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Storie balorde
Ho iniziato a bere per colpa di un uomo; anzi, due uomini.
Uno era mio figlio, ma l'unica sua colpa è di aver sbagliato quella curva e di essersi schiantato con la Ducati nuova fiammante contro il platano più grande del viale, quello che porta al paese. A trecento mesi da casa.
Diciotto anni appena compiuti; una tragedia. Credevo di morire anch'io: di dolore.
La moto gliel'aveva regalata suo padre, anch'egli appassionato di motori.
Mi sa che volesse usarla pure lui qualche volta, magari per andare a trovare le sue donne, a fare qualche spacconata nelle sue terre di conquista.
Ne era capace. Lo sapevano tutti quello che era; io no. Io lavoravo tutto il giorno, scema che ero. Non sapevo mai niente, io.
Comunque non è facile immedesimarsi nella scomparsa prematura ed improvvisa di un figlio e, a chi non ha provato un dolore simile, gli auguro di non provarlo mai.
L'altro invece è il mio uomo, diciamo il mio compagno di tanti anni, anche se per la verità non mi faceva più compagnia; addirittura si può dire sia scomparso, svanito nel nulla. Un dolore, quello, che definirei di secondo livello. Per quel che valeva un uomo così.
Sono passati otto anni ed io sono diventata il relitto di quella carcassa che già ero. Lavoro ancora, certo, per mantenere il mio vizio e pagare l'affitto.
Per il mangiare ci pensa il cuoco della mensa nella quale faccio la tuttofare; di avanzi ce n'è da buttare. Roba buona, almeno per me.
La sera mi porto a casa anche una mezza boccia di vino, risultato di tutti i fondi dei bicchieri e delle bottiglie. Quando sparecchio li raduno su un tavolino e a fine lavoro faccio i travasi con l'imbuto. Quello recuperato nei bicchieri lo uso per fare l'aceto; basta metterci un pezzo di mollica fresca di pane e in poche settimane acidifica. Non so perché, ma è così.
Me lo ha insegnato il lavapiatti rumeno; loro lo fanno da sempre, se non hanno la madre dell'aceto.
A volte mi capita pure di raccattare qualche sigaretta nei pacchetti dimenticati, se no raccolgo i mozziconi più lunghi.
Sto descrivendo una barbona? Nossignori, sono una che lavora e si mantiene, io. L'unica critica che mi si può fare è che mi sono lasciata andare, come donna intendo, e che alzo un po' il gomito; ma dico, quanti uomini sono nelle mie stesse condizioni senza che alcuno abbia niente a che dire?
Di questa discriminazione me ne rendo conto al Bar della Stazione, proprio di fianco alla mensa dove lavoro. Credo che li abbiano messi apposta i due banchi separati.
Quello più sporco, e più in ombra, piccolo e triste come la fame, con il piano di appoggio in formica, è il nostro. Di noi alcoolizzati. E io sono una sorvegliata speciale nel popolo degli ubriaconi, perché sono l'unica donna. Non è giusto.
C'è Gino, che pulisce i cessi della stazione, sempre triste e solitario, e poi quel meridionale che lavora allo scalo merci, quello che tutti chiamano "Calabria", ed anche un tipo che si spaccia per professore in pensione, e potrebbe pure essere vero perché è sempre ben vestito e parla forbito. E poi beve whisky dopo essersi sistemato gli occhialini da snob, quelli con la montatura in similoro e le lenti rotonde. È l'unico, a questo banco, che si dà un contegno. Comunque pure il professore beve roba di seconda, non certo di marca.
C'è Antonio, anche lui meridionale come Calabria, forse pugliese, che passa di qui in motorino all'uscita dal lavoro; sempre in tuta, ma non sporco d'olio. Credo faccia il saldatore perché ha sempre gli occhi arrossati e la pelle bruciata, anche d'inverno.
Antonio non parla mai di niente; fuma e beve. Deve aver avuto una storia come la mia. Dicono che la moglie l'ha lasciato. È scappata con uno di Torino, senza preavviso. Hanno preso il treno insieme e non si sono più visti. Lui da bravo meridionale l'ha cercato, il tipo... se lo trovava, chissà come andava a finire. Meglio così.
Poi s'è chetato; lo ha aiutato la grappa. Dice che prima gli faceva schifo, anzi gli veniva da vomitare con quell'odore di fogna e fumo umido che hanno i distillati scadenti. E chi ci crede che separano la testa dalla coda... seeeh!
Adesso potrebbero dargli anche la benzina che lui trangugia, sicuro sicuro. Due o tre bicchierini, non di più, in due sorsi l'uno. Ma una volta a casa... chi lo può dire cosa beve.
Io a casa mi faccio fuori tutto il vino, lui avrà qualcos'altro, garantito.
È un uomo taciturno, educato. Esce e saluta con un timido gesto, anche se non guarda in faccia nessuno.
