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Winter's Knight
I
LA SFIDA
Il cielo aveva il colore del piombo.
Faceva molto freddo. Una fitta caligine aveva ricoperto con il suo manto la città, trasformandola in un mare di fredda ed impalpabile nebbia. Il sole era divenuto un pallido e timido disco bianco.
Catherine maledì quel giorno. Erano appena iniziate le vacanze di Natale, ed aveva programmato di incontrarsi con Alice, un'amica con cui non si vedeva da tempo. La ragazza sedeva sulla panchina della fermata dell'autobus, in sua attesa. Teneva le mani a livello del grembo, tremando dal freddo. Per via della temperatura il suo viso era divenuto molto pallido, e le gote si erano arrossate. Tremava in ogni angolo del corpo. Il vento, che riduceva a brandelli la nebbia quando si riversava prepotentemente sulla piazza, le scompigliava i lunghi capelli castani, e Catherine aveva l'impressione di essersi trasformata in un pezzo di ghiaccio.
D'improvviso, i fanali di un'autobus arancione rischiararono la fermata, e si insinuarono nella nebbia. Le sue porte si aprirono, e una ragazza alta e magra, dai capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e dagli occhi azzurri, e che vestiva un pesante cappotto blu, scese dalla vettura.
Catherine spalancò gli occhi verdi e si gettò tra le braccia di Alice, correndole incontro.
"Ciao! Come stai?" chiese Alice all'amica, staccandosi dall'abbraccio.
"Io bene" sorrise Catherine, "ma qui fa un freddo che si congela".
"Sono perfettamente d'accordo" rispose la ragazza con aria crucciata, "sembra che si siano organizzati per non farci incontrare!".
Catherine abbozzò un sorriso.
"Già! Ma io volevo vederti da così tanto tempo che non m'importa, sarebbe potuto grandinare, e non mi sarei fermata!".
Alice si abbandonò ad un sorriso raggiante.
"Catherine! Quanto mi sei mancata!".
Catherine rise.
"Anche tu! Come hai passato tutto questo tempo?".
"Bé," iniziò, cominciando a camminare verso il centro con la ragazza, "da quando sono partita e ho dovuto cambiare scuola per via del trasferimento a Coventry, sono cambiate molte cose. Sono migliorata nelle verifiche e nelle interrogazioni, anche quest'anno è partito bene e ho fatto mille nuove conoscenze. Tu Catherine, che cosa mi racconti? L'estate come l'hai passata?".
Si fermarono di fronte alle strisce pedonali. Il semaforo era rosso, e le macchine sfrecciavano fendendo la nebbia.
"Io... al solito. Non mi sbilancio mai. Le cose sono sempre equilibrate... ci sono periodi dove brillo e mi diverto, e altri in cui mi sembra di sprofondare nella tenebra".
Alice notò che l'ultima espressione dell'amica era stata pronunciata con più enfasi.
"Brutto periodo?" chiese.
Catherine la guardò nei grandi occhi chiari.
"Sì. L'ennesimo amore non ricambiato!" rispose, con un'aura di malinconia che la giovane parve recepire.
"Io mi domando" riprese Alice, "che cos'abbiano i ragazzi contro di te. Sei bellissima, Catherine. Forse un po' timida...".
Catherine scoppiò a ridere.
"Hai ragione! Ora comunque è acqua passata. Ho altro per la testa".
"Ovvero?" domandò Alice.
"Progetti sull'Università. Penso farò filosofia, quando finirò il liceo".
Alice pareva molto interessata.
"Dev'essere una disciplina davvero entusiasmante, anche se complessa" disse.
"Sì. Ho letto un mucchio di libri" sorrise Catherine.
Le due ragazze entrarono in un bar che dava sulla strada. Si sedettero su un grazioso tavolino bianco vicino alla vetrina, si tolsero i cappotti e li appoggiarono sulle sedie. Catherine indossava un maglione viola, pantaloni scuri, e una strana collana verde che si intonava con gli abiti; Alice invece portava una felpa nera con una stampa e jeans. Una cameriera molto gentile e carina raccolse le ordinazioni: Catherine aveva scelto un caffé, mentre Alice aveva optato per la cioccolata calda.
"Con tanta panna" si raccomandò.
"Indubbiamente" rispose la cameriera, regalandole un sorriso. Poi se ne andò.
"Non cambi proprio mai, Alice" sorrise Catherine, scuotendo la testa.
"Mi sembra il minimo!" rispose la ragazza, "Una cioccolata senza panna non è una cioccolata" sentenziò poi in tono serissimo.
