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Il Cavaliere Giullare
C'era una volta, tanto tempo fa, in un luogo che oggi non conosciamo più, un sontuosissimo castello; le sue stanze erano adornate con oro, argento e drappi di seta. La ricchezza e il lusso abbondavano dappertutto. In questo castello risiedeva un re, un re potente e maestoso. Egli regnava su un regno molto vasto e prosperoso. Era molto amato dal suo popolo e da tutti i suoi cavalieri. Il sovrano amava moltissimo, insieme alla sua adorata regina, intrattenersi nella sala del trono con giochi, balli, canzoni e spettacoli ai quali tutti i cortigiani erano invitati ad assistere, se lo volevano.
La felicità del re influenzava quella di tutto il castello e i contadini del reame. Quel regno, infatti, era conosciuto come il regno più felice del mondo; nessuno lì fu mai visto triste o di cattivo umore, né addirittura fu mai visto piangere. Perfino i bambini piccoli, quando cadevano o si facevano male, non piangevano, ma ridevano gioiosamente mentre si rialzavano. Le carceri del castello erano inutili, poiché se tutti sono felici, nessuno ha bisogno di rubare, così il re le aveva trasformate in magazzini per il cibo. La gente viveva molto a lungo, poiché il riso e il buon umore, si sa, allungano la vita. Per tutti questi motivi il regno portava il nome di Regno della Felicità.
Un triste giorno però, una strega malvagia e antipatica, che viveva molto lontano e che detestava l'allegria e la felicità, venuta a sapere di questo regno così felice e allegro, decise che ciò non poteva esistere e che avrebbe dovuto fare qualcosa. Prese dal suo antro tutto il necessario per fare un incantesimo molto potente e si mise in cammino verso il castello del regno della Felicità. Quando vi arrivò, si stupì di come chiunque, contadini o cavalieri, vecchi o bambini, nonostante lei fosse brutta e cattiva e avesse sempre destato odio nella gente, la accolsero calorosamente nel loro regno. Stupita, ma pur sempre determinata, si recò al castello del re, dove poté entrare senza problemi, anzi il re le disse che era la benvenuta.
La strega, colpita da tale sovrabbondanza di buonumore e felicità, si arrabbiò tremendamente: non poteva sopportare tutta quell'allegria e letizia! Uscì di corsa dal castello nello stupore di tutti i cortigiani e del sovrano stesso, e si nascose nel bosco adiacente il maniero. Lì iniziò a trafficare con i suoi strumenti magici fino a raggiungere la potenza massima della sua magia. Lanciò quindi il suo terribile incantesimo sul re e sulla sua corte. Nessuno sarebbe più stato felice in tutto il reame: questa era la sua maledizione. Poi, soddisfatta del suo lavoro, scappò a gambe levate senza lasciare traccia.
L'incantesimo era potentissimo e generò un'enorme nuvola scura, violacea, che oscurò il sole e si stese come un velo sul castello e si espanse su tutto il regno, poi pian piano si dissolse nel nulla, come se non fosse successo niente. E così avvenne che tutto il popolo iniziò ad incupirsi, ad intristirsi terribilmente. Al re non facevano più ridere né i giochi, né i canti, né i balli; a nessuno fecero mai più ridere e nessuno ballò, cantò o giocò più in tutto il regno.
Il re, disperato per la visione del suo regno ridotto in quello stato e frustrato dal fatto di non riuscire più a divertirsi, promise che chiunque fosse riuscito a fare tornare l'adorabile suono della risata nel castello, come ricompensa, sarebbe subito stato nominato cavaliere. Così, in tutto il regno vennero appese copie dell'editto, con la speranza che un rimedio si presentasse a corte. Molta gente ci provò; tutti tentarono con barzellette, canti e balli a far ridere il re, ma senza successo purtroppo.
