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L'ombra di Cougar Hill
"Se mi vogliono sono così, di certo non posso cambiare: perché io, di sentire dei
cavalli che mi spingono la schiena, ne ho bisogno come dell'aria che respiro".
Gilles Villeneuve
I duecentottantacinque cavalli sembravano voler uscire da sotto il cofano e liberare altrove la loro frenetica potenza, ma il possente propulsore, simile a un vecchio e ruvido sergente di cavalleria, riusciva ancora a tenerli imbrigliati. I quattro pistoni scorrevano impazziti lungo le pareti rivestite di una speciale pellicola in lega di alluminio e spingevano l'auto da corsa a una velocità di quasi duecentosessanta chilometri all'ora.
La pista, era ancora bagnata dalla pioggia di un precedente temporale continuato con ostinazione tutta la notte e rispecchiava le forme irregolari degli sfreccianti bolidi dagli occhi scintillanti e dell'immoto autodromo. L'asfalto dal manto lucido e scuro, era imbrattato dai residui di gomma di precedenti frenate o sgommate. Il manto non era di quelli drenanti e non assorbendo l'acqua piovana, diventava il peggiore incubo per un pilota inesperto e una sfida per il campione smaliziato.
Gli occhi grigi di Kim si alternavano dalla pista al contagiri. Stava percorrendo il lungo rettilineo e la punta dell'ago arancione andava quasi a pungere gli ottomila giri stampati nero su bianco, poi fece un rapido semicerchio in senso antiorario, la Bmw era quasi in prossimità di una stretta chicane che avrebbe smorzato, almeno per una breve durata, la boria di quei poderosi destrieri.
Kim osservava spesso i retrovisori e ogni volta malediva il muso bianco e blu della Chevrolet Cruze, perché sembrava avere un gancio di traino che collegasse il suo avantreno all'assale posteriore della Bmw, incollandola a pochi decimi dal suo primato. E questo irritava Kim Lancetti, abituato a larghi margini di vantaggio in questo tipo di gare.
Un inconveniente tecnico ancora non ben identificato, impediva al Team De Angelis di comunicare con Kim, rendendolo solo in questi ultimi giri. E la pioggia aveva ripreso a cadere dal cielo plumbeo.
Dal cofano della Bmw numero sessantasette, saliva una nebbia biancastra simile ad uno spettro, che Kim non riusciva ancora decifrare. Era fumo provocato da un imminente guasto al propulsore, oppure semplice vapore acqueo dovuto al contrasto delle gelide gocce di pioggia con l'elevata temperatura della lamiera del cofano? Il pilota lo avrebbe scoperto presto perché un nuovo rettilineo avrebbe messo a dura prova la tenuta della guarnizione di testa.
Di nuovo si fece sentire la furia dei cavalli. Kim poteva immaginare i loro robusti denti mordere l'imboccatura delle redini fino a far sanguinare loro le gengive. Sua sorella era una cavallerizza professionista e una volta gli aveva spiegato che un certo tipo di morso si chiama pelham.
Ancora la lancetta del contagiri schizzò verso la zona gialla e il bolide scaricò a terra tutta la sua rabbia, mentre i ricordi di Kim scivolarono via come i rivoli d'acqua piovana dai finestrini della Bmw.
Lancetti scheggiò velocissimo di fronte ai box, dove un addetto staff della scuderia De Angelis, protetto da un K-way color erba, brandiva un cartello luminoso dai numeri rosso rubino.
Più 1. 221 da Zama. ─ Un'inezia! ─ Imprecò Kim, stringendo i pugni al rivestimento del volante. Avrebbe voluto sfondare la paratia metallica sotto i suoi piedi ma la corsa del pedale del gas era già arrivata alla fine. Ormai Kim Lancetti poteva scorgere dal retrovisore interno, la croce dorata sul grosso radiatore della Chevrolet e gli sembrava quasi di sentire i possenti zoccoli della Cruze pestare e crepare il duro e vecchio asfalto di Cougar Hill.
─ Maledetto! ─ Inveì Kim. Sentiva la sua abituale sicurezza, scivolargli via dalle dita.
Alla curva di Ross, l'auto decellerò. Kim fece troppa pressione sul pedale del freno facendo slittare le gomme sul bagnato rischiando un inutile testacoda. Il muso della Chevrolet sfiorò il biondo paraurti della Bmw. Kim riprese il controllo e affrontò quell'arco con gli pneumatici di sinistra che tremavano sul cordolo bianco e rosso sfiorando addirittura il manto erboso, mentre il pilota della Cruze tentava un temerario sorpasso sulla destra.
I due bolidi uscirono da quella curva affiancate, con la numero sessantasette in lieve vantaggio. C'era da affrontare un'altra curva, questa volta destrorsa, che avrebbe agevolato il probabile sorpasso della Cruze di Flavio Zama.
La mano destra di Kim agiva veloce sulla leva sequenziale del cambio, sparando marce come il più veloce pistolero sparava cartucce. I due specchietti retrovisori esterni entrarono in contatto e quello di Kim si piegò in avanti, impedendogli la visuale da quel lato.
