Ero lì che mi trascinavo pigramente lungo un ramo livido e spoglio quando la sentii per la prima volta. Era una sensazione confusa e viscerale, una morsa proprio tra il torace e l'addome, qualcosa stava schiudendosi per fiorirmi nel ventre molle. Mi lasciai trasportare sino all'estremità di quel ramo, m'appesi e m'assopii.
Non saprei dire di preciso quanto durò la mia convalescenza, ma d'un tratto mi svegliai immerso nella tenue e rubiconda luce di quella che pareva essere una lugubre, fetida grotta sanguigna e turbolenta. Le pareti, che al tatto parevano essere spugnose e fessurate, si contorcevano in spasmi violenti, trasudando un nauseabondo liquido giallognolo che, più in basso, si raccoglieva, brulicante di bolle, in un enorme cavità semovente. Sconvolto e stordito dai vapori tossici di quell'immane, viscido mare infetto, vagai febbrilmente da una parte all'altra di quell'immenso atrio sempre più turbolento, cercando possibili aperture tra le carni irrorate di sangue. Tutto fu vano, mancai di poco l'apertura che proprio in alto cominciava a restringersi, precipitai nel liquido infetto. Tra atroci sofferenze il mio corpo si dissolse, vittima di chissà quale incauto innamoramento puerile. Senza dubbio è uno schifo la vita da farfalla.