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La casa sulla collina
Erano passati cinque anni da quando Donald Prescott si era stabilito nel villaggio di Hamphire. Da tempo cercava il posto migliore in cui scrivere i suoi libri e ora l'aveva trovato. La sua casa stava alla periferia del paese, proprio vicino al "bosco dalle mille foglie" , come veniva chiamato dai suoi abitanti.
Hamphire era un luogo immerso nel verde, dove la più alta tecnologia era espressa dai rari televisori a colori presenti nelle altrettanto rare case.
Lo scrittore usciva di casa tutte le mattine, si recava nel locale più vicino dove prendeva il consueto caffè, poi, dritto dal giornalaio a comprare il giornale.
Le colline intorno al paese erano una sua fonte d'ispirazione. Durante il pomeriggio faceva delle lunghe camminate per le sterminate distese verdi e durante l'inverno gli capitava spesso di trovare i funghi che tanto apprezzava.
A prima vista il territorio di Hamphire pareva non riservare alcun mistero. La gente era sorniona e oltremodo gentile, ma anche molto abbottonata sui propri affari, cosa che a lui non dispiaceva affatto.
Una mattina di ottobre si trovava nel bosco dietro casa sua. Si era spinto più avanti rispetto alle altre volte ma il fatto di camminare tanto non lo aveva mai spaventato.
Adesso era fermo e osservava il piccolo paese dall'alto di una collina. Ad un certo punto gli parve di sentire dei rumori. Erano suoni familiari, sembrava che qualcuno stesse armeggiando con pentole e altre stoviglie. Questi provenivano dalle sue spalle e non sembravano così distanti. La curiosità lo spinse ad individuarne la fonte.
S'intrufolò in sentieri ormai nascosti e attraverso stretti passaggi, poi, tra le foglie degli alberi, vide una piccola casa. Adesso i suoni erano cessati, ma si era alzato un forte vento.
L'umile dimora era di un bianco candido e il tetto era un mosaico di tegole rosse. Davanti ad essa c'era un bel giardino che sembrava decisamente curato. Al centro di esso, una stradina in ciottolato conduceva all'uscio. Vide dei manufatti in metallo appesi accanto ad una finestra: dovevano essere quelli a produrre i rumori.
Il tutto era ben curato, la casa era sicuramente abitata. Donald percorse il tratto che lo separava dalla porta, poi, giunto davanti ad essa si fermò e bussò in modo deciso.
I secondi passarono ma nessuno venne ad aprire. La sua mano agì automaticamente sulla maniglia e si rese conto che l'abitazione era aperta.
"C'è qualcuno?" disse, con voce incerta. Entrò. Lo accolse un dolce profumo. Sembrava non ci fosse nessuno.
L'arredamento era semplice ma di buon gusto. I mobili, il tavolo, le sedie: tutto era in legno e pareva decisamente in buono stato, segno che qualcuno si stava occupando di tenere ogni cosa in ordine.
Lo scrittore non osò andare oltre. Il padrone di casa era assente, magari impegnato a fare un po' di legna per l'imminente inverno. Decise di porre fine alla sua visita.
Durante la strada del ritorno, il signor Prescott si chiedeva chi avrebbe potuto abitare in un luogo così sperduto. Forse apparteneva ad uno scrittore come lui, o forse a qualche vecchio burbero, sta di fatto che la faccenda l'aveva incuriosito.
Si era dunque promesso di chiedere agli amici giù nel villaggio; molto probabilmente avrebbe ottenuto le risposte che cercava.
Intanto, mentre Donald affrontava la discesa, qualcuno seguiva i suoi movimenti. Questi era ben mimetizzato tra la vegetazione e lo scrittore non si rese minimamente conto di essere sotto attenta osservazione. Il suo ritorno in paese fu un piacevole esercizio.
Decise di affrontare l'argomento quello stesso pomeriggio. Alle tre si trovava nel locale più affollato di Hamphire, in compagnia di amici e di una buona birra.
Intorno al lungo bancone stavano con lui varie persone, gente simpatica come Holly Barry e Tom Hatton, due artigiani del posto, esperti costruttori di imbarcazioni: Forrest Lamelle, Gentle Brown e David Zorb, due commercianti e un pescatore ormai in pensione.
Il nostro amico provò a tastare il polso di Gentle. Sapeva infatti che costui era un inguaribile ficcanaso: chi meglio di lui poteva rispondere decentemente alle sue domande? Tra una birra e l'altra, Prescott decise di aprire bocca:
"Gentle, cosa mi sai dire sulla casa che sta nelle colline, su, a nord..."
"Beh, che era pure ora che te ne accorgessi, amico...", rispose bonariamente Brown.