Per me si vergogna. Io no, sono più sgamata, o più vecchia del mestiere. Ne ho viste di storie.
Mi sa che Antonio non si è ancora dato pace ed allora sente gli sguardi su di sé... invece, chi vuoi che gli importi qualcosa di uno così, uno di noi insomma.
Ve lo dico io; penso di essere la sola che gli butta lì un'occhiata, anche perché è un bell'uomo. Troppo, per una come me... ma una guardatina non guasta. L'occhio vuole la sua parte; si dice così, no?
Ha quell'aria mediterranea che a me piace da matti, forse perché il mio uomo era biondo ed io sono nata nel profondo nord; a volte lo guardo e mi ricorda quel torero spagnolo, come si chiama, Dominguin, mi pare. Solo i capelli sono più folti, e ricci. È pure più alto: un bell'uomo, insomma.
Deve essere bello far l'amore con uno che ha una voglia matta; quasi quasi una di queste sere mi rimetto a nuovo e passo di qua. Non ero male da giovane; adesso ho cinquant'anni ma ne dimostro cento. Si fa per dire.
Invece quand'ero ragazza si giravano a guardarmi, e c'era sempre qualcuno che fischiava alla mia minigonna. A me piaceva che fischiassero, e mi voltavo, pure. Mi faceva sentire viva e un po' mi emozionavo. Ridevo e sculettavo, per accentuare.
Mi guardo allo specchio, quello dietro le bottiglie: sì, si può fare. Potrei ancora mettermi in ordine: parrucchiere, trucco e quant'altro. E poi un bel vestito, una borsetta, scarpe col tacco altino, calze in seta e magari un cappellino in paglia, che fa fine.
Adesso che s'avvicina la primavera potrei mettermi quel vestitino leggero, quello in cotone a fiori, con la fascia in vita di colore più scuro.
Che ridere se Ugo non mi riconoscesse.
Ugo è il barista; è lui che ci dirotta al banco dei... dei... non mi viene. Al nostro banco, insomma.
Invece andrei al bancone principale, quello con il piano in granito e le seggiole alte, tipo sgabelli e, sfoderando un accento lievemente francese - la erre moscia mi viene naturale, se voglio - gli direi:
" Rragazzo, una cosa buona da beve, chessò un apevitivo... fai te "
Mi piacerebbe anche fumarmi una bella sigaretta di lusso con tanto di bocchino. Intanto tirerei fuori dalla borsetta uno specchietto per darmi una rinfrescata al trucco.
E poi, se tardasse a servirmi, gli direi, per farmi riconoscere:
" Ugo, cazzo, è così che si sevvono le signove... ahahahah "
Il più misterioso di questo nostro popolo dei gradi alcolici è Leo. Lui è un artista, questo è sicuro. O almeno lo era. Ma uno se è artista ci rimane anche se beve: giusto?
A volte, ancora adesso, ci capita di vederlo con la sua divisa da pittore, nocciola scuro piena di chiazze di colore, ed in testa una specie di basco nero.
Viene qui alla chetichella, si liscia i baffi e si beve un paio di sambuche. Poi ordina un caffè e riparte con le sambuche.
Una volta mi ha detto:
" Come appoggi il bicchiere tu alle labbra non lo appoggia nessuno. Uno di questi giorni ti ritraggo... "
Ed io gli ho risposto:
" Sì..., come no. "
Di Leo si sa poco, ma quel che è certo è che pure lui è solo. O lo è sempre stato o lo è diventato. Qualcuno dice sia vedovo e viva di rendita. Mah... le nostre storie sono sempre strambe, altrimenti non lo saremmo noi.
Io i suoi quadri non li ho mai visti ma dicono sia bravo. Macchiaiolo, a quanto pare. Ed il genere a me piace, in effetti.
Ecco, è entrato Aldo, il barbiere. Mi bevo alla svelta il mio gin perché lui è uno che offre.
Lo fa per mascherare la sua dipendenza. È l'unico che Ugo lascia al banco dei signori.
Però Aldo è amico nostro, quindi dopo aver preso il suo bicchiere di brandy viene qui, a berlo. Per la verità lui chiede sempre, con aria di sufficienza e un sorrisino sulle labbra: " il solito Armagnac ". Ma è un modo scherzoso di prendere in giro se stesso dal momento che sa bene che gli viene servito il solito cognacchino scadente.
" Marta, te lo bevi un cicchetto? Gin, se non sbaglio... un gin per Marta, Ugo. "
Me lo porge e mi schiaccia l'occhio sorridendo. Si ferma un attimo, fa tintinnare il bicchiere contro il mio in segno di salute, trangugia ed esce di corsa.
Il negozio di barbiere è proprio di fronte, dall'altra parte della strada.
Prima o poi a forza di attraversare lo mettono sotto.
