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Terra inospitale
Il Mondo percorreva il suo irregolare tragitto nello spazio sidereo. Le due stelle brillavano splendenti nel cielo, prossime allo zenit. Nabi, il lontano astro principale del sistema binario, irradiava impassibile la sua abbacinante luminosità bianco giallastra. L'assai più prossimo Evon, intorno al quale il Mondo orbitava, donava al pianeta un più gentile ed evanescente chiarore aranciato. Insieme, i due ardenti corpi celesti provocavano spettacolari e a volte perfino impressionanti giochi di luci e ombre.
Nella fascia abitabile boreale era una giornata già abbastanza calda, intorno ai centotrenta gradi, ma nel primo pomeriggio la temperatura sarebbe di certo salita. Benché fosse esteticamente assai fascinoso, il Mondo era una terra inospitale, troppo arida, desolata e inclemente per permettere perfino alla civiltà dominante di mantenere una popolazione numerosa. In tutte le immense pianure che si dipartivano dalle poderose ed elevatissime catene montuose nord occidentali vivevano, difatti, poche migliaia di individui, appartenenti ormai ad appena sei clan familiari. Eppure si trattava dei luoghi di gran lunga più fertili del pianeta.
Jamiel era il più giovane maschio adulto degli Astar, uno dei due clan più prestigiosi superstiti. Percorreva la vallata laterale mano nella mano con Zais, la sua adorata compagna, risalendo il corso del rombante fiume di zolfo. Jamiel amava profondamente Zais ed era felice di unirsi in matrimonio con lei. La cerimonia era programmata al centro del vasto cratere meteoritico posto ai piedi del massiccio montuoso più elevato. L'evento si sarebbe però verificato assai più avanti nel corso di quella lunghissima giornata, allorquando Evon avrebbe eclissato Nabi. Prima di iniziare i preparativi del gioioso evento, le famiglie avevano quindi concesso agli sposini il tempo necessario per approfondire la reciproca conoscenza.
Jamiel sperava di tutto cuore che Zais rimanesse soddisfatta del rendezvous, perché se al termine di esso l'avesse per qualsiasi motivo respinto, com'era ancora nei suoi diritti, sarebbe rimasto scapolo per un intero altro interminabile anno e non credeva che nel corso della triste attesa avrebbe individuato una degna sostituta. Non credeva anzi nemmeno di volerla, una sostituta. Fin da quando l'aveva incontrata per la prima volta, tanto tempo prima, per Jamiel esisteva solo la bella e dolce Zais. Non era però preoccupato dei suoi sentimenti, perché era convinto di essere pienamente ricambiato. Sentiva che tutto sarebbe andato bene e che sarebbero rimasti per sempre insieme.
Inerpicandosi sul terreno pietroso, dalla pendenza in progressivo aumento, Jamiel cominciò a sudare. Propose allora di cercare un po' di refrigerio e si diresse verso un boschetto di mantravie, le cui enormi foglie carnose espellevano una sostanza gassosa che favoriva un moderato calo della temperatura circostante. Sarebbe stato il luogo ideale per appartarsi.
Si arrampicarono a passo tranquillo verso il boschetto in cima a un cocuzzolo, lo sguardo dell'uno perso in quello dell'altra, totalmente dimentichi del panorama circostante. Eppure sotto i loro occhi si apriva un magnifico spettacolo, impressionante nella sua primigenia bellezza, formato da ardite concrezioni rocciose scolpite dal vento, da vulcani in eruzione, da fontane di vapori ardenti, da scintillanti piogge di acido solforico e da quegli incredibili picchi lontani, così elevati che le cime si perdevano invisibili nel cielo verde. Due geyser in particolare davano fantasmagorica mostra di sé subito alla loro destra, scagliando getti di fosforescenti gas multicolori a enormi altezze, con strabilianti effetti ottici.
Ah, se solo la natura avesse offerto nutrimento e protezione con altrettanta generosità. Invece gli abitanti di Mondo si stavano lentamente estinguendo, sia a causa della penuria di cibo, sia per via delle ricorrenti e spaventose "dislocazioni istantanee". Era questo un fenomeno che nemmeno gli scienziati filosofi di Mondo riuscivano a comprendere. Accompagnata da apparizioni misteriose e apocalittiche, la dislocazione istantanea causava la morte dell'innocente vittima di turno. Poteva colpire chiunque in qualsiasi momento e non offriva scampo alcuno. Per fortuna non era un evento frequente, altrimenti gli Evonsvert, cioè i Figli di Evon, come questi esseri pacifici definivano se stessi, benché longevi sarebbero già scomparsi da tempo.