Passarono anni e anni e i tentativi furono innumerevoli, ma non accadde mai che il re ridesse; le espressioni di tristezza e, ormai, sconsolazione, si erano scolpite sul volto di ogni abitante del regno; dal cavaliere al contadino, passando per il cuoco di corte e il fabbro del villaggio. La gente per il castello era triste, rivolgeva lo sguardo sempre a terra e molti cortigiani erano stati visti piangere per la depressione. Le stesse sale del castello, un tempo lussuose e piene di sfarzo, luminose e piene di vita, erano divenute scure e cupe e meste. L'oro, che un tempo decorava le sale, assomigliava ora più a del vecchio ottone sporco. Le argentee decorazioni, che riflettevano la luce del sole in tutta a stanza, ora parevano semplice grigio ferro opaco. La seta rosso fuoco, che un tempo rendeva tutto il palazzo caldo e accogliente ora, non pareva altro che volgare stoffa marrone.
Erano passati diciassette anni e diciassette giorni e il re, come tutti, aveva ormai perso la speranza di ritrovare la tanto ricercata allegria, quando un viandante senza patria, che aveva fatto il giro del mondo tre volte, passò di lì. Sorpreso dal vedere che persino i bambini e i loro animali, al posto di giocare o scorrazzare in giro per il villaggio, se ne stavano seduti o sdraiati con facce mogie, chiese ad una contadina che coglieva il grano come mai in quel regno non vi fosse alcuna persona sorridente. La vecchia gli raccontò la triste storia del regno, spiegandogli che un tempo era un posto assai più felice di quanto lo sembrasse in quel momento. Udita la storia, si fece guidare dalla contadina al castello, dove si rivolse al re <<Mio signore, io conosco la persona che può farvi ritornare il sorriso, a voi e a tutto il vostro popolo. È un giullare di un regno qua vicino, il giullare più divertente che io abbia mai visto su questa terra. E io la conosco abbastanza bene, questa terra!>>. Il re, che non aveva più nulla da perdere, si alzò in piedi e disse ad alcuni dei suoi cavalieri <<Che mi si porti qui questo giullare!>>. Il viandante fu ricompensato con del pane e del lardo, si congedò ringraziando e ricominciò il suo cammino intorno al mondo.
I cavalieri del re avevano cavalcato per due settimane e tre giorni ininterrotti, quando raggiunsero il villaggio che il viandante aveva loro indicato. Si recarono nella piazza del paese, dove tutta la gente ammassata rideva a crepacuore. Fattisi largo tra la folla, scorsero il giullare che ballando e cantando si stava esibendo in uno spettacolo facendo ridere ogni persona.
Il giullare era una persona sempre allegra, nessuno lo aveva mai visto triste o arrabbiato. Soleva indossare un cappello multicolore con delle punte, alle quali erano appesi dei piccoli sonagli. Ad ogni suo movimento, i sonagli del cappello emettevano un tintinnio solare e allegro, che divertiva tutti. Quel cappello era il segreto della sua simpatia, era un cappello il cui suono diffondeva buonumore, bastava sentire il rumore dei sonagli per iniziare a ridere a crepapelle. Era un diffusore di allegria. Da questo copricapo magico, il buffone non si era mai separato, lo posava solo per dormire; era per lui il bene più prezioso. Sentire il tintinnio dei campanellini quando si moveva, portava automaticamente allegria al giullare che inoltrava questa sua felicità alle persone che lo guardavano esibirsi.
Finito lo spettacolo in piazza, i cavalieri andarono dal giullare e gli dissero che il re del regno accanto aveva bisogno di lui. Questi, riordinate le sue cose, montò il suo asinello e seguì i cavalieri fino al castello.
