E così ci diamo ancora appuntamento fuori dai bar che chiudono, per guardarci sotto gli aghi e contarci le ferite. Come vecchi soldati un po' sbiaditi e coi capelli bianchi, ma col cazzo che ci hanno fatti fuori. A illuderci ancora che ti porti in tasca una chiave, una brugola o uno stomaco per dare una sistemata ad un cosmo col mal di testa.
Gli occhi sepolti in un sacchetto di cartone, le mani tese verso le endorfine che ancora carezzano il basso ventre. Che sia adesso, e per sempre. Come i fari posteriori che svaniscono nella nebbia d'inverno, così che tutto si fa un pochino più grigio - le notti vomitano crepe, i numeri si confondono.
Ricoveri indigeni su nidi di ragni, colonie di cimici - errori e squilibri. La pelle brucia e si corrode per il makeup di serie che ci arreda il viso. E quasi il pensiero di leccarsi le labbra. Giù, sempre più giù, dove il soffitto goccia e il caldo si fa soffocante.
Annegando nel silenzio dell'anima, dove le parole sono piombo e le ombre scure tradiscono la malinconia.
Dormi.
Sorridi.