Sembra che da piccolo fossi un bel bambino. Ogni volta che faccio questa riflessione penso che sia strano, comparandola con quella fatta dallo specchio poco prima. Ma sappiamo com'è, a vent'anni ho la faccia che mi ha dato Dio, a cinquanta quella che mi merito io. Comunque, che si voglia credere o no, ero proprio carino, bruno, con gli occhi azzurri... e poi è quello che dice la mia mamma, e questo è un dato di fatto.
Ma, come diceva la povera zia Maria che passò gran parte della propria vita tra ferri e gomitoli di lana, ad ogni dritto corrisponde un rovescio. Il mio, di rovescio, consisteva nella profonda, urticante, riprovevole invidia che in evidenza suscitavo in tutte le mamme, nonne e zie del vicinato. Sì, perché sembra che "l'invidia del bimbo bello" si sviluppi nell'ambito femminile. Non prendetela con me, io riporto solo i fatti, suffragati, tra l'altro, dalla testimonianza di due mie zie vissute in famiglia con me fin dalla mia nascita. E questo è un altro dato di fatto.
Sono nato in una casa di borgata, staccata dal centro cittadino, quasi fosse un piccolo paese. Case attaccate le une alle altre, sorreggendosi a vicenda in un patto di mutua assistenza. Va da sé che in un posto così la riservatezza, o privacy come diremmo oggi, non era un grosso problema. Così, ogni volta che uscivo di casa tenendo per mano la mamma, o una delle due zie, o il nonno (non vi preoccupate, i componenti della mia famiglia si concludevano con il mio papà e uno zio, ma il primo era troppo indaffarato, e vorrei vedere, mentre il secondo poco più grande di me) ero sottoposto a un fuoco di fila di occhiate evidentemente non tutte benigne, tanto che iniziavo un pianto dirotto che terminava solo a notte fonda, tra la disperazione dei miei genitori. Quando il problema si cronicizzò, rischiando di innescare una vera e propria crisi familiare, pensarono bene di tentare di risolverlo. Naturalmente non mi portarono dal medico. A quei tempi un dottore era merce rara e cara, con una discreta prevalenza del secondo aspetto del problema sul primo.
Fu così che conoscemmo la "signora che guasta il malocchio". Sissignori, perché il mio era un problema di "malocchio", cioè di quella particolare influenza maligna indotta mediante i propri bulbi oculari da individui adusi a pratiche di non provata correttezza verso propri simili non ancora dotati di accurate difese naturali, cioè i bambini.
Naturalmente i miei ricordi devono per forza coincidere con quelli delle mie accompagnatrici (mamma e zie), e qui devo fare uno sforzo di fantasia perché, secondo la fonte da cui proviene il racconto, le testimonianze tendono a divergere, e non di poco. Comunque sembra che la signora avesse dedicato alle sue pratiche evidentemente remunerative una stanza della sua poco spaziosa dimora, dove dopo aver sciorinato a bassa voce una sequela di litanie di origine sconosciuta, prese ad armeggiare con le sue ampolle di acqua benedetta, olio e altre sostanze, finché non decretò ad alta e chiara voce: " Il bambino è a posto. Mille lire." In effetti uscivo da quella casa in assoluto silenzio, e la cosa veniva vantata dalla signora come prova dell'efficacia dei propri riti. Naturalmente il giorno dopo ricominciavo a piangere.
La mia prima infanzia trascorse così, in una famiglia di sette persone me compreso, con due zie poco più che adolescenti che facevano a gara nel dispensarmi le loro attenzioni e uno zio bambino che invece adocchiava con bramosia i miei giochi, un nonno che lavorava (e litigava) con papà, quest'ultimo sempre al limite dell'esaurimento psico-fisico e una mamma che invece tale limite l'aveva abbondantemente superato
Che posso dirvi, in una famiglia così bisogna nascerci per capire che cosa è stata la mia infanzia. Senza molti soldi ma nemmeno privi del necessario, i miei ricordi si mescolano alla magia quando ripenso allora, a una casa in cui c'era spazio per tutto, anche per l'irrazionale. Che tempi, quei tempi.