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Lo specchio
Sono consapevole, adesso, che... mi ritrovo interamente imbrattato di un rosso sangue... mi rendo conto di aver commesso il fatto. Già...
Nella stanza si sente l'odore particolare della paura e della morte, misto a secrezioni, amaramente acre.
Ho il suo corpo sotto di me, mentre sono seduto, ora, sul divano nella stanza da letto, e mi guardo, quasi compiaciuto davanti allo specchio.
Ero riuscito fino a oggi a mantenere la calma, a star buono... fino a ora.
Proprio oggi, ricompariva davanti a me, mentre pensavo, che non poteva essere un caso.
Infatti appena l'ho rivista, con quel suo ghigno, non so cosa mi ha preso. Zac... l'ho fatto, l'ho uccisa.
Mi chiamo Jhonn Ruth, e oggi ho ucciso la mia ex moglie.
Voi penserete che io abbia perso il senno, penserete che uno come me non abbia l'intelletto di organizzare, escogitare minuziosamente anche nel più piccolo particolare un omicidio, invece vi stupirò, è stato così perfetto... ben concepito.
Ma, l'idea... si.. l'idea, solo il pensiero mi ossessionava, ora non so spigare bene, il motivo che mi ha spinto, ma un istinto irrefrenabile, si è impossessato del mio buon senso, continuando insistentemente ad assillarmi giorno e notte.
Non è che mi avesse fatto chissà quale torto, ma quel suo ghigno, il sorriso che mostrava quando gli parlavo, un sorriso simile a quello di una... iena. Diceva tutto.
E ogni volta che il mio sguardo si posava sul suo volto, il sangue lo sentivo... ribollire.
Il modo con il quale si proponeva... quell'arroganza, sembrava che volesse incutere rispetto... quasi volesse far paura.
Avevo sopportato anche fin troppo le offese. Ma quando lei si spinse sino ad insultarmi giurai di vendicarmi.
Avevo così preso coscienza, volevo toglierli quel suo ghigno una volta per tutte.
Vi dico in tutta franchezza che dopo la separazione non ho mai in nessun modo dato alla donna una sola speranza di ritornare con lei, né con i miei modi né con le parole e questo sia ben chiaro, malgrado questo mio pensiero continuai ugualmente avere un comportamento sereno e amichevole con lei, nascondendo la vera natura dei miei pensieri.
Prima che decidessi di passare all'azione... sì, dovevate vedermi con quanta minuziosa premura mi prendessi cura di lei, mentre la mia testa già calcolava ogni singola mossa.
Mi volle tutto un pomeriggio, ma alla fine mi decisi, m'intrufolai in quella che una volta era la nostra casa.
Infilo lentamente la chiave nella serratura, mentre la giro e prima di aprire la porta, in quel preciso, lì... sull'uscio con la porta che si schiude, in quel momento... sogghigno, assaporando quell'atteso, ormai da troppo tempo, giorno di vendetta.
Il giorno era perfetto, lei era al lavoro quindi potevo agire indisturbato, entrai nella casa e rimasi fermo in silenzio, nascosto dentro la cabina del guardaroba, fino al suo rientro.
Al suo ritorno, m'irrigidì, non mossi un muscolo fermo.
La casa la conosco come il palmo della mia mano, e dopo aver atteso per un lungo periodo e una pazienza degna di un monaco, sentii dei passi decisi che si stavano dirigendo verso la camera, dove c'è il guardaroba... dove ero nascosto, ora.
Aprii la porta della stanza degli abiti, quel tanto da poter vedere, lei era lì, davanti allo specchio, che si fissava, si guardava, mettendo l'accento sulle sue curve, controllando se tutto era in ordine, si guardava ma non sorrideva non era soddisfatta, forse per la giornata trascorsa; con quella smorfia sul suo viso, che si rifletteva nello specchio, appare strano a dirsi ma... sembrava rassegnata alla vita... strano per lei, ma si sarebbe rassegnata alla morte? Pensai.
Persi per un attimo l'aderenza con il pavimento, scivolando, facendo un piccolissimo rumore.
