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Il Guardiano Dei Gatti
Prologo
Le storie non dovrebbero mai iniziare così; un prete, una sepoltura, io che osservo lei, perduta nel vento; eppure piove; piove quasi sempre ai funerali;
e ripeto, la mia storia non dovrebbe iniziare così. C'era un altro finale;
un bellissimo finale che ora che non c'è più; ora che se n'è andata così lontano
dove io non possa comprenderne totalmente la vicinanza;
ora, mi sento solo; terribilmente solo. Certe storie non dovrebbero finire mai;
e finiscono troppo presto. Troppo troppo presto. Progetti, sogni, parole
infrante dentro quel tempo che non si può recuperare; e per quanto si possa fuggire
siamo sempre qui, siamo sempre qui.
-
Lasciai finire la messa; in fondo glielo dovevo. Io non ho mai creduto in qualcosa più in alto del settimo piano; dove avevo sempre vissuto fin da bambino; ma lei,
lei ha sempre avuto fiducia in Dio. Sempre. Mi spostai lateralmente verso un albero li vicino; lasciai gli altri pregare mentre ascoltavo quelle parole;
"Cenere alla cenere"
"Polvere alla polvere"
Già. Pensai. Quanta polvere c'è nel mondo; ma quanta ancora deve essere raccolta ed incanalata nel dolore del rimpianto.
Vidi i suoi genitori affiancarsi alla bara; prima che fosse immessa dentro quel solco di silenzio. un ultimo saluto; un pianto.
Li vidi stringere mani a chiunque si avvicinasse loro; chinarsi dolenti su corpi animati di parenti, amici, anche vicini. Vidi lacrime scorrere nel silenzio di quegli sguardi;
che non potevano fare più niente; solo osservare la fine di una storia; la fine.
Mi feci coraggio quando mi avvicinai a sua madre. Lei mi osservo pacata;
parve emettere un sorriso. Io ricambiai; feci un gesto. Loro compresero.
Mi lasciai andare voltandomi dall'altra parte. Mi allontanai da loro. Gentili e disponibili fino alla fine; ad organizzare tutto. A pagare tutto. A comprendere tutto.
Funerale, trasporto, fiori. Undici anni d'amore mi accarezzarono le spalle umide di pioggia, quando presi la strada verso casa nostra. La nostra casa. Il primo obbiettivo di tanti traguardi.
Erano passati solo sei mesi di convivenza quando per uno folle gesto
di un'automobilista, questo luogo adesso vivrà senza il suo respiro.
E per soffocare tra i ricordi a questo punto non mi ci sarebbe voluto proprio niente.
Solo un attimo. Solo quello.
Cercai le chiavi in tasca; ed il loro tintinnio mi svegliò dal torpore
della improvvisa mancanza. Le chiavi entrarono senza dire niente; come se sapessero già che ero il solo a varcare quell'ingresso.
Accesi la luce della cucina come facevamo sempre; e quando osservai fuori, mi accorsi che il pianto del cielo era cessato. Un tiepido sole mi accarezzò il vetro quando posi una mano su di esso, la immaginai come tante volte dall'altro lato.
E sorrideva; sorrideva quasi sempre. E quando accadeva mi cambiava il mondo.
Ed io pensai che non dovevo essere così triste.
Se fosse accaduto a me; non avrei avuto un paradiso dove osservarla.
Aprii il frigorifero; poi lo richiusi. Mi era passata la fame nel momento in cui decidetti di sentirla.
Accesi la televisione e rimasi li impassibile qualche ora.
Mi venne in mente quanto io e lei fossimo diversi; io l'ottimismo in persona,
sempre il sorriso tra le labbra; sempre scherzoso;
"Un problema annienta l'altro" Le dicevo.
Lei invece più timorosa dei complessi umani; non dico che fosse una pessimista incallita ma talvolta si cuciva addosso un po troppo il male di vivere.
I pensieri mi assalirono lentamente e mi addormentai sul divano.
Era già notte quando il suono del campanello mi riportò alla vita.
Pioveva ancora a dirotto ed il suono mi giunse all'orecchio come rarefatto.
Mi alzai confuso pensando a chi potesse essere a quell'ora della notte.
La porta si aprì sonnolenta. "Si?" Dissi.
Nessuno. Non c'era nessuno. "Ho sognato. Oppure uno stupido scherzo" Pensai.
Chiusi così la porta; andai sul divano e mi accucciai di nuovo.
Sinceramente non me la sentivo di dormire nel nostro letto quella sera.
Chiusi a fatica gli occhi proprio quando il campanello assunse il fattore di recidività.
"Chi cavolo è?" Mi chiesi. Presi la coperta e l'abbandonai sulla sedia.
Andai alla porta e l'aprii di nuovo. Ma non c'era nessuno.
Proprio nessuno.
Solo la pioggia che, sgocciolava triste attraverso la grondaia, la mia inquietudine.
"Scherzi del cavolo" Urlai. Stavo per sbattere la porta quando con l'occhio sveglio notai in basso; molto in basso una strana sagoma. Un brivido si aggrappò al treno delle mie sensazioni. Ma poi la stazione annunciò : "Un gatto?"
"E te che ci fai qui?" Gli dissi. Il gatto mi osservò come rapito; poi miagolò qualcosa che ovviamente non compresi. "Mi dispiace! Non posso" Gli dissi mestamente.
Poi chiusi la porta.
"Ma figurati se posso dare da mangiare ad un gatto randagio alle tre di notte e nella mia situazione" pensai. Tornai nel divano. Mi alzai per prendere la coperta.
Poi mi distesi di nuovo. Ancora quel suono. "Ora basta"Dissi.
Arrivai alla porta imbestialito; quella notte si vede non dovevo avere pace.
La porta si aprì quasi da sola; tanto ero abituato a quel gesto negli ultimi minuti.
E non c'era nessuno. Anzi si. Solo quel gatto. "Qualcuno mi vuole affibbiare un gatto?" Pensai. Il randagio mi osservò; poi parlò. A modo suo s'intende.
E quel miagolio non so perché questa volta mi entrò nel profondo.
Spalancai la volontà e gli dissi: "Dai entra."
fine della prima parte.
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- sono sempre rapita dai tuoi racconti...
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