Quando entrarono nel reame, il giullare si stupì molto della tristezza che incontrava per le strade e si stupì ancor di più quando vide la ancor più grave mestizia una volta solcato il portone del palazzo del re. Capì subito che il suo aiuto era necessario. Quando, attraversati tutti i grigi e cupi corridoi del palazzo, raggiunse la sana del trono e si chinò al cospetto del re, questi gli rivolse la parola <<Mi han detto che tu puoi far tornare il sorriso a me e alla mia gente>> <<Sere,>> rispose il giullare <<vi han detto il vero.>> <<Or dunque, inizia il tuo spettacolo!>> gli ordinò il re.
Così detto, il giullare si mise al centro della sala, dove tutti potevano vederlo, estrasse gli oggetti per l'esibizione, indossò il cappello magico e iniziò subito a ballare, cantare, saltare, suonare il tamburello, tutto ciò tintinnando ad ogni movimento del corpo. Le note della sua musica, il fragore della sua risata e soprattutto l'incantato tintinnio del cappello si diffusero nel salone reale. Il suo spettacolo andò avanti in questo modo a lungo, e, adagio adagio, sul volto del re iniziò a plasmarsi un leggero sorriso, che poi divenne più evidente, per poi trasformarsi in una risata. Sentito ridere il re, tutta la folla scoppiò in un fragoroso boato, ridendo a crepapelle. Tutti nel salone ridevano, mentre il giullare continuava a cantare e ballare; i paggi, i cortigiani, i cavalieri, anche i cuochi nelle cucine. La risata, che è un fenomeno contagioso, si espande sempre velocissimamente; infatti i contadini, che da tanto non sentivano qualcuno ridere, udendo da lontano tutto il castello tonante di risate, furono presi da una lunga ventata di buon umore e si misero, a loro volta, a ridere fragorosamente. L'incantesimo della strega malvagia era stato rotto: tutti i sudditi e il re stesso ridevano. Il giullare era riuscito a far tornare l'antica allegria e il buon umore nel Regno della Felicità.
Il re, che era un uomo di parola, frenate a stento, dopo ore, le risate ed essersi asciugato le lacrime di gioia, chiamò a se il giullare per premiarlo; sarebbe di lì a poco diventato cavaliere.
Per l'occasione il giullare dovette indossare un'armatura e un abbigliamento consono all'occasione, si chinò dinanzi al re, senza però essersi levato il suo adorato cappello magico. Fu incitato da un paggio a toglierselo, poiché avrebbe dovuto indossare un elmo, che sarebbe diventato, da lì in poi, il suo nuovo copricapo. Il giullare non voleva togliersi il suo cappello perché pensò che poi non avrebbe più udito il tintinnio dei suoi campanellini quando si sarebbe mosso. Indossava una lucida e splendente armatura da cavaliere e in testa teneva quel cappello da buffone. Il paggio lo incitò di nuovo a togliersi il copricapo e ad indossare l'elmo. Il giullare pensò. Non poteva perdere quell'occasione, diventare cavaliere era sempre stato il suo sogno, però non voleva privarsi di ciò che lo rendeva felice e allegro tutte le volte. Non voleva perdere la sua magia, la sua personalità, il suo carattere giocoso e allegro, per assumerne uno serio e iracondo da cavaliere del re. Gli erano sempre sembrati così seri e dediti al dovere, mai pronti a scherzare bensì irascibili e poco adatti alla risata. Il giullare esitava.
Il sovrano parlò, leggermente spazientito <<Dunque, toglietevi il cappello, giullare!>>. Il giullare aspettò ancora un istante, poi prese il cappello con tutte e due le mani con malinconia e lo mise di fronte a se, tra lui e il re. Il paggio lo aiutò ad indossare l'elmo, così che potesse finalmente essere nominato cavaliere. Nello stesso momento, il giullare, lesto, staccò uno ad uno tutti i campanellini del suo cappello e li strinse forte nella mando destra, con la quale, una volta che il re ebbe pronunciato il rito abituale, giurò fedeltà alla corona posando la mano sul suo cuore.
