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L'assassino dentro me
Erano passate le 22, 30 e due ragazzi percorrevano la Via Aurelia su una vecchia A 112 abarth blu, diretti a una birreria, pizzeria e spaghetteria a una quindicina di chilometri dal capoluogo. Il traffico notturno infrasettimanale in quella stagione era inesistente e l'auto filava.
L'autista si sforzava di partecipare alla conversazione ma aveva i nervi, per motivi non del tutto chiari neppure a lui. Soltanto una generica insoddisfazione nei confronti della propria esistenza, forse. E poi il navigatore stava descrivendo per filo e per segno le portate di una lauta cena a cui aveva partecipato. A ogni incontro ormai non faceva che parlare di mangiare, una vera noia.
Il concerto corrente, un classico rock blues anni settanta, lo tediava con quei suoi brani troppo lunghi, gli assoli interminabili... sarà stato anche un capolavoro, ma era inadatto al suo umore. Con decisione improvvisa estrasse il nastro e lo cambiò. Quando l'ennesimo sbrodolamento chitarristico fu sostituito dall'energia dei Jane's Addiction di "Ritual de lo habitual", il loro ultimo album prima dello scioglimento, il navigatore sbuffò rumorosamente e altrettanto fece l'autista in risposta. Un tempo avevano i medesimi gusti musicali, ma anche in quell'ambito i loro interessi andavano divaricandosi. Fuori dell'abitacolo intanto il panorama scorreva monotono, brutti palazzoni figli della speculazione edilizia anni sessanta e settanta alternati a tratti di mare aperto, a stento visibile nella nottata nuvolosa.
Infine, mentre un brano giungeva al termine e un ritmato abbaiare di cani preannunciava l'inizio del possente pezzo successivo, l'irritato autista se la prese con un collega troppo lento e azzardò un sorpasso senza avvedersi di una motocicletta, con in sella due centauri, che sopraggiungeva a tutta velocità. Quando se ne accorse l'evitò per un soffio con una brusca controsterzata. Quindi i ragazzi volsero lo sguardo sulla sinistra e videro gli occhi spiritati del barbuto conducente puntati su di loro. Questi gesticolava furiosamente al loro indirizzo, vomitando insulti.
L'autista superò finalmente l'auto più lenta e per un poco sopportò la presenza dei due figuri, ma costoro non parevano intenzionati a mollare la presa. Alla fine lui, perduta la calma, gli sterzò intenzionalmente contro ma un istante dopo, già pentito della reazione impulsiva, raddrizzò l'auto, appena in tempo per non urtare la moto, una Harley Davidson nera.
"Ma che fai, dai i numeri?" Esclamò il navigatore.
L'autista bofonchiò una risposta incomprensibile. Il centauro alla guida continuava a inseguirli e ora gesticolava e lampeggiava all'evidente scopo di farli accostare per regolare i conti, mentre il compare mostrava il dito medio alzato e rideva. Infine gli amici giunsero al punto in cui avrebbero dovuto deviare per poi andarsi a cercare un parcheggio.
"Stiamo arrivando. Che facciamo, ci fermiamo e scendiamo?" Chiese l'autista.
"No, no, vai avanti, quella è gente capace di andarsene in giro col coltello e sbudellarci."
I veicoli procedevano accodati. Il nastro dei Jane's Addiction scorreva ormai inascoltato.
"Non possiamo continuare così, finisce che arriviamo al confine con la Francia... "
"E arriviamo in Francia, chi se ne frega. Prima o poi si stuferanno di inseguirci."
Trascorsero in silenzio ancora un paio di minuti, quindi:
"Che casino, siamo quasi a Finale Ligure, se becchiamo code o semafori quelli ci prendono."
Nervosismo e apprensione si accumulavano dentro l'autista. Per colpa di un breve momento di stizza, l'harleysta gli restava appiccicato imperterrito. E il nervosismo e l'apprensione poco alla volta si trasformavano in rabbia e paura, emozioni da sempre cattive consigliere.
"Se freno bruscamente è così vicino che non riesce ad evitarmi. Che dici, lo faccio?"
"Non dire sciocchezze."
"Eppure qui se no finisce male, io quasi, quasi..."
"Non pensarlo neppure."
L'Autobianchi superò senza intoppi Finale Ligure e si lanciò alla volta di Pietra e Loano.
