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L'isola di Giovanni
Dove la valle si allarga le acque dei ruscelli si uniscono rallentando la loro corsa per formare il fiume, che nella ricerca del suo naturale approdo sovente segue tracciati inconsueti. C'è un luogo in cui le acque ancora irrequiete lambiscono una modesta altura, e nel tentativo di ricongiungersi la circoscrivono interamente, fino a formare una piccola isola sulla cui sommità sorgono i resti di quella che fu una magnifica residenza signorile di campagna, villa delle ginestre, da tutti conosciuta come la casa nera.
Mura contorte e annerite, resti di travature lignee arse dal fuoco, la vegetazione selvatica che il trascorrere degli anni aveva reso sempre più folta fino a ricoprire quasi interamente i cumuli di macerie da cui affioravano tracce degli antichi stucchi e dei raffinati soffitti affrescati, ultime testimonianze di un passato splendore, annientato in una notte di orrore assoluto il cui ricordo provocava ancora sgomento tra gli abitanti più anziani del vicino paese.
I binari, che avevano smesso di costeggiare le spiagge solitarie, giunti in corrispondenza della foce presero a curvare in direzione delle vicine colline, cominciando una lunga, appena percettibile salita. A fianco, in direzione opposta, scendeva il fiume. Alla piccola stazione del paese Giovanni, che non aveva voluto avvertire i suoi anziani genitori per non affaticarli, mise la borsa a tracolla, alzò il bavero della giacca e di buon grado s'incamminò verso casa.
Buon camminatore e dotato di un fisico asciutto, impiegò meno di un'ora per giungere a destinazione, passando per la vecchia strada bianca che fiancheggiava il fiume e che gli consentiva di poter vedere da lontano i suoi genitori intenti al lavoro, chini su quella terra della quale avevano cura nell'adempimento di quel silente contratto di mutua assistenza che la gente dei campi sigla con la stessa non appena viene al mondo. A poca distanza uno sperone sembrava sbarrare il corso del fiume. Alla sua sommità, un cumulo di macerie asserragliato dalla vegetazione fungeva da piedistallo a una pallida figura intenta ad osservare la vallata. Non appena lo vide si girò verso l'unico tratto di muratura ancora in piedi, per avvertire l'anziana donna che vi si era appoggiata.
- È giunto a casa! -
La vecchia fece una smorfia, e coprendosi il capo con il velo che le cingeva le spalle, rispose alla scura vedetta.
- Ti sbagli. Domani sarà a casa. Domani verrà qui. -
La persiana batteva sulla parete dei colpi monotoni e regolari come se misurasse il tempo. Giovanni, stanco di avvolgersi nelle coperte in attesa di un sonno che non arrivava, si alzò per affacciarsi dalla finestra. La notte stava impallidendo e il suo acre sapore andava attenuandosi, lasciando il posto al sentore di rugiada dei primi raggi di luce che già a oriente incendiavano le nuvole basse sull'orizzonte.
Giovanni improvvisamente ricordò. Un oscuro episodio della sua infanzia si riaffacciò alla sua mente, riemergendo dall'angolo in cui il tempo l'aveva relegato.
Ora sapeva perché era tornato in quella casa dopo tanto tempo, perché si era imposto quel viaggio scomodo senza capirne il motivo. Lo stavano aspettando.
Salutò i due anziani genitori pregandoli di non preoccuparsi, e di aspettarlo per cena quella stessa sera. La loro disperazione lo feriva ma non mutò il suo volere.
Mentre guidava la vecchia auto del padre, arrancando sulle strette curve della strada in salita, pensava a se stesso all'età di dieci anni, a quella visione che poi venne liquidata come fantasia infantile, ma che ora sapeva essere la verità.
La salita finì solo quando arrivò di fronte alle macerie della villa, attraversando la sottile lingua di terra che la collegava alla costa. Scese dall'auto rabbrividendo sotto la sferza gelida del vento. Avanzò sicuro in mezzo a quelle rovine, finché arrivò alla spianata da cui si poteva scorgere la valle. Là in basso, vicino al fiume, c'era la sua casa.
- Giovanni sei arrivato finalmente. Vieni qui. -
Si girò in direzione della voce, e vide appoggiata al muro, avvolta nel suo nero scialle, la signora. Nella sinistra figura posta alla sua destra riconobbe il messaggero che gli apparve sul greto del fiume predicendogli il futuro. Lentamente si avvicinò, fermandosi quando gli venne ordinato dalla donna. Se avesse potuto guardare dall'alto, si sarebbe accorto di trovarsi proprio sopra uno dei vertici di un triangolo disegnato sulla vecchia pavimentazione. Agli altri vertici l'anziana e il suo assistente.
Improvvisamente qualcosa mutò intorno a lui, sentì una variazione nella densità dell'aria, come se qualcosa di immensamente grande lo stesse osservandolo da vicino, tanto da percepirne il respiro. Udì levarsi nell'aria un'incomprensibile canto lugubre, ma l'intensità con cui veniva ossessivamente ripetuto quello che comprese essere un nome, in un crescendo che stava raggiungendo il parossismo gli fece capire che sicuramente si trattava di un invocazione. La maligna presenza di cui aveva annusato il respiro stava per manifestarsi.
Chiuse gli occhi e pensò a una mattina di Dicembre di tanti anni prima, sulle rive del fiume.
