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Le farfalle non invecchiano
"Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide.
"Difficile convincersi che la donna che avevo davanti fosse la stessa che mi aveva fatto scoprire il sesso. Difficile scorgere quella voglia di vivere dirompente, quello sguardo irriverente. Quarant'anni... sembra ieri ed è passato quasi mezzo secolo. I pensieri scorrono a ritroso, non si possono controllare, riaffiorano sensazioni mai perdute, un tredicenne ansioso e arrapato e una splendida contadina disinvolta e un po' stronza che si diverte a torturarlo. "Sembri sempre un ragazzo". Mi rivedo seduto davanti alla televisione, il vecchio divano, lei che avvicina le sue gambe alle mie, il suo corpo profumato e abbondante che mi sfiora, si mostra. Il suo sorriso malizioso e il mio terrore di essere scoperto. Mi viene ancora il fiato corto se ripenso a quelle tette, al suo collo. Il fattaccio avvenne d'inverno. Un pomeriggio piombò da noi chiedendo a mia madre di farmi dormire da lei, la notte sarebbe stata sola, la morte improvvisa di una zia. "È una casa immensa e io ho paura". L'espressione di mia madre non nascondeva l'apprensione ma non trovò motivi validi per rifiutare. Lei sembrò leggerle il pensiero. "Nella mia stanza ci sono due letti singoli, anche se enormi", disse prendendomi sottobraccio mentre mi trascinava fuori. Erano appena le sei ma il buio era totale, un freddo cane. L'entusiasmo inferiore solo alla paura. Cenammo praticamente in piedi, salame, prosciutto, coppa, cipolline e lei, stranamente taciturna, che mi guardava sorridendo. Affettava con maestria i salumi appoggiata alla madia e me li allungava con le mani, staccando ogni tanto un crostino. Mi sorpresi nel constatare che trovavo il tutto molto eccitante. In condizioni normali mi sarei sentito male.
"Nel mondo succedono cose orribili. Mi piaceva Kennedy, lo hanno ucciso perché voleva bene ai negri. Lo sai che era stato l'amante di Marilyn? Tutti gli uomini importanti hanno un'amante. Vorrei essere una farfalla. Le farfalle non invecchiano". Ero abituato a queste sue uscite un po' sconclusionate e mi limitavo a sorridere. Mi raccontò del fidanzato che l'aveva lasciata, del suo modo di fare allegro che spesso gli aveva procurato problemi. La guardavo imbarazzato senza riuscire a dire una parola, per fortuna non sembrava aspettarsi niente. Ogni tanto mi abbracciava e mi arruffava i capelli. La sorpresa della serata era una crema di cui ricordo ancora il sapore, mangiata direttamente dalla zuppiera con un solo cucchiaio che ci scambiavamo ad ogni boccata. Il silenzio era carico di tristezza ma quel gesto aveva riacceso le mie voglie. Delusione e sollievo accompagnarono la conferma che i letti erano veramente due, la temperatura nella stanza era polare e nonostante le lenzuola fossero intiepidite da due enormi borse d'acqua bollente, l'impatto fu da infarto. La stanza era arredata con pochi mobili, un comodino, un armadio a una sola anta. Nell'angolo una vecchia toeletta con catino, brocca d'acqua e uno specchio. I muri erano spogli e gli spazi risultavano sproporzionati. Dagli scuri delle finestre non entrava nessuna luce e il silenzio era assoluto. Non c'era verso di prendere sonno, tentavo di distinguere la sua sagoma nel letto a circa un metro dal mio. Niente, nemmeno il cerimoniale della vestizione mi aveva regalato le emozioni sperate. Tentavo di rubare il suo respiro, sognavo di alzarmi e raggiungerla ma la paura mi paralizzava. Mi svegliai con la sensazione di non essere più solo. Il suo corpo caldo aderiva al mio, aveva appoggiato il mio viso al suo seno e mi baciava adagio. Per un momento pensai di svenire, la mia mano cominciò a scivolare sul suo corpo, le accarezzai il ventre piano ma tremavo e non riuscivo a controllarmi. Avrei voluto toccarla subito, da troppo tempo desideravo farlo. Mi bloccò mentre stavo per insinuarmi tra le sue cosce, "Adagio, fai piano, fai piano..." mi sussurrò. Furono momenti dolcissimi e tutti i miei timori svanirono d'incanto. Il ricordo più nitido è il suo sapore di menta. Mentre mi stavo lavando i denti lei entrò in bagno e mi baciò guardandomi negli occhi, comprese che non c'era niente di cui raccomandarsi. Risposi al bacio e ripercorsi il cortile per tornare a casa. Mia madre non mi chiese nulla e non raccontai mai a nessuno questo episodio. Non successe più. Solamente una volta ci andammo vicino: stavo partendo per una specie di collegio dove sarei rimasto a lungo. Mentre passeggiavo in giardino, sbucò da dietro un rovo e si avvicinò alla mia bocca tenendo tra le labbra una mora. Mi baciò appassionatamente stringendomi forte "Oggi compio trent'anni, ho diritto a un regalo". Sentimmo un rumore, scomparve agitando la mano in segno di saluto. Quando tornai si era trasferita in città e non l'avevo più rivista. Adesso era lì, seduta su quella sedia a rotelle che facevo finta di ignorare, triste, rassegnata, stava cercando la forza di sorridermi. Mi abbassai, la baciai sfiorandole le labbra con dolcezza. "Le farfalle non invecchiano" le dissi con aria complice. Un lampo le attraversò il viso, l'espressione divenne più serena, per un attimo rividi quello sguardo che non mi aveva fatto dormire per tante notti. Una lacrima prese a scendere lentamente. Una lacrima di felicità. Mi avviai senza voltarmi con la speranza che quel sorriso durasse il più a lungo possibile.
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