Donald rimase alquanto stupito dalla sua risposta.
"Che vuoi dire?" riprese.
"Eh, non è una casa normale quella. Lo sappiamo tutti qua intorno...". Al che, David Zorb, diede una vigorosa gomitata al fianco dell'amico, zittendolo di colpo. Lo scrittore capì allora, di aver toccato un tasto sbagliato.
"Bah, a me interessa solo sapere chi ci abita. Tutto qui..."
"Nessuno. Chi mai potrebbe vivere lassù ?" disse Zorb, visibilmente in imbarazzo. Continuò:
"Il vecchio che ci stava è morto e adesso... ehm, qualcuno di noi si occupa di tenerla in ordine. La si potrebbe vendere, dico io..."
Donald decise di non insistere. Aveva capito benissimo che la storia raccontata da David era solo una colossale bufala.
Prescott andava pazzo per questo genere di storie. Sapeva anche di poter fare poco affidamento sulla gente di Hamphire, ma questo non lo avviliva, anzi, si sentiva ancor più motivato nel trovare le risposte alle domande che affollavano la sua testa.
Tornato a casa pensò a come organizzarsi per il giorno seguente. Sarebbe tornato lassù, sulla collina, a verificare la storia di Zorb.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio.
L'alba era sorta da poco e lo scrittore era già in cammino. Contava di essere sul posto entro una mezz'ora di marcia. Si prospettava una bella giornata, calda come quella del giorno prima.
Poco dopo, giunse sul posto. Stavolta però, avvertiva la sensazione di essere seguito e, di tanto in tanto, girava il capo all'improvviso come per sorprendere l'eventuale pedinatore.
Ma ormai era là. Si trovava già sulla stradina in pietra quando una grossa figura venne fuori, silenziosamente, dagli alberi lì vicino. Donald non si accorse di nulla. La sua mano stava per agire sulla maniglia quando si ravvide del pericolo. Troppo tardi. L'ombra alle sue spalle sferrò un duro colpo contro la sua testa e lui si accasciò al suolo, privo di sensi.
L'assalitore raccolse il corpo, se lo portò sulle spalle e sparì tra la vegetazione, silenziosamente com'era venuto.
Lo strano personaggio era un uomo sulla trentina, calvo e vestito come un contadino. Emetteva degli strani sussulti, come se non fosse in grado di parlare. Senza alcuna apparente fatica, trasportò il corpo di Donald come se fosse un fuscello. Percorse vari sentieri, poi entrò in una capanna. Posizionò con attenzione lo scrittore su di un letto e si mise a sedere, aspettando chissà cosa.
Pochi minuti dopo, il nostro sfortunato amico si svegliò con un gran mal di testa a ricordargli di essere vivo.
Quando si rese conto di essere in compagnia di quell'enorme individuo, che ora lo fissava con quegli occhioni imperscrutabili, ebbe un sobbalzo e scattò in piedi. Solo dopo capì che lo sguardo del suo strano compagno di stanza era colmo di tristezza. Una tristezza che lo portò a calmarsi.
L'uomo vestito da contadino si alzò e, senza dire niente, allungò la grossa mano verso una cornice che stava su di una mensola lì vicino, la prese e la fissò per un attimo. Continuava con i suoi sussulti, senza spiccicare la benché minima parola, poi passò l'oggetto allo scrittore.
Sulla cornice c'era la foto di un bambino: il suo viso era dolce, le sue mani stringevano delle rose, aveva un copricapo rosso e un fiocco dello stesso colore al collo.
"Chi è questo bambino? Perché me lo fai vedere?".
Nessuna risposta, il solito sussulto.
"Vuoi dirmi almeno perché mi hai portato qui?". Peggio che parlare al muro. L'omone riprese la cornice e la posizionò dove stava poco prima, poi si sedette nuovamente. Donald lo imitò.
Era quasi il tramonto quando lo strano tipo decise di muoversi. Richiamò l'attenzione dello scrittore con uno dei suoi sussulti e insieme uscirono dall'abitazione. Il muto non si preoccupò neanche di chiudere la porta.
I due camminavano di buon passo e Donald aveva qualche difficoltà a seguire il compagno, anche perché, ormai, stava facendo buio.
Chissà per quale ragione aveva deciso di muoversi in così tarda ora. Non sarebbe stato meglio alla luce del sole, qualunque cosa avessero dovuto fare? Se solo il suo assalitore avesse potuto parlare...
Passarono una decina di minuti, poi il muto emise un altro gemito. Lo scrittore alzò lo sguardo e scoprì di essere nei pressi della casina dalle tegole rosse. Quando furono abbastanza vicini, ecco che cominciò a soffiare un forte vento.