Giunti finalmente all'ombra delle mantravie, Jamiel e Zais si abbandonarono sereni ai riti di corteggiamento e infine si strinsero nel caldo amplesso del reciproco consenso. Jamiel non stava più nella pelle dalla felicità: Zais l'aveva formalmente accettato! Era dunque tempo di tornare in seno alle rispettive famiglie, in attesa di ritrovarsi al cratere sacro per la cerimonia ufficiale.
Luca Carbone s'inerpicava lungo un impervio sentiero sterrato, con lo zaino sulle spalle e una gabbietta tra le mani, trascinandosi dietro la riottosa moglie Emma. Avevano entrambi un fisico minuto e grassoccio, tuttavia camminavano di buona lena, almeno per quanto glielo permettevano le storte gambette di lei. Davanti a loro, a circa un chilometro di distanza, si ergeva un castello diroccato ma ancora imponente.
Il giorno successivo Luca avrebbe compiuto cinquantasette anni ed era ben deciso a festeggiare il compleanno in maniera utile. Da quando aveva perso il lavoro e aveva visto la pensione divenire un miraggio, trasformandolo in uno di coloro che i media definivano esodati, la preoccupazione per la mancanza di un futuro sereno non lo lasciava dormire. Vedeva il suo magro conto in banca assottigliarsi ogni giorno di più e riversava ogni responsabilità sul governo tecnico. Senza più uno stipendio su cui contare, non avrebbe tirato avanti a lungo. Per un poco aveva pazientato, sperando in un ripensamento dei ministri, ma ormai era stufo marcio di tirare la cinghia, conscio com'era di dover vivere nelle ristrettezze ancora per molti anni, e aveva optato per una soluzione radicale.
"Non mi piace ciò che intendi compiere, Luca." - Brontolò Emma in un momento di pausa dall'arrampicata - "Tu così sfidi il Signore e il Signore ci punirà."
"Finiscila di fare la menagramo, accidenti a te. - Rispose inviperito lui. - "Non vedi che Dio ci ha abbandonato? Io non ne posso più."
"Eppure ciò che stiamo facendo è proibito e profondamente immorale. Ci farà cadere in peccato mortale, non dovremmo farlo, sento che stiamo commettendo un tragico errore. Io sento che..."
"E basta! Piantala una buona volta, non voglio sentire una parola di più."
Erano con l'acqua alla gola e sua moglie si preoccupava di questioni morali, meditò irritato. Come si può essere così stupidi? Aspettava però il giorno in cui si sarebbero trovati in mezzo alla strada, sfrattati perché non più in grado di pagare l'affitto, per vedere cosa ne avrebbe detto.
Senza più rivolgersi la parola procedettero fino a giungere dinanzi ai bastioni esterni, in cima al colle. Da quel luogo isolato si godeva un panorama magnifico. In primo piano il vecchio borghetto medioevale, coi suoi vicoli contorti, abbarbicato alle pendici iniziali del rilievo; più lungi il paese moderno, dalle vie rettilinee, steso lungo la stretta vallata sottostante; tutto intorno verdi collinette boscose a perdita d'occhio, interrotte, verso sud, dalle placide acque di una vasto bacino artificiale.
Molti miti riempivano di una fama sinistra l'antico maniero in rovina. Era quello l'ambiente giusto per ciò che aveva in mente, ne era convinto. Rivolse lo sguardo al cielo azzurro. Il sole era ormai prossimo al tramonto. Prese lo zaino e ne estrasse la lampada alogena. Notò quindi l'espressione della moglie, assai corrucciata. Sospirò avvilito. Mancava ancora parecchio alla mezzanotte, l'attesa sarebbe stata lunga.
Il momento era giunto. I clan si erano riuniti al centro dell'antico cratere meteoritico ed Evon era ormai prossimo a oscurare Nabi. La cerimonia nuziale stava per iniziare. Proprio come avevano predetto gli scienziati filosofi, l'abbacinante disco bianco giallastro della stella principale iniziò a restringersi e nell'ampia cavità naturale del pianeta sottostante la luce si affievolì, accentuando i riflessi aranciati.
Otto copie si erano presentate per il sacro rito annuale e provenivano da tutte le regioni circostanti. Otto copie che avevano pazientemente atteso, per i seicento lunghi giorni di quarantadue ore da cui l'anno del Mondo era formato, di unire per sempre le loro vite, in quello che era l'evento, sia collettivo sia privato, più importante della loro società. Tra i sedici innamorati c'erano sia diversi altri membri degli Astar sia parecchi componenti dei Beelf, i due clan più importanti e numericamente consistenti delle vaste terre nord occidentali. Tuttavia erano presenti anche esponenti dei clan minori, tra cui la stessa Zais. D'altronde, una rigida consuetudine esigeva che gli appartenenti al medesimo gruppo familiare non si unissero mai tra loro in matrimonio.