Un lungo silenzio interruppe la conversazione.
"Perché ti sei trasferita?" chiese Catherine, in tono molto triste, "È stata dura per me non rivederti più la mattina tutti i giorni. Lo è anche adesso".
Alice sostenne lo sguardo della ragazza per qualche secondo, poi cedette e guardò il tavolo. Catherine aveva una grande capacità: se puntava gli occhi contro qualcuno, non era mai la prima a distoglierlo.
"Dispiace da morire anche a me" rispose, "ma sono stati i miei a decidere. Dicevano che casa nostra era troppo piccola, che era una 'tana' per essere letterali, e appena hanno scovato l'offerta qui a Coventry hanno deciso di stabilirsi lì. E hanno portato dietro anche me".
Catherine annuì.
"Come mai il prezzo della tua nuova casa era così basso?" domandò.
Alice trasalì.
"Non me lo ricordare, ti prego".
"Su, sono curiosa!".
Alice cambiò radicalmente l'espressione del volto: da allegra, divenne d'un tratto cupa, come quando un gruppo di nuvole nere oscurano il sole.
"Lo vuoi davvero sapere?" domandò in tono lugubre.
"Sì" rispose decisa Catherine.
"Il vecchio proprietario, un ragazzo di appena vent'anni, si è suicidato appendendosi per il collo con una corda. Nessuno ha mai saputo perché, e...".
L'arrivo della cameriera interruppe il tetro racconto. Pose ad Alice la cioccolata calda e a Catherine il caffé. Quest'ultima ringraziò sorridendo.
"E...?" chiese poi.
"La sua ragazza" riprese, "ritrovò il corpo rientrando in casa. Urlò dal dolore e dallo sconcerto, e giurò di non mettere mai più un piede lì dentro. Credo non si sia più ripresa. Poi c'è da considerare che entrambe le famiglie erano piuttosto strane, amica mia, sicché misero immediatamente in vendita la dimora e ora ci abitiamo noi".
Alice prese a mescolare la cioccolata e ad ingurgitare la panna.
Catherine si mise a ridere.
"Mi dispiace molto per il tipo che si è suicidato e per la sua ragazza" affermò, "ma non posso credere che abbiano venduto la casa ad un prezzo bassissimo pur di sbarazzarsene! Che idioti!".
Alice la fulminò con lo sguardo.
"Qualcosa contro la superstizione?" domandò.
Catherine fu categorica.
"Sì. Non entro nella logica di quelli superstiziosi" rispose, fredda.
Alice sorrise, enigmatica.
"Dunque non capisci anche la mia di logica".
"Sei superstiziosa? Davvero?" chiese Catherine, stupita.
"Sì. E odio stare lì dentro".
Catherine prese delicatamente la mano di Alice.
"Non vi è nulla da temere" rassicurò, "proprio nulla. Quella dimora ha visto una bruttissima esperienza, non per questo ora è maledetta".
Alice non era convinta.
"Non credi dunque che la Casa della Morte non sia infestata?" domandò.
Il suo volto era incredibilmente serio, e ciò inquietò Catherine.
"No".
La Casa della Morte sorgeva alla fine della città in cui abitava Catherine. Era un'abitazione molto vecchia, che fu abbandonata per motivi mai spiegati. Molti l'avevano comprata o affittata, ma se ne erano andati in circostanze misteriose perché si sosteneva che al suo interno fossero scomparse delle persone. Così nessuno la ricomprò più e cadde in disgrazia: i rovi la circondavano, il cancello era scassinato e il soffitto in parte crollato. Fu così che prese quel triste nome.
"Che cavolata" rincarò Catherine, scuotendo il capo e sorseggiando il caffé.
Alice era contrariata.
"Sono persone come te che si cacciano in guai simili!" protestò la giovane.
Aveva appena finito la cioccolata.
Gli occhi di Catherine si illuminarono.
"Sì. Sono persone come me che si cacciano in guai simili" sorrise.
"Che intendi fare?" chiese scettica Alice.
"Se non ricordo male c'è una fermata dell'autobus esattamente di fronte alla Casa della Morte. Tu non vuoi dimenticare una giornata così bella passata con la tua amica, no? Dunque ora pagheremo il conto, entreremo in quella casa diroccata e se ne esco viva dovrai credere che anche nella tua di casa non succederà nulla. Vedrai che non ti scorderai facilmente questo giorno".
Alice prese a tremare.
"M-ma io..." balbettò impallidendo.
"Lo prendo per un sì" sorrise Catherine.
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