Attraversarono la strada in pietra. Prescott vide che le luci all'interno della casa erano accese. Affrettò il passo. Lo strano alleato entrò per primo e lui lo seguì.
La stanza era proprio come la ricordava: spoglia e semplice, gli trasmetteva una strana sensazione. Il contadino sapeva come muoversi, molto probabilmente era lui che teneva in ordine il tutto. Passarono in un'altra camera.
Era una stanza da letto. Vari quadri stavano appesi sulle pareti. Più che altro erano foto che ritraevano i paesaggi di quella zona: colline, alberi in balìa del vento, fiori di ogni colore.
Il muto indicò l'imposta lì vicino.
"La finestra? Non ti capisco, amico...", biascicò lo scrittore
Per risposta, l'omone picchiettò sul vetro. Era una chiara indicazione.
Donald avvicinò il viso allo specchio: fuori il sole splendeva, mentre poco prima l'aveva visto calare sull'orizzonte. Come poteva spiegare una cosa simile? Semplice: non poteva affatto.
Aprì la finestra, ma il risultato non cambiò di una virgola: era una stupenda mattina d'estate.
Una mano sulla spalla lo fece tornare alla realtà. Il muto voleva essere seguito nuovamente.
Entrarono in un altra camera; questa era più piccola, semplice e in parte più "rozza" rispetto agli altri ambienti. Prescott realizzò che doveva essere la stanza dello strano amico.
Capì di aver visto giusto quando i suoi occhi si fermarono su di una cornice argentata appesa sul muro. C'erano due persone sulla foto al centro: il contadino e un grazioso bambino, lo stesso che portava il fiocco rosso. Vi era anche una dedica, scritta in rosso: al mio fratellone Sam. Il muto aveva un nome, quindi.
Lì si sdraiarono, in attesa di un altro evento.
Più tardi, lo scrittore si addormentò. Diverse volte, durante il sonno, gli sembrò di udire dei passi provenire dalla stanza accanto, ma non ne fu mai certo, in bilico com'era tra il sogno e la realtà.
Quando si svegliò, l'alba era già passata, ma lui non se ne ravvide, perché dentro quella casa sembrava sempre giorno. Si alzò ed era solo.
Sam non era più al suo fianco. Provò a chiamarlo, pur sapendo quanto la cosa potesse essere inutile. Confidava almeno in uno dei suoi sussulti. Niente.
Uscì dall'abitazione, non prima di aver guardato nelle altre stanze, senza alcun risultato.
Fuori, il vento continuava a soffiare impetuoso e il cielo era grigio. Si sentì improvvisamente triste, ma non aveva alcuna motivazione apparente per esserlo. Era tutto molto strano.
Si lasciò trasportare dalla brezza. Era un vento dolce, quello che lo accarezzava.
Come trasportato da un'altra volontà, fece il giro della casa. Davanti a lui vide tre lapidi: c'era una foto per ognuna di queste.
Adesso poteva vederle bene: erano spoglie e disadorne. Nessun fiore rendeva loro omaggio. Su di una c'era il volto di una giovane donna. Era vestita di un manto blu; il suo viso era bellissimo. Nella lapide vicina vide il volto del bambino con il fiocco.
Il terzo viso fu quello che lo sorprese maggiormente. Era quello di Sam, il povero contadino che era con lui fino a poche ore prima.
Donald rimase lì, bloccato, incapace di muoversi. Il muto gli stava trasmettendo le sue ultime volontà. Aveva capito che nel cuore dello scrittore c'era ancora spazio per l'amore che non aveva mai avuto.
Prescott percorse il tratto che lo separava dal piccolo giardino. Lì, raccolse i fiori più belli, poi fece ritorno al piccolo cimitero.
Una voce nel vento guidava le sue mani. Era una voce di donna che chiedeva di porre quelle rose sopra gli umili sepolcri. Il corpo di Donald acconsentì. Seguiva la volontà dello spirito, ma anche la sua.
Pose i fiori e spontaneamente recitò una preghiera.
Dopo che lo ebbe fatto, si girò e si diresse verso il pendio. Sorrideva, ma era un sorriso accennato, il suo.
Tre anime avevano lasciato questo mondo, tanto tempo prima, in una mattina d'estate. Nessuno si era mai curato di onorare quelle lapidi con dei fiori, nessuno aveva mai pregato per le loro anime. Solo quel giorno avevano trovato la pace.
Lo scrittore si voltò. Volle vedere per l'ultima volta la casa sulla collina. Quando fu soddisfatto, continuò la discesa.
E il vento cessò.
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