"Spero che con la velocità il vento lo raddrizzi." Pensò. Ma non gli era mai successo in passato, quindi.
Dalle auto affiancate nel rettilineo, i due si guardarono per un attimo e Zama ebbe l'insolenza di sollevare il braccio in segno di saluto.
─ Che pezzo di... ─ Imprecò Kim ad alta voce.
Le due macchine sembravano fameliche idrovore e ingollavano, mai sazie, metri e metri di asfalto, vomitando dai robusti tubi di scarico cromati, invisibili particelle di monossido di carbonio.
Ai lati della pista, dei cartelli bianchi annunciavano l'arrivo della nuova curva: 300 metri, 200, 100...
I piloti delle due auto scalarono quasi in simultanea le marce. I bolidi arrivarono alla staccata frenando, con i dischi dei freni al carbonio che diventavano incandescenti e generavano un bizzarro effetto pirotecnico visibile da dietro le razze dei cerchi in lega.
La Chevrolet di Zama imboccò la curva per prima, con un sorpasso pulito che lo portò in testa alla corsa a appena tre giri dal termine. Kim sbattè il pugno sul volante, facendolo tremare. Adesso la croce dorata la poteva vedere nel posteriore della Cruze.
La Bmw restava comunque in scia, vicinissima alla Chevrolet.
─ Un'altra possibilità, solo una! ─ Disse tra i denti Kim.
I piloti chiedevano ora l'impossibile alle loro macchine, i cavalli dovevano schiumare dalla bocca, i pistoni dovevano schizzare fuori dalle loro sedi, le gomme dovevano scavare l'asfalto, farlo a brandelli.
─ Il massimo! Il massimo! Devi darmi il massimo, capito? ─ Urlava Kim. E lo stesso doveva fare Zama. Una nuova curva li aspettava entrambi.
Kim lo attaccò con una staccata micidiale affiancandolo all'interno, le due vetture si sfiorarono, Zama resistette e fronteggiò il suo avversario, per Lancetti sembrava non esserci spazio, ma Kim passò sopra il cordolo esterno e senza dare tempo a Flavio Zama si ributtò in pista davanti a lui e gli chiuse il passaggio.
─ Sì! ─ Urlò Lancetti e fece un movimento poco riverente con la mano. Ma poi si pentì subito dopo del suo gesto di stizza, perché Zama, in fondo, era un valido e leale antagonista, forse l'unico di tutto il campionato.
Dallo specchietto retrovisore interno dell'abitacolo, Kim vide la Chevrolet sbandare perdendo terreno nei suoi confronti. Adesso doveva davvero avere un buon margine di vantaggio con ottime possibilità di vincere la gara e consolidare il suo primato mondiale. Ma in fondo, gli dispiaceva per Zama.
L'ultima curva prima del rettilineo e il traguardo, dopo i dieci giri della seconda prova.
Kim affrontò la parabola senza forzare la sua Bmw, approfittando del buon margine che lo distanziava da Zama. Ma mentre era quasi a metà, qualcuno attraversò la pista.
─ Ma che diavolo... non ci posso credere!
Per non investirlo, Kim frenò e sterzò dalla parte opposta. La Bmw deviò bruscamente dalla direzione di marcia e andò più volte in testacoda, poi finì nella sabbia bagnata ai lati della pista continuando la sua corsa finché non capottò più volte finendo contro il muro in cemento che delimitava il circuito.
Si sentiva solo il rumore della pioggia battente, la ruota anteriore sinistra continuava a girare mentre il terreno sabbioso era cosparso dei frammenti di vetro del parabrezza e di alcuni fanali. I duecento e passa cavalli avevano finito la loro corsa. Una fine sfortunata.
Il guanto rosso di Lancetti spuntò fuori dall'abitacolo, dove prima c'era il parabrezza e cercava un appiglio. Poco dopo il braccio e alla fine, non senza fatica, uscì il pilota. Si scrollò di dosso i frammenti di vetro e la sabbia bagnata, intanto, alle sue spalle passava la Cruze dell'incredulo Zama. Kim lo osservava in una rabbia silenziosa, con le mani sui fianchi, poi si voltò verso la Bmw, in quella posizione innaturale e imprecò a denti stretti. Che strano comportamento il suo, non si era neppure accorto che il Creatore gli aveva risparmiato la vita, ma evidentemente quel concetto non era nella priorità dei suoi pensieri. Non pensava: "Sono uscito incolume da questo incidente, senza nemmeno un graffio", continuava ad osservare la sua macchina rovesciata sul suo carapace e la sagoma bianca e blu della Chevrolet sparire dietro l'ultima curva prima del traguardo.
Con la coda dell'occhio vide un'ombra che si muoveva dietro di sé e si girò di scatto. Rivide quello che gli aveva rovinato il Gran Premio.
─ Un pilota? Sei un maledetto pilota? ─ Ringhiò, poi si tolse il casco con furia, maneggiando un minuto con la sicura del suo sottogola. I capelli lisci e biondi gli cadevano sulle spalle, fradici di sudore. Tirò il casco per terra con un urlo, poi si incamminò a passi lunghi e veloci verso l'altro pilota, alzando il braccio e agitando il pugno in aria.