Stava camminando lungo il greto, con le scarpe che andavano accumulando umidità per via delle piccole buche piene d'acqua nelle quali ogni tanto metteva un piede. Era uscito presto di casa, senza fare i compiti, e sapeva che al suo ritorno sarebbero stati rimproveri. La scuola chiusa per il Natale gli consentiva di trascorrere molto del tempo a disposizione sulle rive di quel fiume, suo unico compagno. Il paese era distante, e nelle case vicine non c'erano suoi coetanei.
Voleva bene a quel corso d'acqua, lo sentiva vicino da quando il nonno gli aveva raccontato una storia, che concluse con queste parole.
- Il fiume non parla come noi, ha un suo linguaggio, sta agli uomini capirlo. Però egli ascolta, conosce tutte le nostre storie, ma non giudica, continua a scorrere calmo verso il mare. Ma, ricorda Giovanni, egli sa tutto di noi, di me, di te, e non puoi mentirgli. Fidati di lui, ma rispettalo, Giovanni, perchè il fiume sa distinguere ciò che è vero da ciò che non è. Lui dice sempre la verità. -
Una sagoma nera in lontananza si stava avvicinando, rivelando un essere di una magrezza inaudita, e di un pallore inumano. Lunghi capelli circondavano quel volto ossuto, occhi senza espressione lo stavano fissando. Quando lo strano uomo lo raggiunse cominciò a parlare, chiamandolo per nome.
- Giovanni, tempo verrà che potrai ricongiungerti alla tua famiglia, e dovrai lasciare questa valle per ritornare a casa, la tua vera casa! -
- Signore, la mia famiglia e la mia casa stanno là. - obiettò il piccolo Giovanni,
indicando verso la propria abitazione.
- Lassù è la tua casa. -
Disse quello segnando con un dito la casa nera. Poi s'incamminò, ritornando dal luogo dal quale era venuto.
Rimase lì, sul greto del fiume ancora a lungo, meditando su quello strano incontro e sul significato di quelle oscure parole.
Quando tornò a casa e raccontò tutto ai genitori, questi cercarono di rassicurarlo abbracciandolo e dicendogli che quell'essere non esisteva e che doveva dimenticarsi della vicenda.
Il senso di oppressione era diventato insopportabile, il cuore pulsava impazzito, incapace di reggere a lungo quel ritmo, le vene del collo gonfie e nere minacciavano di rompersi.
- Apri gli occhi, Giovanni, non resistergli, non puoi, non devi. Lui ti darà il
potere, lui ti darà la forza. Apri gli occhi, Giovanni, te lo ordino! -
La voce dal tono imperioso della vecchia donna vinse la sua forza di volontà, e lo costrinse ad aprire gli occhi.
Quello che vide ebbe il potere di farlo vacillare, obbligandolo a cercare un appiglio per consentirgli di restare in piedi.
Immobile in mezzo al cielo, a poca distanza dalla casa, vi era una bestia che definire immonda era poco, ma si rese conto che non esistevano aggettivi per poter rendere appieno il terrore ed il disgusto che stava provando a quella visione.
Due ali gigantesche sostenevano nell'aria un essere il cui corpo era composto da quelli putrefatti di innumerevoli esseri umani. Un infernale, abominevole puzzle formato da centinaia di braccia, gambe e teste che si agitavano senza sosta. Quel brulicare interminabile, unito al coro di lamenti strazianti che proveniva dalle gole di quei poveri disgraziati, era più di quanto una persona potesse sopportare senza sfociare nell'irrazionalità. La visione si completò quando l'essere volante abbassò la testa per guardare verso di lui. Due occhi di una ferocia inaudita la stavano guardando, privandolo di ogni speranza e confermandogli la pochezza delle nostre paure a confronto della realtà di ciò che ci aspetta.
- Guardalo Giovanni, guardalo. Lui ti vuole. Lui è il tuo vero padre!-
In lontananza un fulmine squarciò il cielo, un tuono assordante preannunciò una specie di diluvio che in breve tempo si manifestò in tutta la sua essenza, precipitando al suolo un'incredibile quantità d'acqua. Quelle parole avevano spaventato Giovanni ancora più di quel mostro. Gli vennero allora in mente le parole del nonno, che replicò ad alta voce.
- Il fiume sa cos'è vero e cosa non lo è. Il fiume conosce sempre la verità. Ho aperto infine gli occhi ma non per tuo ordine, non per suo volere, ma perché lo voglio io! -
Giovanni si mosse dalla sua posizione recandosi verso il limite della spianata. Vide dall'alto la sua casa, e poco lontano il fiume ingrossato da quel temporale improvviso. Non poteva vederli, ma intuiva i suoi anziani genitori disperati mentre guardavano verso la casa nera. Osservò la sua casa a lato della quale vide i genitori che lo stavano guardando.
- Il fiume sa. Io non ho voluto.-
Le ultime parole pronunciate da Giovanni lo accompagnarono nel precipizio verso cui si era lanciato. Certe affermazioni vanno smentite prima che possano diventare verità. Proprio allora le acque del fiume, raggiunte dal corpo di Giovanni, come animate da volontà propria si abbatterono sul sottile istmo che collegava la casa nera al resto della costa, frantumandolo, lasciando le rovine della villa in cima a una piccola isola dalle pareti scoscese. L'isola di Giovanni.
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