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La morte non aspetta
Se riapro gli occhi... sì, mi vedo dentro una stanza di ospedale, o almeno sembra. Non c'è nessuno al di fuori di me.
So bene chi sono, anche se i miei ricordi si mischiano alla nebbia che ora vedo alla di là dell'unica finestra aperta, che si staglia in mezzo alla parete bianca di questo freddo letto in questa fredda camera, come il freddo che mi sta penetrando nelle ossa. Il perché sono qui? Non ricordo.
Non aspettavo nessuno eppure il cigolio del pomello della porta di questa stanza mi riportò alla realtà, chiunque si trovasse dietro quell'uscio sembrava avesse una gran fretta di vedermi, anche perché dopo aver girato lentamente la maniglia, aprì di scatto, richiudendosi velocemente dietro le sue spalle.
Quell'uomo non attese neanche un mio cenno per entrare dentro, con calma si sbottonò il giubbotto posò la sciarpa sulla sedia, rimanendo vestito solamente del suo camice bianco e si sedette, senza dire una parola.
Sembrava a suo agio.
Passai la mia mano aperta sulla fronte sfregandola, e con il pollice e l'anulare strinsi le tempie, sforzandomi di ricordare, cercando di ricordarmi dove l'avessi visto.
Provai a nascondere, in un primo momento... lo ammetto, un certo senso d'imbarazzo, e tentai di nasconderlo all'uomo che mi stava difronte.
Calamitato, sì... Forse questa è la definizione giusta, sembrava che il mio corpo fosse attratto da questa figura, sdoppiandomi, risucchiato dalla luce che emanava il volto dell'estraneo, rimanendo pur sempre imprigionato in questo freddo letto, messo al centro della camera, fredda, come il resto della stanza, dove mi trovavo, fredda.
Solo lo sfrigolio della luce bluastra del neon interrompeva il silenzio in questa stanza come una zanzara, il che mi ricordava... l'orrendo marchingegno friggi zanzara.
Al lato della camera una serie di banchi freddi e vuoti, e davanti a me... un tavolo coronato da quattro sedie, dove su una delle quali vi era seduto quell'uomo con le gambe incrociate mentre tamburellava le dita sul tavolo, quasi fosse impaziente... alle sue spalle uno specchio, quest'ultimo mi accorsi che non rifletteva alcuna immagine, strano pensai... Forse era solo un'illusione ottica dovuta dal mio stato... O forse dal mio malessere, che ricominciava ad assillarmi.
Rimisi di nuovo la mano sulla fronte sfregandola ancora più forte, e strinsi ancora di più le tempie, non come avevo fatto prima... no, stavolta ancora di più, più forte, tanto da farmi male.
-Chi diavolo sei?-
L'ospite, continuava costantemente a guardarmi, mi fissava, non distoglieva un solo attimo il suo sguardo su di me... Dove l'ho conosciuto? Dove ci siamo già visti?
Ci divideva solo un lento alito caldo di vapore sprigionato dalla condensa che fa il respiro, in questa fredda sala.
Provai, allora a fissare l'uomo più intensamente cercando di sforzarmi di nuovo... Nel capire dove avrei potuto incontrarlo, o come mai fosse, ora, qui in questa stanza.
Lo guardai così fortemente che ora potevo distinguere il suo viso.
Non come prima che riuscivo solo a vedere un'ombra.
Il volto nascosto dalla maggior parte, dai suoi grossi occhiali, con quei suoi occhi freddi come il freddo grigio del suo colore... che continuavano a guardarmi, il resto del viso che ne rimaneva era un'immagine di una persona anziana... ma senza tempo. Solo alcune rughe avevano segnato il viso come se non fosse mai invecchiato.
Sposto casualmente lo sguardo verso quello specchio, che prima non rifletteva e riguardando questa lastra rivedo fatti e persone.
Ora, non so dire con certezza quanto tempo fosse trascorso da quando era entrato quell'estraneo o dove mi trovassi realmente, ma i ricordi anche se confusamente, come la tenda che c'è in questa stanza, che è mossa dal vento, riempiendosi d'aria per poi svuotarsi, i ricordi... come un flashback ricominciarono ad affiorare.
Il sole, che vedevo di là dalla vetrata non era ancora sprofondato nel buio delle tenebre, ma la nebbia che lo avvolgeva, faceva si che si potesse solo distinguere la forma delle cose, mentre il ricordo di quel giorno, sì... si faceva più chiaro.
Ero lì, in un aula di un tribunale, davanti a loro, disposti in fila uno accanto all'altro come dei grossi corvi neri appollaiati, pronti a gracchiare.
Li vedevo nei loro vestiti neri, con quella carnagione biancastra come le pareti di questa stanza, forse dovuta a ore e ore passate in tribunale senza vedere la luce del giorno.
