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Erano giorni che l'altalena si era fracassata sul terreno ed era sul punto di marcire, ma c'era sempre l'onnipotente scivolo dalla lunga e calda lingua luccicante, pronto a leccare i nostri culetti ancora vergini.
Non c'era consentito scavalcare il grosso recinto in metallo arrugginito che ci avvolgeva nel maternoso grembo della piazza, i nostri genitori ce lo avevano categoricamente impedito.
Se ne stavano li, a fumare ricordi tra loro persi nel vento e lavori fulltime e corna e silenzi rinchiusi nella loro alcova d'amoroso odio.
Sentivamo l'infanzia come un bene prezioso da custodire gelosamente quando notavamo, negli occhi dei nostri genitori, l'illusoria utopia della vita e del suo crescere.
Ma mio nonno con la sua profonda voce e le sue vecchie mani da libraio storico, in una magica notte resa tale da una semplice luce di un abajur, mi raccontò che in quella stessa piazza si nascondeva un tesoro. Non mi spiegò esattamente di che tipo di tesoro si trattava, ne tantomeno il punto preciso dove poteva essere nascosto ma il tesoro c'era, e di questo ne eravamo tutti d'accordo.
"SCAVALCARE IL RECINTO? TU SEI PAZZO VASCO" ripeteva Giuseppe incerto.
Vedevo nel suo volto i segni dell'agghiacciante terrore verso l'ignoto.
"È UN IDEA GRANDIOSA" dissero in coro Lapo e Renzo.
Mi voltai verso Guido, quest'ultimo, dopo qualche istante di titubanza, acconsenti annuendo.
"Bene! Quattro contro uno! la decisione è presa" dissi "SCAVALCHIAMO IL RECINTO"
E cosi fu.