Lei si girò di scatto urlando "Chi è?", rimasi in quel luogo scomodo per un'altra ora intera senza muovermi, si sedette sul bordo del letto, ma non si sdraiò, rimase lì, ferma come se stesse aspettando qualcosa, o come se avesse capito che stava per succedergli qualcosa.
Si rialzò e spense la grande luce della camera, accendendo ora la lampada sul comodino, e si rimise seduta sul bordo del letto rimanendo immobile, rigida.
In quella penombra vidi allo specchio il fascio di luce dell'abatjour che si rifletteva sul viso mettendo in risalto quella sua bocca.
Il rumore che avevo causato scivolando, pensai che aveva provocato in lei una sorta di agitazione e intuivo ora anche quello che stava provando e riuscivo a percepire... che la sua agitazione stava crescendo ogni minuto che passava.
Aspettai allora che si addormentasse, passarono ancora alcune ore, e io, diligentemente, pazientemente aspettai anche se avevo una gran voglia di saltar fuori e farla finita subito. Rimandai, ancora non era il momento giusto. Chiusi gli occhi, mentre i pensieri si aggrovigliarono nella mia testa e nel frattempo cercai di riflettere sul gesto che stavo per commettere. E l'unica parola che come un'eco rimbalzava nella mia testa era "omicidio".
"Ora, se noi sentiamo parlare di omicidio, il rifiuto di questa parola sarebbe la prima reazione, ma se ci trovassimo in una condizione particolare... soldi, mancanza affettiva... e via dicendo, voi rifiutereste ancora la parola omicidio. Ebbene vi dico che noi non siamo immuni.
Chi di voi non ha mai pensato, anche per un solo istante di far fuori qualcuno? Tra l'idea di pesarlo e l'idea di farlo, il confine tra loro è sottilissimo, come, cos'è moralmente lecito... cos'è moralmente illecito, cosa porta l'uomo a diventare vittima o carnefice? Nel mio caso il pretesto è il suo ghigno... e il vostro... Trovatelo".
Riaprì gli occhi e l'attesa dopo un'altra mezzora, fu premiata, dormiva, ora, tranquillamente nel buio della stanza, ma ora con la luce esterna di un lampione che penetrava attraverso la finestra, andandosi a posare su quel volto rischiarando il suo viso, con quella sua maledetta smorfia diabolica.
Era lì, con l'angolo sinistro leggermente alzato, sentii il sangue ribollirmi dentro e un contorcersi di viscere, e così a vederlo non ho più capito niente, spalancai esasperato la porta del guardaroba e con forza, mi avventai su di lei.
Zac... Non contai quante volte affondai la lama nella sua carne, dopo la prima erano un susseguirsi, neanche un grido... un gemito, mi bloccai solo per sentire il suo ultimo respiro per poi riprendere.
Non riuscivo a fermarmi preso dalla foga di non voler più rivedere il suo volto, quella smorfia... la sfigurai.
Alla fine non sentii più né il suo battito né il suo respiro, nulla, la mia ex moglie era morta.
Quel suo volto, quel sorriso, ora... non mi avrebbe più tormentato, perseguitato.
E adesso che sono qui sprofondato su questo divano in questa stanza da letto mentre mi guardo compiaciuto allo specchio, scorgo una sagoma riflessa, ma il tremendo disagio è... che in quella specchiera non ero io a riflettere l'immagine, ma quella di lei, pur trovandomi davanti ad esso...
" Oh no, mio Dio", mi sentii impallidire, allora mi alzai, mi scostai, e andai a mettermi al lato di quella lastra... era lì, vuoto, immacolato. Di nuovo tornai a sedermi sul divano con la speranza che... non essendo più lì, davanti; lei ricompaia.
Che fosse stato solo un pessimo scherzo della mente?... Non la vedevo più, e la mia testa si perse in quell'attesa.
Allora, presi coraggio e mi riportai davanti ad esso... l'immagine di lei era sparita, mi rivedevo, e vedevo su di me, ora... la stessa smorfia, lo stesso ghigno, anche adesso che lei era morta, e questo tormento, in questo momento assilla la mia mente...
... di folle.
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