Qui si dice che un cicchetto gli serve a tener ferma la mano mentre rade, oppure quando taglia i capelli. È possibile. Anch'io ho la mano più sicura dopo una bella bevuta; stiro anche meglio. È dopo che si trema, quando ti manca...
Aldo è un buon uomo, uno che non farebbe male ad una mosca. Anche lui è solo; non ha mai avuto una donna, che io sappia. È il tipo che non piace, per quelle cose; non assangua, insomma. Dico fisicamente. Quel nasone già grosso di suo, e le orecchie a sventola. Ora che beve, poi... poveraccio. A me piace perché è discreto, ma anche affabile. Una cara persona; generoso, con me ma anche con altri del nostro mondo. Lui non ha una storia balorda alle spalle... eppure ci rassomiglia.
È tardi. Rovisto nel portamonete per vedere se ho ancora qualche spicciolo.
" Ugo, cosa mi dai con un euro e mezzo...? "
Ugo sta sistemando i bicchieri nella lavastoviglie e mi manda un'occhiata di traverso.
Si gira e comincia a dar di straccio al banco. Ma è una finta.
" Un calice di vino posso darti... rosso o bianco? " Lo dice in malo modo. Sembra sempre incazzato. Che tipo.
Ma vaffa... secondo te vengo qui a bere vino, io? Posso venderlo quello, ma che cavolo...
Mi alzo per uscire. Un giorno o l'altro glielo tiro in testa un bicchiere, a quelli lì.
Magari mi bevo un doppio whisky, che Ugo quello lo serve nel bicchiere grande, di vetro spesso. Almeno gliela fracasso, quella zucca.
Fosse per lui ci caccerebbe a pedate. L'ho sentito io lamentarsi con il padrone. Dice che il locale ci perde in immagine, per colpa nostra: che scusa è mai questa...
Come se un bar di passaggio, perché questo è il Bar della Stazione, avesse un'immagine da difendere.
Non lo dice però che con noi guadagnano il doppio, perché i prezzi bene o male son quelli, e intanto ci dà robaccia di seconda. Tanto noi si trangugia tutto.
" Te li do io i due euro per il tuo gin... costa tre e mezzo, no? " salta su Antonio, il mio Dominguin personale, rivolgendosi a Ugo.
Si girano tutti a guardarlo. Mai sentito parlare, Antonio.
Che bella voce. Ferma, decisa. Sembra uno abituato a comandare; e magari è davvero così, all'officina dove lavora.
Dopotutto, fuori dai nostri bicchieri mezzi vuoti, nessuno conosce bene nessuno.
Io mi sento onorata di questa cosa e non capisco più niente. Mi avvicino e gli do un bacio sulla guancia. È calato il silenzio.
Antonio non fa una piega; mi prende il borsellino, toglie le monetine e se le mette nella mano, insieme alle sue. Mi infila una Marlboro in bocca e accende.
Poi va al banco, quello dei signori, e con forza rovescia i soldi sulla lastra di granito, coprendoli con la mano. Il tintinnio delle monete suona come un avvertimento.
" Un gin... non il solito. Quello buono. Capito? "
Ugo lo guarda storto, ma tace; è un altro Antonio, quello. Non si sa mai.
La mia giornata non poteva finire meglio. Mi bevo il gin a piccoli sorsi, senza togliere gli occhi dal mio eroe, e tiro boccate profonde di fumo, appaganti. Anche lui ogni tanto mi guarda, pare quasi che mi studi.
Ho deciso: uno di questi giorni mi metto in ghingheri e lo abbordo. Ma forse, se mi vede in ordine, con i capelli lavati e con qualche colpo di sole, il vestito bello e tutto il resto, è capace di farmela lui la corte.
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2 recensioni:
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- ci ho messo un po' ma ne è valsa la pena leggere questo racconto! oddio, non è che ami tanto gli alcolisti ma capisco bene che dietro ognuno di essi ci sono storie tristi, preoccupazioni, problemi che se affogati nell'alcool pare spariscano per un po'; quando invece è solo mettere sul fuoco carne, a bruciare!
bello stile, mi piace e trovo ottimo il modo di narrare. simpatico dove serve; il che aiuta a smorzare un po' i toni del dramma vissuto dalla donna che ancora vuole o sogna di risalire la china perché sente di meritarlo.
ebbrava amorina (che foto!)
- La scrittura di questo racconto scorre veloce. E anche il contenuto dove i personaggi, forse, sono "pennellate". Scrivere un racconto è difficile, quindi la caratterizzazione dei personaggi ne perde sempre qualcosa. Per affronta un tema importante, quello dell'emarginazione, dello sgretolarsi della condizione umana. Del perdere il senso di identità. Piaciuto. E parcchio.