Quel giorno naturalmente gli sposi non erano soli. Erano, infatti, giunti i parenti più stretti e moltissimi amici, perché quel prezioso momento di comunione doveva essere condiviso tra chiunque gli volesse bene.
Il sacerdote chiese se erano pronti per iniziare e tutti diedero il proprio assenso. E quando finalmente arrivò il turno di Jamiel e Zais, lui le prese la mano col sorriso sulle labbra e s'inginocchiò dinanzi al sacerdote officiante.
Luca ed Emma Carbone si trovavano nel vecchio salone centrale del maschio. L'orologio da polso indicava un quarto a mezzanotte, dunque il momento era giunto. Emma guardò il marito con aria implorante.
"Sei davvero sicuro di volerlo fare, Luca? Siamo ancora in tempo a rinunciare."
"Certo che sono sicuro, ma il testo insiste che bisogna agire almeno in due. Mi aiuterai, vero?"
"Sì, va bene." Rispose lei, piegando il capo rassegnata.
Nonostante tutto lo amava ancora e non se la sentiva di rifiutargli il suo aiuto.
"Forza allora, è inutile perdere altro tempo." Concluse soddisfatto il marito, estraendo un coltellaccio dallo zaino.
Tirò quindi fuori il galletto dalla gabbia e lo sgozzò, pronunciando la breve espressione cabalistica di rito. Terminata quindi l'operazione, consegnò il cadavere del pennuto alla moglie, che lo prese con aria schifata, e cercò di concentrarsi. Non aveva bisogno di leggere. Da quando, rovistando nella fornitissima biblioteca esoterica del padre, aveva scovato l'antico manuale di occultismo, aveva imparato a memoria parecchie formule, compresa quella che gli sarebbe servita nell'occasione.
Cominciò dunque a recitare ad alta voce gli incantesimi, le mani sollevate sopra la propria testa e giunte al contrario, unite cioè per i dorsi, mentre Emma, accovacciata sul pavimento, col sangue del povero pennuto tracciava intorno a sé e al marito il pentagono magico protettivo, ripetendo parola per parola la litania.
Terminata, a mezzanotte in punto, l'ultima frase dell'evocazione, la parete di fronte parve aprirsi in un lampo di luce arancione, un paesaggio desolato e fiammeggiante ondeggiò sullo sfondo e il demonio apparve in tutto il suo fulgore, in un terribile tanfo di zolfo. Col quel suo feroce ghigno distorto, i due metri e passa di statura, l'acuminato paio di corna sopra la fronte, le monche ali da pipistrello, la coda biforcuta e le robuste gambe caprine, era esattamente come se l'erano raffigurato. Alle sue spalle altre demoniache figure s'intravedevano evanescenti sullo sfondo.
"Oh potenza delle tenebre, aiutami tu, io ti vendo la mia anima, in cambio della ricchezza e di una vita ancora lunga, in cui io e mia moglie si possa godere di buona salute, di tutti gli agi e di ogni piacere." Implorò tremando Luca Carbone.
Il diavolo lo guardò con un aria che stranamente ai coniugi parve quasi sconvolta e gridò il proprio nome, Astaroth, insieme ad alcune frasi incomprensibili, ma che i due vollero interpretare come una forma di assenso. Poi il Maligno parve esplodere e scomparve in un boato.
Luca ed Emma si prostrarono a terra, terrorizzati ed eccitati a un tempo, finché l'apocalittica immagine non fu del tutto scomparsa. Il patto col diavolo. Quando Luca aveva deciso di tentare il rito di evocazione, non era stato sicuro di crederci veramente. Non avrebbe nemmeno saputo dire fino a che punto lo volesse davvero. Sapeva solo di essere disperato e di dover tentare il tutto per tutto. E ora c'era riuscito e la sua anima era perduta. Astaroth in persona, uno dei principi delle tenebre, cioè uno dei più temibili e potenti demoni dell'inferno, era venuto per avocarla a sé, accettando il patto. Marito e moglie si sorrisero timidamente. Presto, ne erano convinti, ricchezza e benessere sarebbero arrivati e a quanto sarebbe accaduto dopo la morte ci avrebbero pensato soltanto sul momento.