Il giullare era finalmente diventato cavaliere, e divenne negli anni dopo, uno dei cavalieri più fedeli e coraggiosi di tutto il reame, tuttavia non aveva dimenticato il suo passato da giullare e non aveva perso la sua briosa personalità.
Dopo la nomina a cavaliere, infatti, il giullare, la sera stessa, aveva legato tutti i sonagli tolti dal cappello, alla cotta di maglia, che ogni volta indossava sotto l'armatura di ferro battuto. Senza la sua cotta, da quel giorno, il cavaliere giullare non uscì mai dalle sue stanze né andò a cavalcare o in battaglia.
Quando il cavaliere giullare si muoveva insieme agli altri cavalieri, vestito con l'armatura, l'elmo e cavalcando un nobile destriero, tintinnava. Tintinnava grazie ai sonaglini nella cotta di maglia. Tintinnava come ai tempi in cui la sua professione era divertire la gente, far provare loro la gioia della risata e del buon umore e non andare in guerra. Tintinnava come quando indossava il suo cappello da buffone. Tintinnava come quando era un semplice e povero buffone.
Grazie a lui, nell'esercito del re c'era sempre buon umore; anche prima di andare in battaglia, in guerra, si rideva. Quando il cavaliere giullare passava tra le file dei soldati a dare istruzioni, nonostante la tensione prima della battaglia, regnava il buon umore. Quando infuriava la battaglia e alcuni soldati cadevano al suolo, si rialzavano, perché motivati dall'ottimismo, che il tintinnio del cavaliere giullare ispirava loro tintinnando anche combattendo. Quando l'esercito tornava sconfitto da una battaglia, non si riusciva a essere tristi perché al comando del plotone vi era il cavaliere giullare, che cavalcando lentamente sul suo cavallo produceva un suono allegro e solare. Quando la mattina i soldati venivano svegliati all'alba dal tintinnio del cavaliere giullare che osservava il sorgere del sole, erano subito di buon umore. Non esisteva un singolo soldato che fosse triste, non uno che volesse tornare a casa perché aveva paura o perché non voleva essere lì in quel momento. Il cavaliere giullare, infatti, non solo portava allegria e gioia nell'esercito, quando camminava tintinnante, ma rassicurava anche gli animi dei soldati più timorosi, che per la prima volta si trovavano a dover combattere. Forse non indossava più il suo cappello da buffone, ma non aveva perso la magia, perché aveva tenuto con sé i sonagli del copricapo.
Inoltre, lo stesso cavaliere giullare, rimaneva sempre di buon umore, anche quando pensava al suo passato, quando ripensava alla sua vita precedente, a quando era un semplice giullare. Quando ripensava al suo cappello e gli veniva da piangere di nostalgia per quella vita, non ci riusciva, perché bastava che si movesse leggermente e produceva un tintinnio allegro, che gli impediva di produrre sentimenti negativi. Il cavaliere giullare era sempre felice e riusciva a rendere sempre felice chi gli stava intorno nonostante avesse cambiato mestiere e avesse lasciato nell'armadio il suo cappello, portandosi seco solo i sonagli. Era un cavaliere diverso dagli altri, era un cavaliere magico.
E molti anni dopo, quando il cavaliere giullare aveva ormai raggiunto una certa età e pensava di ritirarsi, quando andò in battaglia per l'ultima volta, venne trafitto dalla lancia di un nemico e rantolò al suolo. Cadde per terra con la lancia nel petto ed infine morì. Morì però con il sorriso sul volto. Morì con il sorriso sul volto perché quando la lancia aveva perforato l'armatura e poi la cotta, aveva fatto suonare i sonagli con fragore. Il cavaliere giullare aveva capito che era la fine per lui, ma non era riuscito ad essere triste, anzi, grazie a quel suono allegro e solare, gli era venuto da ridere. E fu così che l'ultima espressione sul volto del cavaliere giullare fu un sorriso, un sorriso come era stata un sorriso la sua vita.
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