"Più avanti ci sono un mucchio di semafori e saranno cavoli amari. Se solo smettessero di passare auto nell'altra direzione io... tanto dai piedi non ce lo togliamo mica... ecco forse... siii!"
Un botto e la moto schizzò sopra il tetto dell'auto per poi atterrargli davanti. I due centauri volarono, rotolarono rovinosamente sull'asfalto e infine rimasero immobili. La via era deserta, niente testimoni. La macchina accelerò, slalomeggiò per evitare i corpi e continuò a viaggiare.
Tuttavia alcuni minuti dopo ripassò nel punto fatidico, sull'altro senso di marcia. Dovevano sapere. In parecchi si erano fermati a prestare soccorsi o a curiosare. Uno dei motociclisti era ancora disteso a terra, l'altro era seduto, dolorante ma in apparenza ancora tutto intero.
"Mi sa che quello l'hai proprio ammazzato." Disse il navigatore, costernato.
"Ma è stato un incidente, solo un incidente. È vero?" Implorò l'autista.
Quella notte avrebbe dormito ben poco, preoccupato delle conseguenze. E cosa gli riservasse il destino lo intuì due mattine dopo, quando fu svegliato prima dell'alba dal campanello della porta, e lo seppe in maniera certa in capo a tre anni, dopo le indagini e il processo, con sentenza definitiva passata in giudicato: quattordici anni per omicidio volontario... Eh no, eh. <<Rewind.
Per tutti esistono dei punti di svolta. A seconda di quale decisione verrà presa in
un determinato momento topico, la vita s'instraderà in percorsi del tutto diversi.
"Più avanti ci sono un mucchio di semafori e saranno cavoli amari. Se solo smettessero di passare auto nell'altra direzione io... tanto dai piedi non ce lo togliamo mica... ecco forse... siii!"
Un botto e la moto schizzò sopra il tetto dell'auto per poi atterrargli davanti. I due centauri volarono, rotolarono rovinosamente sull'asfalto e infine rimasero immobili. La via era deserta, niente testimoni. La 112 si fermò. Autista e navigatore restarono un attimo imbambolati a fissare la scena. L'harleysta alla guida giaceva a terra, vari metri più avanti. Nella caduta aveva perso il casco e dalla testa spaccata fuoriusciva materia cerebrale. Poco più in là il compagno gemette per poi sollevarsi sui gomiti, quindi volse la testa verso i due automobilisti e mosse le labbra.
L'autista non sentì cosa diceva ma se l'immaginò benissimo e temette che quanto era appena successo gli compromettesse il futuro: quello lo avrebbe mandato in galera. Un attimo dopo ripartì, passò sul corpo del ferito e se ne andò. Quando una macchina incrociò la sua non se ne preoccupò. Gli occupanti non avevano ancora motivo di prestargli attenzione. Se il suo amico se ne fosse stato zitto forse l'avrebbe scampata. Lui però sapeva di essere un assassino e di dover vivere per sempre con quella consapevolezza. Eh no, non andava per niente bene... <<Rewind.
***
Il multiverso. Un'insieme infinito di universi paralleli, alcuni magari identici al nostro tranne che per un unico, piccolo particolare, altri del tutto diversi. Il primo fisico a postularlo lo fece ormai parecchi decenni fa. E se dimostrarne l'esistenza è impossibile, lo è altrettanto escluderla.
Tant'è che stamani mi è tornato in mente quel vecchio episodio e mi è venuta voglia di dedicargli il mio nuovo scritto per PoesieRacconti. Devono essere trascorsi diciassette anni da allora e da sedici non frequento più l'amico dell'epoca, senza rimpianti. Sì, avete capito bene, l'autista della A 112 abarth blu ero io, l'autore del racconto che state leggendo. Come spero starete anche capendo (non vorrei passare per omicida), quanto sopra descritto non è accaduto. Tuttavia sarebbe potuto succedere. Mi sono fermato in tempo. Il viaggio sull'Aurelia, il motociclista che sopraggiungeva a tutta velocità, il mio sorpasso privo d'attenzione, sterzata e conseguente raddrizzata, l'inseguimento... tutto vero. E per qualche breve istante l'assassino dentro me ha pensato sul serio di frenare di botto e scaraventare il "nemico" sull'asfalto. Non l'ho fatto, però, non in questo universo, per lo meno. Sì, mi sono fermato giusto in tempo. E mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo se invece...
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