La malconcia porta di legno si aprii e io, finalmente, fui fuori. Il vento della notte mi colpii violentemente alla faccia e mi riparai sotto la leggera maglietta del pigiama. Gli scarponi che avevo frettolosamente infilato nel buio erano gelati. Intorno a me l'aria odorava di pioggia. L'odore della pioggia, quell'odore umido che mi prendeva le narici e quello stesso odore che non avrei mai più sentito.
Qualcosa di freddo e umido mi sfiorò la mano : era il naso di Diana, il mio cane e il cane più bello mai esistito sulla terra. Le presi la testa fra le mai e le sussurrai, quasi potesse capirmi, quanto le volessi bene e che mai l'avrei lasciata sola.
Una promessa che non mantenni.
Ripresi a camminare. Con il mio cane al seguito.
Passai davanti alla porta della stalla e il rumore dei campanacci che ne proveniva dall'interno mi riempì il cuore di una felicità assoluta e provai a sentire l'amore sconfinato che provavo per tutto ciò, senza riuscirci : troppo grande. Provai ad immaginare gli animali all'interno che si muovevano e i più piccoli che bevevano il latte dalle loro mamme.
Arrivai alla piccola fontana fai da te e mi specchia per qualche secondo. Diana ne approfittò per abbeverarsi.
Proseguimmo fino a un piccolo ruscello e ascoltai il rumore monodico dell'acqua ma allo stesso tempo affascinante, un rumore che non avrei mai più sentito. Lo attraversai con l'agilità dell'abitudine.
Conoscevo quel sentiero a memoria, avrei potuto farlo ad occhi chiusi senza problemi. Ne conoscevo ogni filo d'erba, ogni sassolino. Tutte le volte che l'avevo percorso, e quella sarebbe stata l'ultima volta ma io di ciò non ne avevo alcuna coscienza.
L'odore dell'erba fresca mi arrivava dolcemente alle narici facendomi sognare. Iniziavo a rilassarmi.
Da lì a poco avrebbe piovuto, si sentiva nell'aria; l'odore della pioggia.
Finalmente giunsi alla mia meta : la cima.
Lì l'aria era molto forte e mi scompigliava i lunghissimi capelli neri. L'erba era alta lì più che mai, la sfiorai con il palmo della mano e sentii subito un po' di solletico. Quello era il mio posto preferito perchè da lì si potevano vedere valli e valli immacolate.
Mi sedetti e Diana mi imitò accucciandosi al mio fianco. Le appoggiai la mia mano sopra la schiena e le accarezzai il morbido e lungo pelo.
Era notte, buio pesto, ma io sapevo che oltre a quel muro di pece si estendevano valli di pascoli e rupi.
Ed eccola! Un piccola goccia cadde sulla mia guancia. Era meglio tornare dentro se l'indomani sarei voluta essere sana.
Con un filo di rancore mi alzai da quel tappeto e chiamai con un lungo fischio il mio cane che nel frattempo si era allontanato nel sentire il verso di una marmotta.
Questa volta mi fermai davanti alla porta della stalla e la aprii quel tanto che bastava per farci passare la mia testa. Ispirai a fondo l'odore caldo che emanavano quegli animali. Un odore che a chi non è abituato sentirlo da fastidio ma per chi ci ha a che fare tutto il giorno lo trova meraviglioso. Per me è un'odore che mi trasmette voglia di vivere. Questa è la frase che più gli si addice. Decisi di fare una piccola visita alla più piccola. Mi sedetti sulla mangiatoia e iniziai ad accarezzarle la fronte. Lei era l'unica piccola che si facesse toccare e ciò lo permetteva soltanto a me. Quando lei mi tocco la mano con la lingua capii che la voleva e così gliela misi in bocca. La lingua ruvida mi dava un po' fastidio ma niente in confronto all'amore che provavo per lei.
Rientrai dentro la baita e salii le scale di legno il più silenziosamente possibile.
Quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei fatto.