedo io? Si sono lamentati che quella strada è di combetenza della provingia o addirittura dello Stato, ma non sono loro quelli che si vantavano di avere amicizie ovunque, che potevano sistemare amici, familiari e parenti dove volevano? E mi chiedo io: co' tande amicizie che c'hanno non conoscono proprio nessuno alla Provingia o alla Regione, che poteva dargli una mano a sistemare quella strada?>>, consensi unanimi.
Commara Lina sembrava d'accordo. <<È ver'. La figlia r' lu tubbista l'hanno piazzata a fatica' all'Acquedotto dopo che l'anno scorso il padre aveva aggiustato tutte le ville dei Carancelli, senza chiedere manco la fattura>>.
<<Per non parlare poi di come sono ridotte le strade in questo splendido paese. Non c'è una contrada una che abbia l'asfalto decente. E mi è arrivata all'orecchio una notizia, che... sicuramente... voi conoscete r' megl'r' me. Si sono sempre lamentati di non aver mai soldi abbastanza in comune... tutti i fratelli... per vent'anni... però poi mi devono spiegare a me... come fanno a pagare c-e-n-t-o-m-i-l-a-e-u-r-o all'anno all'avvocato del Comune!>>
<<È vero, è una vergona!>>
<<Sono dei ladri!>>
<<Vigliacchi, con i soldi nostri!>>
<<Vanno a regalare soldi ai fur'stieri!>>
Il malcontento era comune. E se si chiedevano in giro altre notizie su come si spendevano i soldi del comune, c'era sempre qualcuno che ne sapeva una nuova. Dai lavori per rifare le illuminazioni solo davanti alle case degli amici del sindaco, agli appalti regalati al vicesindaco, quello che aveva un'azienda di costruzioni, quello che per tanti anni non aveva mai salutato i Carancelli, e però da quando sua figlia aveva perso il marito in un incidente stradale non sapeva come sfamare i nipotini, così aveva chiesto un aiuto al sindaco, che gli aveva consigliato di mettersi in lista con lui alle prossime elezioni, perché aveva una grande e bella famiglia, ed era un peccato che tutti quei voti andavano dispersi.
<<Questa famiglia... cari aciruotesi... e concludo... gestisce questo paese da ormai così tanti anni, che si è persa la memoria del capostipite di questa famiglia.>>, un sorriso ammiccante del Presidente era riservato al candidato sindaco. <<Questa famiglia, consentitemi di dire, gestisce il paese come se fosse un feudo medievale, dando favori a destra e a sinistra in gambio di voti, regalando posti di lavoro ai propri amici e familiari, distruggendo ogni buon pringipio di buona governalità tramandato da anni e anni di progresso della storia!>>
<<Hai visto, zia Seppa, conosce pure la storia... Bravo!>>, commara Lina ormai esultava, mentre la sua vicina di sedia rimaneva immobile ad ascoltare.
<<Questa famiglia deve capire che Aci Ruoti non è più il suo paese, ma è il paese di tutti! E tutti devono avere la possibilità di governarlo al meglio e nella migliore intenzione del benessere collettivo... vabbuo'.>>, altri applausi e altre urla di giubilo. La platea, ormai si stava trasformando in un unico abbraccio, che manco la domenica di Pasqua. <<Io ricordo, quanto ero giovane, che questo paesino aveva un sacco di belle fontane sparse per tutto il paese, tanto che lo soprannominavamo "il paese delle fontane"... bene... adesso dove sono? Ci sono ancora, certo, ma in che condizioni stanno? Sono ancora un'attrazione turistica per gli stranieri? Scommetto che molti giovani non sanno mango dove si trovano tutte queste fontane, perché si è persa... la volondà... di ricordare... la memoria e la tradizione storica di questo paese, che anni di governo familiare e personalistico hanno rovinato! Ma dico io, se non si valorizza mango il territorio ndo' stai, figurati che cosa si può fare inoltre! Per non parlare del cendro storico, che dagli anni del terremoto dell'ottanda, come era accussì è. Le case sono angora distrutte, la popolazione si sta spostando nelle cambagne, e i soldi che sono stati inviati dallo Stato e dalla Regione ndo' so' f'r'nut?>>, ancora applausi.
<<È ver', zia Caterina prima stava n'gap' lu pont' e mo s'è dovuta spostare con tutta la famiglia fora. I figli poi si so' spusat' e se ne so andati in provingia e quella casa mo è angora accussì, senza tetto e senza pav'ment'.>>, commara Lina era sempre aggiornata sui movimenti delle paesane.
<<Ca 'cchè. Tu mo nun sai che è success'.>>, le aveva risposto zia Seppa. <<A lu frat r' zia Caterina, che mo sta a Ferrara in Lombardia vicino Torino, è arrivata 'na lettera dal Comune, che devono aggiustare la casa e vogliono sapere a chi intestarla, visto che la buon'anima è morta nel terremoto. Quel fratello mo è turnat' e vol'idd la casa, mang l'è bbastat' pigliars' tutt r' terr' for'. Curnut'.>>, anche zia Seppa aveva i suoi costanti aggiornamenti, che la gente si chiedeva sempre come faceva a sapere tutte quelle cose se in paese non ci metteva mai piede.
<<Concludo: come pretendete che delle persone... che hanno... distrutto una famiglia, possano governare un intero paese! Se tra di loro, i fratelli, non si parlano, come potete pretendere che parlino con il cittadino? Sono venuto a sapere di famiglie, che hanno divorziato perché il marito appoggiava una lista, nella quale s'era candidato il fratello, mentre la moglie appoggiava il sindaco perché era sua nipote! Oltre a distruggere la loro... di famiglia... distruggono... pure quella degli altri!>>, la storia di Roberta e Alessandro ormai la mormoravano tutti al bar, e non era strano che era arrivata pure alle orecchie del Presidente quella mattina. <<Allora vi chiedo: la cambiamo questa volta l'amministrazione o no? Scegliamo di cambiare la strada oppure continuiamo a farci del male? Grazie!>>
E con quel ringraziamento, il Presidente venuto dalla provincia aveva salutato tutti i candidati e si era avvicinato alla porta, per tornare agli affari suoi. E mentre la sala si svuotava lentamente, commara Lina aveva chiesto alla cugina:
<<Eh zia Seppa che dici, la cambiamo la strada a'uann'?>>
<<Ca 'cché. Chi cagna la via vecchia p' la via nova, sap' quidd'ca lassa e nun'sap quidd ca trova.>>
<<È ver' è ver', zia Seppa mija.>>, aveva concluso cugina 'Ngurunata dietro di lei. <<Francia o Spagna, basta ca s' magna.>>
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