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La storia di Licia e Michelangelo. Capitolo II
Dopo quindici giorni il capo lo chiamò e gli consegnò un ordine di servizio con il quale veniva nominato capo del primo settore delle posizioni assicurative.
Fu collocato in una sorta di acquario a piano terra, diviso da una vetrata, in un angolo di un grande salone. Era un layout funzionale alla concezione del capo e al suo rapporto con gli impiegati; distacco e controllo.
Era solo tra le carte e tanti provvedimenti da firmare (così cimavano le lettere che spedivano). I fascicoli crescevano ogni giorno di più, e Michelangelo li utilizzava come trincea per nascondersi, perché era impaurito come un coniglio messo in gabbia.
Leggeva tanto, ma la teoria è sempre molto diversa dalla prassi. A volte si faceva forza e, con umiltà, andava a chiedere spiegazioni ai collaboratori che avevano preparato i provvedimenti. Ma non sempre riusciva a capire, non con tutti riusciva ad interloquire. Non gli restava che andare dal capo reparto al primo piano. Lo accoglieva con un sorrisetto, che non si capiva quale sentimento esprimesse. Cercava di districarsi, a volte balbettava qualcosa, a volte lo inviava al capo del terzo settore, un signore con il pizzetto, asciutto come una acciuga, impettito nel suo vestito attillato.
Tutti lo ritenevano un genio della previdenza e lui faceva di tutto per conservare la sua autorità e l'autorevolezza.
Con Michelangelo era freddamente cortese, formale e distaccato. Lo ascoltava a fatica, come se dovesse sospendere sempre qualcosa di estremamente urgente ed importante. A volte dava un suo parere, si alzava a prendere un modulo che teneva chiuso a chiave nell'armadio, dettava gli estremi di una circolare. Altre volte si faceva lasciare la pratica, dicendo che era complessa e che l'avrebbe trattata personalmente.
Michelangelo masticava amaro. Forse inavvertitamente doveva comunicare un senso di frustrazione e di avversione. Giurò a se stesso che avrebbe infranto questo mito seduto sul piedistallo della riservatezza, o meglio l'accaparramento delle conoscenze. Non capiva perché i ciclostilati doveva tenerli chiusi in un armadio, come cosa riservata; non si riusciva a trovare un perché al fatto che le circolari non fossero di dominio pubblico.
Un giorno bruciò il sorriso sulle labbra del capo reparto con un non voglio più andare da Factor, le spiegazioni le voglio da te e se non sei in grado, ti informerai. Vile qual'era, restò di stucco, balbettò qualcosa e Michelangelo andò via.
Correva l'anno 1977 ed erano tempi di contestazione contro i capi, c'era gente che contestava non solo i singoli capi ma anche il ruolo del dirigente. C'era qualche testone che riteneva che con l'informatizzazione e la standardizzazione del processi produttivi non c'era più bisogno né di professionalità, né di capi. Tutti gli adempimenti sono semplici, diceva, impastando la teoria della divisione del lavoro con la teoria marxista della lotta di classe.
Una rivoluzione culturale ed una rivendicazione egualitaria, dove tutti sono uguali, dove i capi sono espropriati di ogni potere ed ogni conseguente responsabilità.
Nel secondo settore c'era un nucleo di donne che fondeva questa lotta con un femminismo nascente, essenzialmente di rottura. Si parlava di esperienze di comunità miste dove si sperimentava anche lo scambio di coppia insieme ad una vita di gruppo avulsa dal contesto sociale.
In ufficio andavano solo per una sorta di esproprio proletario che consentiva loro di condurre una vita da piccoli borghesi; le contraddizioni erano palesi, invero come in ogni movimento innovativo, di rottura con il passato.
Questo miscuglio si trasformò in un ordigno che esplose in una contestazione violenta contro il capo, un tipetto asciutto, biondino, spigoloso, impregnato di una robusta cultura giuridica. Era stato anch'egli un allievo della istruttrice di Michelangelo. Pare che la frequentasse anche fuori dell'ufficio e questo acuiva il suo carattere rigido e intransigente.
La Direzione, per evitare che il fuoco della protesta divampasse, lo promosse vice capo reparto e, senza nemmeno convocarlo, nominarono Michelangelo nuovo capo del secondo settore.
Non si è mai saputo se fosse una manifestazione di stima o fosse la scelta più semplice, trattandosi di una persona ancora non radicata nell'organizzazione e senza alcuna copertura sindacale.
Michelangelo capì che era una prova, aveva paura ma era anche fiducioso. In fondo non si sentiva un capo.