─ Idiota! Maledetto idiota! ─ Imprecava.
Anche l'altro guidatore si levò il casco, e guardò Kim negli occhi.
Lancetti si arrestò di colpo, come se Dio lo avesse d'improvviso tramutato in una statua di sale. Il suo corpo fu invaso da un improvviso e insolito fremito. C'era qualcosa di strano nello sguardo e nell'aspetto di quel pilota. Qualcosa di inusuale come uno strano odore lontano nello spazio e nel tempo che ti fa tornare alla mente vecchi ricordi.
Kim era immobile sotto la pioggia, con la bocca semiaperta e i suoi occhi grigi che fissavano quell'uomo. Cercava di capire, di ricordare dove lo avesse già visto, chi fosse. Un suo collega? Ma no.
Anche l'altro se ne stava immobile, dentro la sua tuta consunta bianco sporco dalle varie toppe fissate al velcro. Marchi fuori moda, appartenenti a reminiscenze di un'epoca passata.
Il pilota bianco se ne stava con le braccia lungo i fianchi e con una mano reggeva per la mentoniera, uno spartano casco rosso con alcuni adesivi sbiaditi che parevano riportare la marca di qualche marca di sigarette.
Kim cercava di studiare la fisionomia di quel viso, maledicendo le sue sinapsi perché non riuscivano a materializzare il nome di quel familiare sconosciuto.
Aveva capelli castani e mossi che gli sfioravano le spalle. Un bel naso affilato sovrastava sottili e pallide labbra. Il volto era ovale, intelligente, leale. Ma quello che colpiva di più Ken Lancetti era quello sguardo penetrante e al tempo stesso fuggente. E quei vitrei occhi azzurri, stanchi.
La cosa ancora più strana era che la fitta pioggia non lo bagnava affatto.
Lancetti avanzò di qualche passo, con fatica, come uno che deve riabilitare le gambe dopo una lunga degenza. Non riusciva a parlare ma accennò, alzando un braccio e aprendo quel pugno che poco prima era minaccioso, un tentativo pacifico di comunicare con l'altro.
Con un lento movimento, lo sconosciuto si rimise il casco, coprendo quell'impassibile espressione vuota. Kim affrettò il passo per raggiungerlo, ma l'altro si girò e corse via, scomparendo attraverso... attraverso il muro di cemento.
Sentì alcune voci, era il personale di soccorso che stava correndo verso di lui.
─ Tutto bene Kim? ─ Chiese, appoggiandogli una mano sulla spalla Amos Zordan, il medico del Team De Angelis.
Lancetti balbettò qualcosa. Il suo sguardo fissava ancora il muro.
─ è meglio se ti fai dare una controllata al pronto soccorso. ─ Disse Zordan.
─ No, no. Sto bene, davvero Amos, non ti preoccupare.
─ Ti credo Kim, ma preferisco portarti all'ospedale per un controllo. ─ Insistè Il medico.
Nella sala d'attesa del pronto soccorso non c'era molta gente. Kim sedeva aspettando il suo turno, vicino a lui cera Zordan che gli appoggiava una manona paterna sulla coscia.
─ Sei fortunato a essere uscito da quell'incidente senza nemmeno un graffio.
─ Sì. ─ Disse. ─ Amos, tu che sei un esperto in storia dell'automobilismo, sai se in passato ci fu un altro incidente simile al mio in quella curva?
─ Ah ecco, te lo stavo proprio per dire. ─ Fece Zordan, lisciandosi i suoi vistosi baffoni brizzolati e gialli di nicotina. ─ Dicevo che sei stato fortunato, perché agli inizi degli anni settanta o forse a metà, ci fu un incidente analogo al tuo, solo che quello fu fatale per il pilota. Morte istantanea dopo lo schianto contro il muro. L'anno dopo trasferirono il GP nel nuovo circuito di Darryl Park e il Cougar fu utilizzato solo per corse minori. Peccato. ─ Disse con una punta di nostalgia.
─ Comunque, era la seconda gara valevole per il campionato di Formula Uno ─ continuò Zordan ─ il pilota era in testa, proprio come te. Quando arrivò a quella curva, la macchina gli tirò dritto. Povero Hardar
─ Hardar chi?
─ Devon Hardar. Un fenomeno. Una vera promessa. Tu all'epoca avrai avuto sei, sette anni.
"Devon Hardar!" I ricordi di Kim iniziarono a farsi più chiari. Nella sua mente si materializzò un'immagine: un figurina di una raccolta di Formula Uno della stagione 1975-76. Si rivedeva mentre la riceveva da un suo compagno di classe in cambio di una doppia. Nella sua memoria adesso, quel volto stampato era chiaro come in una fotografia. Capelli castani e mossi che gli sfioravano le spalle. Un bel naso affilato sovrastava sottili e rosee labbra. Il volto era ovale, intelligente, leale. E grandi, vivaci occhi azzurri.
Kim sobbalzò al suono metallico di una voce che lo chiamava, era arrivato il suo turno.
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