Erano quelle, notti lunghissime.
Erano calde e stellate come non ne avevo viste mai.
Erano notti silenziose e piene di ombre.
Di tanto in tanto, soltanto il latrare di qualche cane o il ragliare di qualche asino rompeva quel silenzio (con il risultato di renderlo più evidente).
Allora si stava all'aperto: distesi sulla sabbia che lentamente inumidiva.
Si guardava in cielo.
Si passeggiava attorno allo stabilimento.
Si chiaccherava piano con il guardiano nero.
Si beveva tè caldo e nero e ancora si passeggiava nella notte e si guardava il cielo.
Allora arrivavano pensieri e ricordi di terre lasciate per quelle d'Africa.
Forse era tutto ciò essere felici.
Forse era tutto ciò perchè eri giovane e ti sentivi così leggero, anche se avevi sonno.
Forse era proprio quella sonnolenza - che a una cert'ora ti prendeva - a essere la felicità.
E il tè era così buono e così forte.
E la notte straordinaria.
E quando era molto avanti - verso le due o le tre - si accendeva la radio per ascoltare il notturno italiano: "Cari amici vicini e lontani..." si udiva, e lontani ci si sentiva subito, e quella lontananza pareva smisurata.