Con quei loro grandi occhi, sembravano che ti marchiassero a fuoco, fissi e penetranti, feroce il loro disprezzo, per l'umano popolo.
Vedevo quel movimento labiale al rallentatore, come se non mi dovessi perdere neanche una parola una sillaba una vocale. Le vedevo muoversi in una frase...
... di morte.
Rimasi seduto nel banco degli imputati in silenzio con la sensazione di impotenza, legato.
Le mani non le vedevo, ma avvertivo la loro presenza appoggiate dietro la schiena, e quel camice bianco e stretto non legava solo il mio corpo ma stringeva la mia mente come in una morsa, attanagliandola, ma non il mio spirito.
"Pazzo?... Non sono pazzo, anche se spesso nominate la parola sdoppiamento.
Perché vi ostinate a volermi aiutare? Perché dite che non ho la capacità di intendere e di volere?
Riportatemi in quel luogo di matti e vi convincerò tutti del contrario.
Dentro... questo manicomio, sto passando la mia vita, mentre voi state giocando al medico e paziente... con il mio cervello, i miei pensieri la mia anima.
Non sono una cavia per i vostri test, non voglio sottomettermi ai vostri esperimenti, non sono ipocrita.
Sono coerente, sapevo bene quello che stavo facendo... e a quali conseguenze sarei andato incontro, e di questo me ne assumo tutta la responsabilità.
Non posso fingere, non voglio il vostro aiuto e tanto meno la vostra compassione. Odio sentirmi dire, Povero... come s'è ridotto, smettiamola con questa commedia, solo per darvi la sensazione di onnipotenza, solo per farvi credere che con le vostre medicine potete cambiare la mente malata e perversa di un pazzo, ma...
... Io non sono pazzo.
Sono ossessionato solamente da ciò che la mente umana può fare.
Voi volete che confessi di essere pazzo, ma le vostre sono solo parole.
Potete portare a testimoniare milioni di persone, e anche se lo ripeterete un milione di volte... Io non sono pazzo.
Non capite ancora che non potete farmi diventare matto, e tanto meno che vi assecondi non lo farò solo per farvi piacere, urlerò con tutta l'aria che ho nei polmoni
che...
... Non sono pazzo. Meglio la morte del manicomio.
Dicono che soffrire aiuti a crescere, ma il tormento e le sofferenze che un uomo porta con se, in questo posto, lascia il suo animo lacerato ".
Mi accorsi che il freddo che sentivo qualche minuto prima e che mi aveva penetrato le ossa era sparito, anzi ora sentivo caldo... e provavo anche una sensazione di quiete, serenità, l'ago della flebo era inserito nel braccio sinistro e la soluzione sedativa era diversa sembrava più forte del dovuto, o forse era un'altra cosa, quel liquido lo sentivo scendere nelle vene fino a bruciarmi l'anima.
Sono stati troppi gli abusi subiti in questo manicomio, ora mi sentivo finalmente leggero, fin troppo leggero dopo quest'ultimo crudele atto di violenza nei miei confronti e ora che sono sdraiato su questo fredda lastra, mentre strizzo gli occhi, cercando di mettere a fuoco quello che mi circonda, vedo il ciondolare di un cartellino, un badge che mi dice che l'uomo che mi sta davanti è il Dott. P. Mattew Psichiatra del manicomio di stato Austin State Hospital, il più antico ospedale psichiatrico nello stato del Texas, in precedenza conosciuto come State Lunatic Asylum.
... Il viso assomiglia, ora che ci penso... allo stesso uomo che ho difronte ora.
So, ora chi è stato a condannarmi a questa pena... So anche bene che se lo nominassi a voce alta sprofonderei all'inferno.
Lo so, e solo ora... me ne rendo conto che esiste l'elemento che definisce quell'uomo che ho difronte, invocato e maledetto in innumerabili storie, che si ripetono nelle varie ere sin dalle origini dell'uomo.
E percorrendo la strada che porta verso di essa, oltrepassando il muro delle paure, vi dico, che l'astratto nome che si cela dietro quell'uomo, e che ora ne son sicuro, come il vero che è vero, è...
Morte
Questo è il suono del suo nome.
Pronto a portarmi via, ora che sono sdraiato in questo freddo posto su questo freddo letto in questa fredda stanza... di un obitorio.
La persona che ora vi sta raccontando questo, non è, e non sarà l'ultimo testimone che è riuscito a vederlo in volto.
Anche tu che leggi un giorno, potrai riscontrare il vero nelle parole che vi ho appena raccontato.
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- Grazie... anche se in ritardo
- molto carino! molto scorrevole e appassionante
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