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Il giorno in cui scavalcammo il recinto -parte finale-
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Ci guardammo attorno solitari in un turbine di foglie morte. Eravamo giovani corpi puri in un'orgia dai mille colori e odori esilaranti che ballavano, che si contorcevano, nel lamentoso vento di un autunno ancora caldo. Ispirammo profondamente quella sensazione che sentivamo scorrere nelle vene come una dose pura di adrenalina sparata dritta nella nostra anima.
L'albero dalle sottili dita scheletriche stava sempre li, imponente nella sua agonia, e ci pareva il punto più adatto dove un tesoro poteva esservi seppellito. C'era un ramo che sembrava indicarne l'esatta ubicazione; esattamente là, dove il manto erboso tutto'ora non vi cresce, là dove la palla sfavillante, quel giorno, non riusciva a filtrare del tutto i suoi raggi lucenti.
"Secondo me si trova li" disse Lapo indicandone il punto.
"Già ..." dissi "Cerchiamo"
3
Sotto l'albero se ne stavano due ragazzi che parevano i suoi frutti:
non troppo acerbi, non troppo maturi; rimanevano semplicemente la sotto, qualcosa sembrava trattenerli, sembrava aspettassero il momento in cui sarebbero marciti del tutto sotto di esso.
Avvicinandoci la scena si apriva davanti a noi. Notammo con i nostri occhi innocenti gli stracci e i volti, scavati con occhiaie fonde a circondare occhi cupi e spenti, di quei due ragazzi che, con mani e dita ben più sottili di quei rami, si sverginavano la propria vena in silenzio, senza opporre resistenza, come incatenati all'albero della vita.
"Cos'è quella?" disse infine Giuseppe timidamente, ma incuriosito dal luccicante ferro che spruzzava inchiostro rosso dalla sua punta.
Uno dei ragazzi alzò lo sguardo dal niente che lo stava mano a mano risucchiando nel proprio vortice e ci guardò
"Andate via" ci disse poi
Ma noi rimanemmo immobili. Continuavamo ad osservarli, cercando di capire cosa stessero facendo.
"Non vedi che sono solo bambini" disse l'altro ragazzo che, alzandosi lentamente, ci venne incontro accartocciandosi infine alla nostra altezza, come un ragno intento a prendere fuoco.
"Questa è una spada" disse tirando fuori da un sacchetto di plastica l'arnese dalla punta d'orato e roteandolo davanti ai nostri volti.
Mi soffermai un attimo sullo sguardo attratto di Giuseppe, i suoi occhi luccicavano come la punta della spada colpita da un fascio di luce.
"... e voi non dovrete mai usarla." prosegui
Tolsi lo sguardo su Giuseppe e mi soffermai sulla labbra di quel ragazzo, che si muovevano facendo uscire parole incomprensibili.
"... scappate. State il più lontano possibile da questa trappola"
D'un tratto una voce materna in lontananza ci riportò indietro dal lungo tunnel.
Il ragazzo si guardò attorno per un breve istante, poi tornò ad'essere parte dell'albero insieme al suo amico; e noi, senza dirci alcunchè, ci voltammo indietro, dirigendoci da dove eravamo venuti.
Pochi metri dopo mi voltai indietro per dare un ultimo sguardo alla scena e vidi Giuseppe ancora immobile, come ipnotizzato da un flash-forward che solo qualche anno dopo sarebbe stato l'inizio di un suo nuovo gioco.
Tornai indietro come ho sempre fatto per tutta la mia vita.
"Ehi Beppe... " li dissi toccandogli una spalla "... i nostri genitori ci staranno cercando... è l'ora di ritornare" dissi
Silenzio
"Beppe..."
"Eh?" disse tornando alla realtà "Ah! Si... andiamo" concluse
Lasciammo alle nostre spalle quell'odore di vita dilaniata dalla morte.
Guardai nuovamente Giuseppe. Camminava in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.
Ci fu infine un turbine di vento improvviso, che portò su di noi altre foglie morte, qualche fazzoletto, un po' di carta stracci; quest'ultimo infine si allontanò da noi velocemente portandosi via ogni cosa nei paraggi anche una parte della nostra giovinezza.
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