Jamiel gridava e chiamava disperato la compagna. Oh noo, Zais, noo. Si erano appena sposati, sognavano un lungo e meraviglioso futuro insieme e invece il destino li aveva già separati? Possibile che la loro fosse stata la più breve unione della storia di Mondo? Possibile? Non riusciva a crederci. Perché doveva accadere proprio a loro? Perché proprio lei era dovuta perire? Cosa aveva fatto di male per meritarselo? Cosa avevano fatto di male entrambi per essere separati per sempre? No, Jamiel proprio non capiva. E non poteva accettare una simile ingiustizia.
La sua cara, dolce Zais aveva appena pronunciato le frasi di rito, unendo la propria anima con quella di lui. Entrambi avevano quindi assunto il loro consueto nuovo cognome da sposati, derivato dalla fusione degli originali cognomi di appartenenza, iniziando naturalmente con quello degli Astar di Jamiel, il clan familiare più importante, e concludendo con quello dei Roth, il gruppo minore cui apparteneva Zais. Si erano quindi sciolti dall'abbraccio, dopo aver incrociato per la prima volta le corna, appena sintonizzate dal rito di unione felicemente conclusosi. Erano quindi pronti a iniziare i festeggiamenti, quando una dislocazione istantanea apertasi al centro del cratere aveva catturato la giovane Zais Astarroth. E Jamiel Astarroth sapeva fin troppo bene che non si poteva sfuggire alle dislocazioni.
Così ora lei era morta, senza rimedio. Non avrebbe mai più visto il suo sorriso, non l'avrebbe mai più stretta tra le braccia, non avrebbe mai più accarezzato i suoi graziosi cornetti, tanto sensuali. L'aveva perduta per sempre. Tutta colpa di due orribili e crudeli demoni, esattamente identici alle bieche figure tramandate dalla tradizione. Bassi di statura, la pelle bianchiccia seminascosta da misteriosi tessuti, privi di ali, corna e coda ma col capo ricoperto di pelo, gli zoccoli anomali, erano apparsi nel buio e l'avevano ghermita e uccisa, annichilendola in una terribile esplosione.
Jamiel Astarroth non poteva sopportare il pensiero di vivere per sempre senza di lei. Rivolse una disperata invocazione al cielo, sciogliendosi in lacrime, e poi fuggì dal fondo del cratere, senza che nessuno facesse in tempo a impedirglielo. Parenti, amici e lo stesso Satan, così era chiamato ciascun esponente della settima casta a parte, quella sacerdotale, cercarono invano di fermarlo. Jamiel risalì di corsa le pendici e, giunto in cima, si affacciò su una sporgenza per poi gettarsi nel vuoto, schiantandosi centinaia di metri più sotto.
In un diverso luogo, uno strano altrove a un tempo prossimo e lontanissimo, un magnifico e sfavillante essere alato raggiunse in volo un compagno, non meno splendido e angelico di lui. Quello in cui si trovavano era un posto rigoglioso, bellissimo e incantevole, un autentico Paradiso.
"È accaduto di nuovo." - Esclamò il primo dei due esseri, esprimendosi nella propria lingua senza bisogno di far fuoriuscire suoni dalle labbra. - "Due umani hanno aperto un altro varco tra il loro universo parallelo e quello successivo."
"Hai provveduto a richiuderlo?" Chiese il secondo, con apprensione.
"Naturalmente. Sono però intervenuto troppo tardi e non ho fatto in tempo a salvare uno degli Evonsvert."
"È sempre così, purtroppo. Questi tre universi sono contigui e il pianeta che i suoi abitanti chiamano Terra ha dei punti di risonanza con entrambi i nostri due mondi."
"Eh sì, lo so, ahimè, lo so. Con le loro singolari idee teologiche gli esseri umani continuano a causare scompensi. Noi siamo in grado di evitare danni seri alla nostra realtà, ma dall'altra parte..."
"Abbiamo cercato di farglielo capire in tutte le maniere, che con quell'altro universo è bene non aver nulla a che fare, ma non è servito neppure inculcargli la paura di quei luoghi come tangibile rappresentazione del loro Inferno e non riesco a comprenderne il perché."
"Io sì, invece. Accade perché gli uomini sono testardi, non sono esseri semplici e facilmente condizionabili come i poveri cari Evonsvert. Inoltre si sono dimostrati affascinati dal male e quindi irresistibilmente attratti dal concetto di Inferno. Finora abbiamo sbagliato metodo, ma in futuro dovremo trovare la maniera per rimediare e impedire che fatti del genere si ripetano e dovremo agire in fretta, prima che le loro assurde convinzioni religiose causino l'estinzione degli Evonsvert."
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