Si presentò timido, in punta di piedi. E si collocò in un angolo, con la scrivania di traverso come non ne avevano viste mai.
Fu accolto senza proteste, alcuni accettavano di parlare con lui volentieri, si confidavano, accettavano consigli e nuove impostazioni del lavoro.
Ma un giorno due ragazze ribelli, Mara e Giusi, discutevano accanitamente. Michelangelo le guadava senza intervenire. Poi prese un fascicolo e andò da Mara, una ragazza attraente, biondo acceso. Intelligente e inquieta. Viveva per la rivoluzione, cercando forse di dare un senso ad una vita piena di acciacchi.
Scusate, usava il voi da vero meridionale, se vi interrompo, ma ho bisogno di lumi su questa pratica, è un caso che mi capita per la prima volta. Si figuri, rispose, stavamo discutendo proprio di lei.
Di me? Siete tutti così cordiali con me. E poi mi state dando tante soddisfazioni. Sono proprio contento di tutti voi. E questo è il punto, non abbiamo niente da rimproverarle, ti posso dare del tu? Certo datemi pure del tu, ma ditemi perché discutevate di me. Non so se posso confessarti il nostro stato d'animo, se riesci a capirci. Ma da quando sei venuto, tra di noi qualcosa si è rotto, non siamo più uniti. Mara, ma io faccio di tutto per tenervi uniti, per creare una dinamica di gruppo, io credo nel gruppo di lavoro perché tutti possiamo aiutarci. Sapete per me prima dell'impiegato viene la persona, il rapporto umano. Quando funziona, quando si sta bene insieme il lavoro, i risultati arrivano automaticamente. Per questo io non vengo mai a controllare le pratiche che definite singolarmente. E alla fine del mese i risultati ci danno ragione, il nostro è il migliore settore, il Capo reparto non viene mai, ci lascia liberi.
Per questo stiamo discutendo, questo è il problema; noi non abbiamo niente da rimproverarti, tu non ti comporti da capo. Tuttavia noi che eravamo uniti nella lotta contro il capo ora ci sentiamo spiazzati, non ce la sentiamo di lottare contro di te e nello stesso tempo non troviamo niente che ci unisce.
Mara, ma tu... voi dovete lottare per un obiettivo valido, la lotta non deve essere il fine, la lotta per la lotta, ma solo uno strumento per raggiungere il fine. Se avete un capo, o meglio un coordinatore, un primo tra pari che vi soddisfa avete già raggiunto i vostri obiettivi. Ora insieme, se credete, possiamo porci altri obiettivi, obiettivi più alti, creare un clima dove tutti stiamo bene, lavorare in armonia per sentirci realizzati come persone.
No Michelangelo, posso chiamarti per nome? Certo che puoi. Io non posso pensare di trovare la mia realizzazione nel lavoro, non posso vendere la mia intelligenza all'Istituto. Io sono una umile impiegata. Sono un numero, sono pagata come numero.
Ahi, Mara! Pensala come vuoi ma l'Istituto ti consente di essere libera dal bisogno. E, per dirla terra terra, noi passiamo molto del nostro tempo in ufficio, se stiamo bene, se siamo impegnati il tempo passa prima, e se riusciamo persino a trovare un sottile piacere nelle cose che facciamo, andiamo a casa più leggeri, più ... No Michelangelo non puoi convincermi. Per me questo lavoro è solo un aspetto marginale della mia vita. altre sono le cose che contano! Va bene Mara cercherò di non abusare della tua intelligenza e della tua preparazione, mi autoconvincerò che sei una mediocre, o meglio che puoi darmi solo servizi mediocri. Ma sappi che così fai il doppio della fatica!
Mi dispiace per te, Michelangelo, ma tu rappresenti l'Istituto e non puoi avere oltre alle mani anche la testa e il cuore.
Mara, accetta te almeno il mio testone, il cuore è impegnato sebbene sia come un pozzo, più tiri acqua e più si riempie.
E ricordatevi che non è il ruolo o le cose che si fanno a dare dignità alle persone, ma siamo noi che diamo dignità alle cose che facciamo e al ruolo che ricopriamo. Tutti siamo in funzione dell'altro.
Si sorrisero e Michelangelo ritornò al suo posto.
Mara non gli diede mai ragione ma in cuor suo comprese la lezione e nel tempo divenne una impiegata modello, anche se tormentata. Il lavoro non poteva riempire il vuoto che aveva dentro. E un bel giorno lasciò quel lavoro per dedicarsi ad un lavoro più creativo; lei aveva bisogno di libertà come gli uccelli.
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