Anonimo il 12/08/2014 12:08
A Karen invece voglio dire che l'ho scritto il seguito... stavolta a parlare in prima persona è lo scrittore che per scrivere un racconto va a cercare ispirazioni nel bar di una stazione della vicina città e lì incontra proprio lei, Marta, tirata a nuovo e in compagnia di tutta la combriccola... uno di questi giorni riposto entrambi i racconti come Colosio... prima questo e poi il seguito... il titolo è:
Guerra e pace l'avevano già scritto... ciaociao Karen, un bacione da me e uno piccolo da Amorina.
Anonimo il 12/08/2014 11:50
Cavoli, che stupido, pensavo di non poter più commentare come Amorina avendo perso i dati e la pass e non essendo più in grado di recepirla( la redazione non si fida di Colosio Giacomo... ma Amorina la mail l'ha fatta scadere)... ma posso farlo con questo mio nick vero firmando però Amorina...
e allora grazie a Ilio, che non conosco, e Augusto, bravissimo scrittore. Ma anche a raffaele e Arabesk... bacino
Amorina Rojo
- Piaciuto... Scrivi davvero bene!
Anonimo il 13/09/2012 07:25
Non credevo di poter provare questo interesse a leggere...
di mattina... di solito mi ci vuole un po' a carburare..
Ma tutto è scorso veloce... quasi mi è dispiaciuto che la storia finisse...
Davvero bella... complimenti...
Anonimo il 12/09/2012 14:41
Grande Giacomo, scrivere in prima persona immaginandosi donna...
- Virgi... non ho faticato a scriverlo codesta novella perchè la protagonista sono io. Vedi come mi son ridotta?... povera me, madonninabona... ahahah... bacino.
- Bello questo flusso di pensieri che la protagonista riesce a trasmettere con un'inaspettata lucidità. Ottime le descrizioni dei personaggi, sembra quasi, non solo di vederli, ma proprio di conoscerli... questa specie di grande famiglia.
- Sì cara Sabrina ( come fò a darti il bacino, ora che tè tu sai... te lo fò dare da Loris... ahahah) credo davvero che tè tu c'hai azzeccato... volevo proprio scrivere una storia quasi fosse vissuta dall'interno e da una donna... e nel linguaggio usato, che non è di Giacomo, ci doveva essere il senso della solidarietà... mi piace molto quella tua definizione di racconto liberatorio. bacino
Anonimo il 24/06/2012 16:39
hai raccontato una storia ricorrente con un linguaggio leggero che sicuramente non può che far bene sia a chi vive questo dramma in prima persona che a coloro che osservano dall'esterno. Dà molto calore questa solidarietà fra persone disperate. È un racconto liberatorio. Bellissimo.
- Bella idea Karen... tirata a nuovo col cappellino di paglia... quasi quasi ci porovo... ops, sono giacomo... cambio subito, ridivento Amorina.
Grazie Chira... proprio così... se ti soffermi ad osservare i bar della stzione ci può uscire di tutto. bacino
Anonimo il 24/06/2012 10:46
Il bar della stazione... quanti ce ne sono con gli stessi personaggi! Dalle loro parole hai saputo tratteggiare anime perse nella solitudine di storie dolorose. Narrare molto gradevole!
- Ma che bello Amorina...
non hai idea di come ci sono entrata dentro.. mi sembrava di vederli dal vivo questi personaggi...
Logorati dalla vita.. si bevono il mondo con il gin...
triste realta'.. ci sono molte persone che bevono... anche molte donne ormai...
Io pero' aspetto il seguito... mmmm la voglio vedere tirata a lucido con il cappellino di paglia...
Bravo Giacomo... Amorina ti ha aiutato a scrivere un racconto stupendo!!!!
- Grazie Carla e Stella... proprio quello volevo trasmettere...è nata come idea una sera in un bar della stazione, dopo che ho visto una scena... mi sono immedesimato in quella donna ed anche in me stesso è uscita la parte femminile. Un esperimento che io ritengo riuscito in quanto alcuni racconti scritti come Colosio Giacomo sono nettamente inferiori: almeno come impatto emotivo. bacino
- Una storia che mi ha, devo ammetterlo rattristata. . . vi ho letto tanta solitudine e dolore, per una vita ben lontana da quella desiderata. . . il bere ti distrugge l'anima, è un regno di solitudine lacarante, perchè quando la lucidità attiva alla mente si è come massacrati nel capire il "rottame" che si è diventati... struggente racconto
Anonimo il 22/06/2012 18:43
cinque pagine volate, come una folata di vento scorrevole bello con un velo di malinconia... quanta gente trova dopo grandi dolori consolazione in paradisi artificiali e magoari come in questo meraviglioso racconto solidarietà, proprio da chi conosce il dolore, l'indifferenza, la povertà , il tradimento... toccante in alcuni punti veramente brava... scusa bravo... un abbraccio affettuoso...
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