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Fedor
C’era un gran silenzio in via Solfoponte, una delle tante viuzze spente e addormentate della città. La nebbia fitta non faceva vedere niente, soltanto qualche luce offuscata di alcuni lampioni alti e freddi davano speranza di veduta.
Il rumore pesante di una carrozza trainato da un paio di cavalli ruppe il silenzio circostante. La carrozza si dirigeva alla Vecchia Villa, in fondo alla via. Dopo parecchi anni i grossi cancelli della reggia si stavano riaprendo, il loro cigolio grave ne era la prova. La carrozza entrò, in cancelli si chiusero e il silenzio si riappoggiò delicatamente sulla metropoli.
La mattina seguente riprese ad esserci il solito trambusto caotico; i mercatini posti negli angoli delle strade, i nobili signori pronti ai loro affari importanti, i negozi graziosi e la gente davanti a ogni tipo di bancarella.
Un ragazzo tra tanti stava andando a lavorare, Fedor. Un tipo facilmente curioso, poco sfacciato, piuttosto basso e con una capigliatura sempre scompigliata. Non si imponeva molto fisicamente, ma aveva una qualità che non tutti i giovani della sua età possedevano, l’educazione; la galanteria che poneva verso le signore e la serietà che mostrava sul lavoro lo contraddistinguevano. Per non parlare poi delle innumerevoli volte che aiutava le vecchiette a portare sacchi pesanti, si un’educazione esemplare.
Stava andando al “Boccale D’oro” una locanda tragicamente sporca, straboccante di ubriaconi e generose ragazze: al centro dell’osteria un lampadario, a dir poco sporco, tanto che le candele che vi erano sopra non si vedevano nemmeno per la strato di polvere. Per non parlare poi del pianoforte abbandonato nell’angolo più remoto dell’osteria che nessuno non usava ormai da anni, ornato da cocci di vetro e ragnatele. Il pavimento brulicava di ratti e ragni disgustosi ormai abituati alla clientela altrettanto disgustosa.
Squallida a dirsi, e anche a lavorarci. Ma lì ormai conosceva tutto e tutti, e si era affezionato alla gente che la frequentava, in primis a Baldino, il proprietario del locale. Un tipo massiccio, con un grosso naso a patata rosso, una pancia altrettanto gonfia e due braccia che potevano alzare quel che volevano, insomma il primo tra i bevitori e l’ultimo tra i pacati.
Entrò, sembrava esserci una discussione accesa, a partecipare il vecchio Hokit lo stalliere, che non si ricordava mai il suo lavoro; L’Avvocato, un uomo che aveva fallito drasticamente la sua carriera e che non era mai riuscito a vincere una causa; Pacos, uno dei tanti bevitori accaniti di qui vi parlavo prima e infine Baldino, nessun altro nell’osteria.
-ti dico di si- disse Pacos con quella voce farfugliante e sbracciandosi animosamente
-continuo a non crederci- replicò Hokit prima di buttare giù un bicchiere di wisky
-ma si può sapere perché non mi credete?- chiese esterrefatto lo sbronzo girandosi verso tutti
-forse perché bevi come una spugna e tutto quello che vedi è frutto della tua immaginazione?- chiese ironicamente Baldino mentre puliva un grosso boccale
-ciao ragazzo!- aggiunse il locandiere alla vista di Fedor
-buongiorno a tutti!- ricambiò Fedor
Gli altri salutarono.
-che succede?- chiese mentre si cambiava
-niente di serio…, Pacos sostiene che ieri notte qualcuno abbia riaperto i cancelli della Vecchia Villa-
-Vecchia Villa?- chiese stranito non capendo di cosa stesse parlando
-davvero non sai cos’è la Vecchia Villa?- chiese Baldino esterrefatto
-i ragazzi di oggi- si intromise l’Avvocato altezzoso e aspro
-non hai mai visto quella reggia in fondo a Solfoponte, quella abbandonata?-
-si-
-e non ti sei mai chiesto perché una casa tanto sontuosa, fosse stata lasciata così?-
-in effetti no, mai- ammise Fedor
-quella era la reggia di un conte, quand’era in vita era considerato uno degli uomini più benestanti di tutta Lofar, purtroppo non attestò i suoi beni a nessuno prima della sua morte e non perché non avesse nessuno accanto a lui, no, ma perché…bè il perché non si sa- disse appoggiando il boccale che aveva in mano?"è proprio questo che fa mistero- aggiunse con un ghigno
-e sembra che abbia pagato parecchio il comune per non mettere all’asta la villa- disse Hokit
- e la gente da circa vent’anni si chiede, perché?- disse Pacos svegliandosi da un suo leggero sonnellino
-wow…- ammise Fedor
-e ora questo diavolo sostiene che qualcuno ieri notte sia entrato nella villa- disse Baldino facendo partire una risata sproporzionata in tutta la locanda, a cui partecipò Pacos stesso abituato a continue sogghigni di gruppo.
-magari è vero- sibilò Hokit alzandosi di botto
-e quale ragione avrebbe una persona di entrare li dentro?- chiese borioso e pieno di sé l’Avvocato
-per rubare forse- replicò Pacos cercando si spiazzare tutti
-e cosa? è risaputo che il conte non tenesse niente di prezioso nella sua dimora- respinse l’Avvocato come se fosse ad un processo.
-ecco un altro elemento che incuriosisce parecchio la gente- aggiunse sottovoce a Fedor
-non tutto quello che brilla è oro- sibilò Fedor
Seguì qualche secondo di silenzio.
-impossibile, ripeto- concluse irritato risedendosi energicamente
La discussione terminò li, nessuno tirò fuori più l’argomento.
Fedor lavorò fino a sera, non riusciva a tutti i modi a togliersi dalla testa la discussione avvenuta la stessa mattina;
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- Il Poeta Rivoluzionario
da "Un Uomo"
di Oriana Fallaci
Il poeta ribelle, l'eroe solitario, è un individuo senza seguaci: non trascina le masse in piazza, non provoca le rivoluzioni. Però le prepara. Anche se non combina nulla di immediato e di pratico, anche se si esprime attraverso bravate o follie, anche se viene respinto o offeso, egli muove le acque dello stagno che tace, incrina le dighe del conformismo che frena, disturba il potere che opprime. Infatti qualsiasi cosa egli dica o intraprenda, persino una frase interrotta, un'impresa fallita, diventa un seme destinato a fallire, un profumo che resta nell'aria, un esempio per le altre piante del bosco, per noi che non abbiamo il suo coraggio e la sua veggenza e il suo genio. E lo stagno lo sa, il potere lo sa che il vero nemico è lui, il vero pericolo da liquidare. Sa addirittura che egli non può essere rimpiazzato o copiato: la storia del mondo ci ha ben fornito la prova che morto un leader se ne inventa un altro, morto un uomo d'azione se ne trova un altro. Morto un poeta, invece, eliminato un eroe, si forma un vuoto incolmabile, e bisogna attendere che gli dei lo facciano resuscitare. Chissà dove, chissà quando
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